Carlo Alberto Salustri, meglio conosciuto come Trilussa, è stato molto più di un poeta dialettale: è stato una coscienza ironica dell’Italia, un osservatore acuto della politica, della società, dell’animo umano. Con i suoi versi in romanesco, taglienti, profondi, ma sempre leggeri, ha saputo dire verità scomode con la grazia dell’umorismo.
In tempi bui, ha sorriso. In tempi ipocriti, ha deriso. In tempi incerti, ha osservato. Le sue poesie, e in particolare le sue frasi aforistiche, sono ancora oggi attuali: ci insegnano a non prenderci troppo sul serio, a leggere tra le righe della realtà, e a ridere anche di noi stessi.
10 frasi celebri di Trilussa che parlano d’amore, politica, potere, vita quotidiana e ci invitano a pensare con leggerezza, ma non con superficialità.
Le frasi di Trilussa sono un invito a leggere il mondo con occhi vigili, ma anche con leggerezza. Le sue parole ci insegnano a ridere del potere, delle mode, delle ipocrisie, e a non smettere mai di pensare con la nostra testa. Perché dietro ogni sorriso, il suo verso cela una verità. E dietro ogni gioco di parole, una lezione di vita.
Le frasi
1.
«Er bacio è er più ber fiore che nasce ner giardino dell’amore.»
Il bacio è il più bel fiore che nasce nel giardino dell’amore.
Con la sua delicatezza poetica, Trilussa celebra il bacio come simbolo d’amore puro e spontaneo. Una frase che ci ricorda che anche i gesti semplici possono contenere una bellezza struggente , come un fiore tra l’asfalto.
2.
«Fa tanto bene a ripensà a l’amore ne li momenti de malinconia: provi una specie di nun so che sia, come un piacere de sentì dolore.» Fa tanto bene ripensare all’amore nei momenti di malinconia: si prova una sorta di piacere nel sentire dolore.
Trilussa coglie con grazia quel sentimento ambivalente che tutti conosciamo: la nostalgia dolceamara dell’amore passato. Una poesia dell’anima che mescola piacere e sofferenza, con una delicatezza quasi leopardiana.
3.
«Se vôi l’ammirazione de l’amichi nun faje capì mai quello che dichi.»
Se vuoi l’ammirazione degli amici, non fargli mai capire quello che dici.
Una battuta geniale sull’ arte della retorica e dell’ambiguità , tanto cara alla politica e al mondo intellettuale. Più sei oscuro, più sembri profondo: una verità amara detta con ironia impeccabile.
4.
«Spesso una cosa stupida si regge perché viene approvata dalla Legge.»
Una satira diretta e senza fronzoli sul legame tra burocrazia e assurdità. Trilussa denuncia come la stupidità possa diventare “legale” , e quindi intoccabile. Un verso che sembra scritto ieri.
5.
«Dio chiese a Adamo: ‘Chi ha magnato er pomo?’. ‘Io!’ fece lui. ‘Ma me l’ha dato lei.’ ‘Eva?’ ‘Sicuro. Mica lo direi…’ E scappò fòra er primo gentilomo.»
Dio chiese ad Adamo: “Chi ha mangiato il pomo?”. “Io!” rispose lui. “Ma me l’ha dato lei.” “Eva?” “Certo. Non lo direi mica…” E così nacque il primo galantuomo.
Con acume comico, Trilussa reinventa il mito delle origini per prendere in giro l’arte tutta maschile di scaricare la colpa. Adamo diventa il primo uomo… ma anche il primo ipocrita.
6.
«Chi spende tutto quello che possiede economizza il pianto dell’erede.»
Una massima dal sapore cinico e scanzonato. Meglio godersi la vita, dice Trilussa, piuttosto che lasciare eredità a chi non ha faticato. Una filosofia edonistica che non rinuncia al buon senso.
7.
«Quando il dittatore parla ed il popolo lo ascolta stando sotto gli ombrelli vuol dire che i tempi veramente non sono belli.»
Un’immagine potente e tristemente attuale: quando il potere comanda sotto la pioggia, e il popolo non si muove, allora siamo nel pieno della sottomissione. Una critica alla passività collettiva.
8.
«Sovrano come er popolo sovrano che viceversa nun commanna mai.»
Sovrano come il popolo sovrano che però non comanda mai.
Un capolavoro di sarcasmo politico. Trilussa smaschera con poche parole l’illusione della democrazia , dove il popolo viene chiamato “sovrano” ma resta sempre suddito.
9.
«L’umorismo è lo zucchero della vita. Ma quanta saccarina in commercio!»
Una riflessione sulla differenza tra umorismo autentico e finta simpatia. In tempi in cui tutto è spettacolo, ridere con intelligenza è un atto raro e prezioso. Il resto è zucchero finto.
10.
«Defatti venne eletto propio lui. Er Somaro, contento, fece un rajo, E allora solo er popolo bestione S’accorse de lo sbajo D’ave’ pijato un ciuccio p’un leone.»
Fu eletto proprio lui. Il somaro, felice, ragliò. Solo allora il popolo bestione si accorse dell’errore: avevano preso un asino per un leone.
Trilussa ci regala qui un apologo amaro sull’inganno del potere e sulla cecità dell’elettore. L’animale sbagliato sul trono è colpa del popolo che non guarda, che crede alla facciata. Una favola più vera della realtà.
