10 frasi di Gesualdo Bufalino che ci insegnano l’ironia e la malinconia del vivere

14 Novembre 2025

Un viaggio nelle frasi più celebri di Gesualdo Bufalino, tra ironia, disincanto e riflessioni affilate sulla vita, l’amore, la morte e la scrittura.

10 frasi di Gesualdo Bufalino che ci insegnano l’ironia e la malinconia del vivere

Gesualdo Bufalino (1920–1996) è stato uno degli scrittori italiani più raffinati, ironici e inclassificabili del secondo Novecento. Siciliano fino al midollo, ma con una prosa colta e cosmopolita, Bufalino divenne celebre tardi, con la pubblicazione de Diceria dell’untore nel 1981, vincitore del Premio Campiello.

La sua scrittura è fatta di intarsi barocchi, aforismi taglienti e una costante riflessione sul tempo, la malattia, la seduzione, l’identità. Amava definirsi “un malpensante”, cioè uno che coltiva dubbi e sfiducia nelle certezze. I suoi aforismi, spesso raccolti in volumi come “Il malpensante: Lunario dell’anno che fu”, condensano in poche parole una visione lucida e malinconica dell’esistenza.

Le 10 frasi più belle di Gesualdo Bufalino sull’ironia e la malinconia

Le frasi di Gesualdo Bufalino ci insegnano che si può pensare con leggerezza, e ridere con profondità. Ogni suo aforisma è un coltello affilato che fende i veli dell’abitudine e ci costringe a guardarci allo specchio con ironia.

Amore, morte, tempo, stupidità, felicità: i grandi temi della vita vengono condensati in poche parole, come distillati amari e raffinati. In un tempo che consuma parole in fretta, leggere Bufalino è un atto di resistenza e di stile.

Le frasi

1.
«Sociologo è colui che va alla partita di calcio per guardare gli spettatori.»

Un paradosso che descrive perfettamente l’occhio del vero osservatore. Bufalino ridicolizza la pretesa di scientificità della sociologia, sottolineando che spesso ci si concentra più sul contesto che sul contenuto. È una riflessione anche sul voyeurismo del nostro tempo.

2.
«Come si fa ad amarsi vivendo con se stessi 24 ore su 24?»

Ironico e crudele, questo aforisma coglie la fatica del convivere con sé stessi, con i propri pensieri, le proprie fragilità. È una domanda che si trasforma in constatazione: la solitudine interiore è la più complessa da abitare.

3.
«L’amore: un sentimento inventato. Ciò che conta è il gioco della seduzione, il rituale di piacere a qualcuno.»

Bufalino smonta l’idea romantica dell’amore per evidenziarne il carattere teatrale e rituale. La seduzione, per lui, è più autentica del sentimento. Non perché meno intensa, ma perché più vera nella sua componente di gioco e rappresentazione.

4.
«Dopo tanto discorrere resta dubbio se le donne preferiscano essere prese, comprese o sorprese.»

Una frase che ironizza sugli stereotipi e i desideri attribuiti al mondo femminile, senza mai cadere nella banalità. C’è ironia, ma anche un senso di mistero: l’altro – l’alterità femminile, ma in fondo qualunque alterità – rimane sempre indecifrabile.

5.
«Morire. Non fosse che per fregare l’insonnia.»

Nell’insonnia, Bufalino riconosce una condanna esistenziale. L’aforisma è tragicomico: la morte è paradossalmente vista come sollievo dalla veglia, e la veglia come una tortura che nega pace al corpo e alla mente.

6.
«La felicità esiste. Ne ho sentito parlare.»

Questa frase, apparentemente semplice, è un concentrato di malinconia e ironia. L’idea della felicità come qualcosa di leggendario, di raccontato ma mai sperimentato in prima persona, è la cifra stilistica di Bufalino: un realismo amaro, sempre elegante.

7.
«Vi sono due razze di stupidi: quelli che credono a tutto e quelli che non credono a niente.»

Una riflessione lucidissima sull’equilibrio critico. Il vero pensiero, per Bufalino, si muove tra fede cieca e scetticismo assoluto. Chi vive solo in uno dei due poli, rinuncia alla complessità.

8.
«Autunno, stagione sleale.»

In quattro parole, un’immagine poetica e tagliente. L’autunno, con le sue promesse di bellezza e la sua malinconia, è una stagione che inganna. È sleale perché seduce e insieme toglie: è il tempo in cui tutto comincia a morire sotto apparenze dorate.

9.
«Un aforisma benfatto sta tutto in otto parole.»

Bufalino conosceva l’arte dell’aforisma e ne definisce la perfezione formale: densità, precisione, brevità. Ogni parola deve avere un peso, ogni virgola un ritmo. Un omaggio alla scrittura come architettura invisibile.

10.
«La mia incompetenza a vivere sfiora il sublime.»

Questa frase è un’autobiografia in miniatura. Non c’è autocommiserazione, ma una consapevolezza profonda della difficoltà dell’esistere. La parola “sublime” rovescia il dramma in bellezza: l’incapacità può diventare poesia.

 

 

 

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