Sei qui: Home » Fotografia » La danza sulle acque del Gange negli scatti di Giulio Di Sturco

La danza sulle acque del Gange negli scatti di Giulio Di Sturco

Una delle voci più rappresentative del reportage italiano, vincitore di un World Press Photo Award nel 2008, espone per la prima volta a Milano 40 immagini frutto della ricerca fotografica condotta sul Gange e su altri fiumi del continente indiano. Fino al 28 febbraio 2013, il Centro Culturale di Milano ospita la mostra di Giulio di Sturco dal titolo ''Fratello Fiume''...
Simbiosi tra natura e uomo nella mostra fotografica “Fratello Fiume. Lo scorrere delle acque nel destino dell’uomo” allestita al Centro Culturale di Milano

MILANO – Una delle voci più rappresentative del reportage italiano, vincitore di un World Press Photo Award nel 2008, espone per la prima volta a Milano 40 immagini frutto della ricerca fotografica condotta sul Gange e su altri fiumi del continente indiano. Fino al 28 febbraio 2013, il Centro Culturale di Milano ospita la mostra di Giulio di Sturco dal titolo “Fratello Fiume”, terzo capitolo della trilogia che il Centro ha dedicato alla relazione complessa tra uomo e ambiente, e che ha già visto protagoniste le monografiche di Edward Burtynsky e Ragnar Axelsson.

GIULIO DI STURCO
– Enrica Viganò, curatrice delle mostre di fotografia al Centro Culturale di Milano, questa volta sceglie il lavoro di un giovane, già diventato una delle voci più rappresentative del nuovo reportage italiano, vincitore del World Press Photo Award, categoria Arts and Entertainment, nel 2008 e di altri importanti riconoscimenti quali il Sony World Photography Award. Giulio Di Sturco ha 33 anni e vive prevalentemente a Bangkok in Thailandia. Ha studiato fotografia all’Istituto Europeo del Design e Arti visive di Roma e il suo lavoro è apparso su numerose pubblicazioni nazionali e internazionali, come L’Espresso, Io Donna, The Daily Telegraph magazine, Geo magazine, The Sunday Times Magazine. Ha cominciato diverse collaborazioni con alcuni dei più importanti organismi internazionali come United Nations, Greenpeace, MSF, Unitaid, WHO e Action Aid.

LA MOSTRA FOTOGRAFICA
– L’esposizione presenta 40 immagini dell’artista, frutto della sua ricerca fotografica sul contesto umano e naturale del Gange e dei suoi affluenti, rivelando grandi capacità nel cogliere l’umanità e il suo legame col mondo, intesi come simbiosi quasi fraterna con le persone che abitano sulle sue sponde, con il suo destino, con i fatti di cui è vittima o protagonista. Dal suo lavoro emerge il destino del fiume e, nel contempo, il rapporto degli uomini con esso, sia quello di irresponsabilità che segnala un’estraneità, sia quello di accoglienza della sua forza che ne rivela il senso profondo della vita. “La mostra – suggerisce il direttore del CMC, Camillo Fornasieri – raccoglie una cifra poetica di questo giovane autore che fa tornare attuali, da tempi e regioni diverse, ma con la medesima ontologia, i fiumi di Ungaretti, il Gange di “The waste Land” di T. S. Eliot, la memoria, la piccolezza e grandezza dell’uomo, e mette in luce non già la sola capacità di homo faber, ma il cuore, capace cioè di abitare il mondo secondo un senso e il proprio destino”.

OMAGGIO ALLA VITA DEL GANGE
– “Il Gange esprime la contraddizione irrisolta tra l’uomo e l’ambiente, fiume intimamente connesso con ogni singolo aspetto della vita degli Indiani. È fonte di acqua, energia e sostentamento per milioni di individui che abitano lungo le rive di questo fiume che, grazie alle terre fertili che irriga, fornisce cibo a più di un terzo della popolazione indiana. Il suo ecosistema, inoltre, include tra le più numerose e varie specie animali e vegetali. Nonostante ciò ad oggi è uno dei fiumi più inquinati al mondo a causa dei rifiuti tossici che ogni giorno le fabbriche riversano nelle sue acque – queste la parole della curatrice Viganò. “Per raccontare con incisività questo scontro dialettico tra forze che originano entrambe dalla stessa fonte-prosegue la curatrice- l’autore lavora a colori scegliendo delle tonalità cupe, fredde, profonde quando ritrae le concerie di Kanpur, la diga di Tehri oppure gli effetti ambientali dovuti agli interventi sul Gange, quasi a lasciar presagire lo scenario di desolazione e sconforto che attende il genere umano se non invertirà presto il destino del fiume. Quando invece  si perde nelle festività religiose indù, tra masse di pellegrini che arrivano da ogni parte del paese per lavare i propri peccati nelle acque sacre, il cuore dell’artista si scalda e l’uso del colore si fa più intenso, acceso, carico. Per le inondazioni del Bihar invece sceglie il bianco e nero, morbido, avvolgente. La prima volta che ho visto gli scatti di Giulio sulla “Grande Madre” – il nome che gli Indù danno al Gange – ho pensato subito di avere tra le mani un lavoro di grande valore, uno di quelli che ti resta nella memoria anche quando gli occhi non vedono, uno di quelli in grado di trascinare fuori dai confini dell’anima emozioni forti di empatia, disincanto, rabbia e speranza”.

ALLESTIMENTO E CONTRIBUTI
– L’esposizione è curata da Enrica Viganò e ideata da Camillo Fornasieri, organizzata dal Centro Culturale di Milano e Admira, col patrocinio del Comune di Milano, Cultura, Expo, Moda, Design, il contributo del Credito Artigiano, del Gruppo FNM, di DB Arriva, è accompagnata da un volume della collana “I Quaderni del CMC” con testi di Enrica Viganò, di Fabrice Hadjadj e un’intervista della curatrice a Giulio Di Sturco.

2 febbraio 2013

© Riproduzione Riservata