10 frasi di Al-Khansāʾ che ci insegnano il valore della memoria e del dolore

14 Agosto 2025

Al‑Khansāʾ, massima poetessa araba preislamica del VII secolo, ci insegna il valore della memoria e del dolore attraverso le sue elegie.

10 frasi di Al-Khansāʾ che ci insegnano il valore della memoria e del dolore

Al‑Khansāʾ (Tumāḍir bint ʿAmr), vissuta nel VII secolo, è la massima poetessa araba preislamica, celebre per le sue elegie struggenti dedicate ai fratelli Sakhr e Mu’awiya, caduti in battaglia. La sua opera è un esempio di come Al-Khansāʾ trasformi il dolore in arte.

Convertitasi all’Islam, la sua voce è riconosciuta per la potenza emotiva: Nabigha al-Dhubyani la proclamò “la migliore poetessa tra uomini e jinn”. Le poesie di Al-Khansāʾ, dense di lamento e di forza, raccontano il dolore personale come memoria collettiva, tra silenzio e canto.

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Compose decine di elegie per i fratelli, trasformando il lutto personale in epopea collettiva .

Il contributo di Al-Khansāʾ alla letteratura araba è inestimabile e continua a influenzare poeti e scrittori fino ad oggi.

Dopo la sua conversione all’Islam, il Profeta le disse: “Continuate, o Khunās!”, esortandola a proseguire nella recitazione, riconoscimento unico nella tradizione .

È ricordata come colei che ha elevato l’elegia araba a livello di arte alta, restando la figura femminile più influente della letteratura preislamica .

10 frasi di Al‑Khansāʾla più grande poetessa araba

Al-Khansāʾ trasforma il dolore in canone poetico. Le sue elegie non sono semplici versi, ma atti di memoria e resistenza. Ogni lacrima, ogni immagine, diventa spazio sacro per il cuore: non nasconde, ma rivela; non cancella, ma ricorda. In un mondo che corre via dalla perdita, la sua voce antica insegna a non dimenticare, ad accettare che il lutto, come la poesia, ha il potere di rendere eterno ciò che è consegnato all’eterno.

 

 1.
“Ho vegliato tutta la notte, occhi neri dal khôl. Ho guardato le stelle, nessuno ha notato me, avvolta in stracci umili.”

Il lutto è solitudine visibile e invisibile. La veglia notturna diventa rivelazione silente, dove il dolore si appartiene e si fa poesia.

 

2.
“Piangerò per te finché la colomba geme e le stelle illuminano la via del viaggiatore.”

Il pianto si fa canto e tempo; è memoria che accompagna, riflette e resiste al silenzio del tempo.

 

3.
“Il tempo mi spaventa e mi fa male… la mia tribù si sta riducendo, la polvere polverizza i figli di mio padre.”

La perdita è distruzione e dissolvimento della storia familiare. Il pianto è resistenza contro l’oblio.

 

4.
“Mi sono disfatta in lacrime, pianto che non si asciuga. Oh Sakhr, che serve lamentarsi per i morti nella fossa?”

Il riconoscere l’inutile è l’atto più sincero di forza: il dolore non va evitato ma contemplato, perché sta nella sua costanza la verità.

 

5.
“Pregherò perché Allah non tolga Sakhr e il suo amore… che non cancelli il mio Signore Muawiya. Loderò Allah, perché il dolore cresce mentre Allah fissa le cime dei monti.”

Dalla fede nasce la resilienza: il dolore diventa preghiera, memoria sacra e topografia dell’amore.

 

6.
“Gli eroi condussero le carovane mentre pativano la fame… Splendeva in guerra, come filo lucente di spada. Perché ho meritato questa scure di dolori?”

Ammirazione per la nobiltà del fratello, suo emblema. Il dolore nasce anche da un’assenza dotata di eroismo e bellezza.

 

7. “L’età del ferro mi ha portato via da lui; i dolori distruggono un’intera vita.”

La guerra segna, traccia esistenze e distanze definitive. Il dolore è testimonianza vivente della storia personale e collettiva.

 

8. “Polvere danza sulla tua bellezza… tempo mi fa male…”

L’immagine del tempo che consuma la forma contrapposta alla bellezza arriva a toccare il vuoto, e nella veglia si fa canto.

 

9.
“Mi sto muovendo verso la cura di Dio… tu, marziale e deciso, figli della libertà—vai!”

Il lutto si fa invito alla cura, alla vita, alla trasformazione del dolore in pietra miliare della compassione.

 

10.
“Non farò pace con coloro contro cui eri stato in guerra, finché la stanza degli ospiti annerita non torni bianca.”

Il ricordo resta tempo di domanda. Restare nella fedeltà al lutto è scelta di verità, prima che di pace.

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