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La Biennale dell’immagine scopre in anteprima gli scatti d’autore di tre fotografe che hanno raccontato il Novecento

Spesso capita anche alle opere di molti fotografi di venir scovate e tornare alla luce quasi per miracolo. È il caso delle altre tre fotografe ''storiche'' che la Biennale dell'immagine – la manifestazione sull'arte fotografica e sulle arti visive contemporanee del Comune di Chiasso – ha scelto per il suo percorso espositivo...
Nell’ambito della Biennale dell’immagine, il m.a.x.museo di Chiasso scopre per la prima volta tre fotografe che con i loro scatti hanno documentato la società e la cultura del Novecento

MILANO – Spesso capita anche alle opere di molti fotografi di venir scovate e tornare alla luce quasi per miracolo. È il caso delle altre tre fotografe “storiche” che la Biennale dell’immagine – la manifestazione sull’arte fotografica e sulle arti visive contemporanee del Comune di Chiasso – ha scelto per il suo percorso espositivo. Da sabato 24 novembre fino al 31 gennaio 2013, gli spazi del m.a.x.museo ospiteranno la mostra “Lucia Moholy (1894-1989) tra fotografia e vita”, dedicata alla  fotografa, scrittrice e insegnante meglio nota come moglie dell’artista Lázló Moholy-Nagy; l’accompagneranno in questo studio sulla fotografia gli scatti della fotografa ambulante Leonilda Prato, protagonista di “Un cammino verso la luce”, e quelli della sua contemporanea polacca Stefania Gurdowa, raccolti nella mostra “Il doppio volto. Sommersi e salvati”.

TRA FOTOGRAFIA E VITA – “Lucia Moholy (Praga 1894 – Zurigo 1989), pur essendo considerata l’autrice della più importante opera di documentazione riguardante l’eccezionale esperienza del Bauhaus, non ha mai avuto in tempi recenti l’onore di una mostra personale, continuando a essere considerata in primo luogo come la moglie del più celebre e celebrato László Moholy-Nagy”, spiega Antonio Mariotti, responsabile dell’VIII Biennale dell’immagine. La Moholy comincia a dedicarsi alla fotografia nel 1922 a Weimar, aiutando il marito nelle sue formulazioni e nei suoi esperimenti. La svolta significativa si ha sicuramente quando, trasferitasi a Dessau, inizia la sua collaborazione con la Bauhaus: “Nella sua fotografia, che potremmo definire sperimentale, testimonia con tagli inconsueti l’atmosfera innovativa della didattica della scuola, in particolare con la sezione dei ritratti degli stessi maestri del Bauhaus”, prosegue Mariotti. Nel 1933 – chiuso il Bauhaus – emigra a Praga, Vienna, passando un periodo anche in Yugoslavia, quindi a Parigi e stabilendosi poi a Londra, dove si distingue come scrittrice e ritrattista. Partecipa da intellettuale anche al lato teorico della fotografia, scrive numerosi articoli e nel 1939 pubblica “A Hundred Years of Photography, 1839-1939” (Harmondsworth, 1939), una storia culturale della fotografia che rimarrà antesignana dello specifico settore. Cresciuta fra uomini di talento e carattere, Lucia Moholy si separa dal marito e, dopo diverse dimore, decide di vivere in Svizzera, a Zurigo dove continuerà la sua attività di fotografa e soprattutto di pubblicista nell’ambito della critica d’arte e della pedagogia dell’arte.

UN CAMMINO VERSO LA LUCE – Per una decina d’anni, tra fine Ottocento e l’inizio del secolo scorso, Leonilda Prato vive spostandosi senza tregua tra il Piemonte, la Lombardia e la Svizzera romanda. Partita dal villaggio natio di Pamparato, insieme al marito Leopoldo, fisarmonicista, Leonilda per diverso tempo non fa altro che accompagnarlo alla chitarra e al canto, in un mondo di ambulanti, fatto di venditori di mercanzie di ogni genere, imbonitori e mendicanti, maghi e fattucchiere di ogni genere. Racconta Antonio Mariotti: “La leggenda vuole che sia proprio durante un soggiorno in Svizzera, che la donna apprenda i rudimenti della fotografia da un artigiano austriaco che piazzava il suo treppiede in ogni villaggio della regione”. Leonilda impara presto, si procura la necessaria attrezzatura e si «inventa» così un’attività autonoma che continuerà ad esercitare, con ritmi e necessità diverse, fino a poco prima della morte, avvenuta nel 1958.

SOMMERSI E SALVATI – Figlia di un maestro di musica delle antiche miniere di sale della Bochnia, nata a Debica nel 1888 – nel sud della Polonia – Stefania Gurdowa ha imparato l’arte fotografica di studio, in un’epoca in cui, i primi decenni del Novecento, ognuno poteva onorarsi – spesso per la prima volta – di un ritratto. Nel suo studio vede passare centinaia di persone nei cui sguardi sembra trapelare la consapevolezza che il loro mondo sta per essere sconvolto dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Sconvolgimenti che influenzeranno fortemente la vita della stessa fotografa, tanto che le sue immagini, considerate perdute, riaffioreranno da un nascondiglio ricavato nel muro del suo studio soltanto una decina d’anni fa.

21 novembre 2012

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