Il 3 agosto 2004 ci lasciava Henri Cartier-Bresson, grande fotografo francese pioniere del fotogiornalismo e cofondatore dell’Agenzia Magnum-Photo. Lo ricordiamo conducendo una riflessione sul ruolo delle arti proprio a partire da una sua celebre frase dedicata alla sua piรน grande passione:
“Ogni volta che premo il pulsante dello scatto, รจ come conservare ciรฒ che sta per sparire”.
La vita di Henri Cartier-Bresson
Henri Cartier-Bresson nasce il 22 agosto 1908 a Chanteloup, vicino Parigi, da una famiglia della ricca borghesia. Dotato di uno spirito innovativo e curioso, Henry si interessa sin da giovane alla pittura e alla letteratura, passioni che lo spingono alla frequentazione degli esponenti del movimento surrealista.
Dopo il viaggio, durato un anno, in Costa dโAvorio, inizia ad appassionarsi piรน compiutamente al mondo della fotografia. Cartier-Bresson ha raccontato piรน volte di quando una fotografia del fotografo ungherese Martin Munkacsi lo aveva folgorato, facendo crescere in lui lโentusiasmo e la passione per questa forma d’arte.
Nel 1932 acquista la sua prima macchina fotografica, una Leica 35 mm con lente 50 mm che lo accompagna per molti anni. In questo periodo lavora nel campo del cinema, in particolare come assistente del grande regista francese Jean Renoir. Nel 1934 incontra un fotografo ed intellettuale polacco, che gli presenta il grande Robert Capa, che diventa poi suo collaboratore nella fondazione dellโAgenzia Magnum.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Cartier-Bresson entra a far parte della resistenza, pur non abbandonando mai la sua attivitร di fotografo. Catturato dalle truppe naziste, riesce a sfuggire al carcere.
Nel 1945 รจ il fotografo che immortala la liberazione della capitale francese. Concluso il conflitto, torna a lavorare nel mondo del cinema, dove dirige โLe Retourโ, un interessante documentario sul ritorno in patria dei prigionieri di guerra e dei deportati. Nel 1947 inaugura la sua prima mostra fotografica al Moma di New York.
Il “momento decisivo”
Rapido, spontaneo, sincero. Cosรฌ deve essere lo scatto per Henri Cartier-Bresson. La fotografia deve nascere dall’intuito, che in una frazione di secondo immortala un attimo fugace e giร perduto:
โFotografare รจ trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltร di percezione convergono davanti alla realtร che fugge. In quellโistante, la cattura dellโimmagine si rivela un grande piacere fisico e intellettualeโ.
La fotografia, dunque, ha l’immenso potere di rendere eterno ciรฒ che eterno non รจ, di sublimare la nostra fragile umanitร in uno scatto che resterร per sempre, magari conservato in un cassetto, o protetto da una teca in un museo, o ridotto in brandelli, dimenticato sotto una pila di oggetti.
L’eterna fragilitร degli esseri umani
Nella frase di Henri Carier-Bresson risiede l’anima della fotografia e delle arti tutte: un “tentativo di conservare ciรฒ che sta per sparire”, che nel rendere un momento “immortale” su di un supporto, ci ricorda la nostra transitorietร . Emanuele Trevi, nel suo “Due vite“, dedica un intero paragrafo al ruolo delle fotografie:
“Inspiegabilmente, alla fotografia si associa lโidea dellโโimmortalareโ, ma รจ un modo di dire sbagliato, non cโรจ nulla che piรน che la fotografia, in un modo o nellโaltro sempre vincolata allโattimo e al presente, ci ricordi la nostra transitorietร e futilitร .
Come lโangelo con la spada infuocata (il piรน incazzato e inflessibile degli angeli) il tempo ci sbarra ogni via del ritorno a quel paradiso terrestre che vediamo nelle fotografie, trasformando ogni gesto e ogni presenza nellโemblema di una caduta inarrestabile”.
Ed รจ probabilmente in questa dualitร che risiede il fascino degli scatti di Cartier-Bresson: da un lato il desiderio di acchiappare un momento fugace; dall’altro la consapevolezza di non poter mai riuscire a raggiungere lo scopo a perfezione.