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Nathalie Herschdorfer, ”La fotografia di moda è parte integrante della nostra cultura visuale”

A noi sembra scontato intendere la fotografia di moda come forma d'arte, ma fino a pochi anni fa era relegata al rango di fotografia pubblicitaria, usata per scopi commerciali. A sottolinearlo è Nathalie Herschdorfer, curatrice della mostra ''Fashion'', che ripercorre cent'anni di fotografia di moda attraverso immagini tratte dagli archivi Condé Nast, in corso presso la Fondazione Forma di Milano...

La curatrice della mostra “Fashion”, in corso presso la Fondazione Forma di Milano, parla del valore della fotografia di moda come forma d’arte e documento sulla storia della società, e spiega perché abbia scelto gli archivi Condé Nast per l’esposizione

MILANO – A noi sembra scontato intendere la fotografia di moda come forma d’arte, ma fino a pochi anni fa era relegata al rango di fotografia pubblicitaria, usata per scopi commerciali. A sottolinearlo è Nathalie Herschdorfer, curatrice  della mostra “Fashion”, che ripercorre cent’anni di fotografia di moda attraverso immagini tratte dagli archivi Condé Nast, in corso presso la Fondazione Forma di Milano. Storica specializzata in storia della fotografia, Nathalie  Herschdorfer ci spiega perché abbia deciso di lavorare a questa esposizione – illustrandoci il valore della fotografia di moda quale documento dei cambiamenti della società e arte interpretata da grandi maestri – e come abbia scelto gli archivi Condé Nast per la ricchezza e significatività della documentazione qui conservata.

IL PASSATO DELLA FOTOGRAFIA DI MODA – “Oggi la fotografia di moda viene esposta nei musei e in luoghi dove si possono andare ad ammirare o acquistare gli scatti di maestri come Helmut Newton o Peter Lindbergh, e per le persone è diventato normale poter visitare mostre dedicate a questo genere di fotografia, ma in realtà si tratta di qualcosa di molto recente”, afferma Nathalie Herschdorfer. “Fino a poco tempo fa la fotografia di moda era concepita esclusivamente per i fashion magazine, non era altro che una pagina all’interno della testata: la si poteva strappare e appendere al muro della propria camera, come fanno i teenager, tutto qui. Ogni progetto era commissionato da una rivista di moda, i fotografi venivano pagati per realizzare servizi finalizzati a far vendere i capi di moda, non erano loro a proporre i loro lavori personali per la pubblicazione. Per molto tempo la fotografia di moda è stata dunque intesa come un genere di fotografia commerciale, pubblicitaria: c’era l’arista da un lato, e dall’altro c’era il fotografo di moda, che non erano la stessa cosa. Il lavoro personale di Helmut Newton aveva una tale forza che non si poteva non considerarlo un artista, ma quello era il suo lavoro personale, che era distinto dai suoi servizi nel campo della fotografia di moda.”

LA FOTOGRAFIA DI MODA: PARTE DELLA NOSTRA CULTURA VISUALE – “Ci è voluto del tempo per capire che la fotografia di moda era parte della nostra cultura visuale e per iniziare davvero ad apprezzarla anche come forma d’arte”, prosegue Nathalie Herschdorfer. “In anni recenti, possiamo andare indietro con lo sguardo, ripercorrere la storia della fotografia e riconoscere la fotografia di moda come sua parte integrante, al pari di quella paesaggistica, dei ritratti o della fotografia documentaristica. Io non sono un’appassionata di moda, ma come storica della fotografia mi interessa ripercorrere le tappe di questo genere, sono interessata alla fotografia di moda perché penso che scatti come quelli esposti qui dicano molto riguardo alla società. Le fotografie della prima sala ci parlano degli anni Venti, e in particolare dell’idea di donna negli anni Venti. Lo stesso fanno anche le fotografie successive: in quelle degli anni Sessanta i giovani, la trasgressione, negli anni Ottanta arrivano le grandi top model, bellissime e glamour, come Claudia Schiffer.”

GLI ARCHIVI CONDÉ NAST: UN PATRIMONIO INESTIMABILE – “Perché ho scelto gli archivi di Coné Nast? Perché negli archivi di Condé Nast è conservato fin dall’inizio tutto quel che è stato pubblicato sulle testate”, spiega la curatrice. “Ci sono immagine molto vecchie, fatte per essere riprodotte su carta, e negli archivi tutto il materiale è catalogato in base alla data di pubblicazione, non per artista. Si può per esempio consultare il materiale nella scatola ‘marzo 1993’, e lì si trovano tutte le fotografie pubblicate sul numero di Vogue di quel mese. Se avessi voluto lavorare con Harper’s Bazaar, per esempio, non avrei avuto a diposizione tutte queste immagini, e questa è una delle ragioni per cui ho deciso di lavorare con Condé Nast. Condé Nast inoltre è una realtà internazionale: nel 1920 fu lanciata Vogue Paris, nel 1916 British Vogue, nel 1964 Vogue Italia, e attualmente ci sono numerose edizioni di Vogue in tutto il mondo. E poi naturalmente per Condé Nast hanno lavorato fotografi d’eccezione come Man Ray, Horst P. Horst, Erwin Blumenfeld, Peter Lindbergh, Helmut Newton, Paolo Roversi: fu Condé Nast a scoprirli quando erano ancora giovani, in cerca di lavoro. I loro nomi erano ancora sconosciuti, non erano ancora stati consacrati grandi maestri della fotografia: fu Condé Nast a dare loro una possibilità. Horst P. Horst cominciò a lavorare per Vogue all’inizio degli anni Trenta e continuò fino agli anni Ottanta, Helmut Newton vi lavorò per quarant’anni. Ecco anche perché è stato così interessante lavorare su questi archivi. Certo, avrei potuto scegliere un altro magazine, ma dove avrei potuto trovare un archivio che conservasse immagini internazionali di un intero secolo di pubblicazioni? L’archivio Condé Nast di New York conserva 8 milioni di fotografie: una documentazione di straordinaria ricchezza.”

 

19 gennaio 2013

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