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Paolo Ventura e i suoi scatti in bilico tra realtà e finzione protagonisti a FotoGrafia, Festival Internazionale di Roma

Sono sogni che aleggiano nell'aria, come nuvole nel cielo, impalpabili e sottili. Poi all'improvviso mutano e divengono raffiche di vento, feroci e violente, che colpiscono scatenando tutta la loro forza evocativa, tangibile, incredibilmente reale. Così sono le immagini nate dalla poetica di Paolo Ventura...

Stasera alle 18.00, presso il photobook “La Pelanda”, a Macro Testaccio, booksigning con Paolo Ventura, già protagonista del festival Internazionale di Roma con il lavoro “Lo Zuavo Scomparso”

MILANO – Sono sogni che aleggiano nell’aria, come nuvole nel cielo, impalpabili e sottili. Poi all’improvviso mutano e divengono raffiche di vento, feroci e violente, che colpiscono scatenando tutta la loro forza evocativa, tangibile, incredibilmente reale. Così sono le immagini nate dalla poetica di Paolo Ventura, in questo fine settimana assoluto protagonista della scena artistica romana. Il fotografo milanese, fino al 28 ottobre a Fotografia – Festival Internazionale di Roma con il lavoro “Lo Zuavo Scomparso”, accoglierà il suo pubblico stasera, presso il photobook "La pelanda", a Macro Testaccio, per la presentazione degli scatti – sempre in bilico tra realtà rievocativa e immaginazione – racchiusi nelle pubblicazioni “In tempo di guerra” e “Winter stories”, edite da Contrasto.

IN TEMPO DI GUERRA – Durante la Seconda Guerra Mondiale, il cadavere di un soldato giace tra le montagne del centro Italia; a Milano un tedesco, nascosto in una cantina di una casa in Via Monte Nevoso, viene catturato da alcuni partigiani mentre, a Torino, dei soldati tedeschi osservano il corpo del ‘gappista’ G. Masi appena ucciso in uno scontro a fuoco. Sono solo tre delle fotografie che Paolo Ventura ha raccolto in “In tempo di guerra”, un libro che crea e racconta gli scenari crudi e intensi della guerra. Ma, a differenza di altri lavori, le foto di Ventura sono palesemente finte: le  immagini sono frutto di una meticolosa messa in scena e ognuna rappresenta un inesistente ma verosimile ricordo. I soldati sono manichini e le scene e gli oggetti tra cui si muovono sono tutti riprodotti in scala. Come in una grottesca ‘casa di bambola’, Ventura mette in scena la guerra come rappresentazione ludica e grottesca senza sacrificare l’emozione e il dolore. Una riflessione sorprendente e profonda sul valore della documentazione e della memoria. La scrittrice americana Francine Prose ha scritto a proposito di “In tempo di guerra: “Queste fotografie generano una sospensione temporale, un silenzio malinconico durante il quale ci sembra quasi di sentir bisbigliare i misteri che riguardano la vita e la morte, il tempo e l’età, l’infanzia, l’innocenza e la consapevolezza dell’essere adulti, l’arte, la guerra, la storia, e poi domande come ‘Cosa stiamo guardando?’, ‘Cosa ci sembra di guardare?’, ‘E cosa pensiamo di quello che stiamo guardando?”. “Osservare queste fotografie – conclude la Prose – genera uno stato di sospensione, un silenzio malinconico in cui ci pare come di udire in un bisbiglio gli interrogativi che riguardano la vita e la morte, il tempo e la vecchiaia, l’innocenza dell’infanzia e la consapevolezza della maturità, l’arte, la guerra, la storia”.

WINTER STORIES – In qualche luogo indefinito, forse tra la Francia e l’Italia, c’è una terra dove i sogni sembrano diventare visibili, quasi reali, con forme e colori precisi, anche se deboli. O almeno, questo è ciò che accade ai sogni di Paolo Ventura che ha popolato questa ‘in-tra terra’ con le immagini che sono illusorie e terribilmente tangibili, distanti – come se emergessero dal passato ricordi sepolti nella mente – e ancora così vicine, reali, e vibranti di vita. “Winter Stories”, di Paolo Ventura, è un racconto visivo fatto di incredibili e personali associazioni dove i personaggi sono uomini-uccello, giocolieri e clown, acrobati e violinisti. Per ogni immagine – veri e propri frammenti di un sogno – Paolo ha creato scenari e personaggi, immaginando luci, vestiti, arredamento e mobili, con il fervore di un vero e proprio bricoleur e la capacità di un grande autore. Ogni fotografia è una piccola e perfetta riproduzione di qualcosa che anche noi avremmo voluto sognare. O che forse abbiamo già sognato insieme a lui. Commenta la Prose: “Se, come diceva Diane Arbus, una fotografia è un mistero di un mistero, nei lavori di Paolo Ventura i misteri sembrano moltiplicarsi esponenzialmente, come i riflessi catturati nell’infinita progressione di una sala di specchi.”

LO ZUAVO SCOMPARSO – Dal lontano 2003, sempre nell’ambito del festival Fotografia, la “Commissione Roma” richiama fotografi di fama internazionale e a loro affida il compito di raccontare, attraverso le loro immagini, la città eterna. Dopo dieci anni il rischio di ripetersi, di mancare di originalità, di fotografare una città sempre uguale a se stessa è alto. Ed è forse per questo motivo che Paolo Ventura ha deciso di farlo in un modo del tutto originale, ma fedele alla sua poetica, tra reale e finzione. Ventura entra a Roma nei panni di uno zuavo scomparso, passeggiando sotto un cielo carico di nuvole e in una città dove l’elemento reale si mescola alle sue ricostruzioni: egli costruisce verità di esterni, che si alternano a interni romani, con piccoli riferimenti della città, solo talvolta accennati (il Vittoriano, qualche cupola) e, a differenza di “Winter stories” e “In tempo di guerra”, ne “Lo zuavo scomparso” non inserisce nessuna narrazione diretta, nessun ricordo. Così commenta il suo lavoro Paolo Ventura, a proposito del tema della scomparsa e della scelta di un personaggio così particolare come è lo zuavo: “A me fisicamente non interessa di scomparire. Però mi affascina molto la scomparsa fisica, da Ettore Majorana a Federico Caffè. La scomparsa è straordinaria perché lascia aperto tutto, per cui se non trovano un cadavere, la scomparsa lascia la fantasia libera, immagini qualcosa, mentre la morte è la morte! Sì, mi piaceva l’idea di avere qualcuno che scompariva. Lo Zuavo, l’ho scelto innanzitutto perché è una figura senza tempo, nel senso che fa parte per me di quelle figure come i preti, i carabinieri che hanno ottenuto, nel loro non cambiare, il fatto che li puoi mettere in qualsiasi luogo, in qualsiasi tempo e non cambiano. Hanno questi abiti che diventano dei costumi, come i clown. Mi piacciono queste figure che vivono un non tempo”. Nei suoi non tempi Ventura racconta attraverso la costruzione di complessi rapporti realtà/finzione, si prende tutte le libertà che questo rapporto gli permette, e si prende tutte le libertà da Roma. E alla fine spiega: “Io tendo sempre a non enfatizzare troppo il fatto che sia finto, cioè mi interessa dirlo e fare vedere come lo costruisco, però per me l’idea è poi il risultato… che sia finto, che sia vero non è importante… importante è la suggestione che ti crea. Anche perché, per fortuna, il senso della fotografia si sta perdendo completamente, il punto è il risultato”.

21 settembre 2012

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