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Hiroshi Sugimoto, il tempo e la storia negli scatti del fotografo giapponese

Dall’8 marzo al 7 giugno, la Fondazione Fotografia Modena presenta negli spazi espositivi del Foro Boario di Modena una mostra antologica dedicata a Hiroshi Sugimoto, tra i più autorevoli interpreti della fotografia contemporanea internazionale...

“Ho deciso di tornare agli albori della nostra epoca attraverso l’architettura. Ho spinto la lunghezza focale della mia vecchia macchina fotografica grande formato al doppio dell’infinito togliendo i blocchi al soffietto di messa a fuoco, ottenendo un’immagine indistinta. E ho scoperto che l’architettura superlativa sopravvive, per quanto dissolta, alla violenza dell’immagine sfuocata. Perciò, ho cominciato a mettere alla prova dell’erosione l’architettura per valutarne la durevolezza, un processo che ha portato molti edifici alla dissoluzione completa“
(Hiroshi Sugimoto)

MILANO – Dall’8 marzo al 7 giugno, la una mostra antologica dedicata a Hiroshi Sugimoto, tra i più autorevoli interpreti della fotografia contemporanea internazionale. Il percorso, a cura del direttore di Fondazione Fotografia Modena Filippo Maggia, ripercorre l’intera carriera dell’artista, presentando alcune pietre miliari della sua ricerca.

 
HIROSHI SUGIMOTO – Attivo dalla metà degli anni settanta, Hiroshi Sugimoto (Tokyo, 1948) utilizza il mezzo fotografico per indagare le tracce della storia nel nostro presente. In particolare, nel ritrarre soggetti che ricreano o replicano momenti di un passato distante e luoghi geograficamente lontani, Sugimoto critica la presunta capacità della fotografia di ritrarre la storia con accuratezza. A quest’impostazione concettuale, l’artista unisce un rigore metodologico tipicamente orientale: la meticolosa perfezione delle sue stampe è il risultato di un lavoro imponente, che include un’ampia ricerca preliminare, l’uso di fotocamere di grande formato e delle tradizionali tecniche del bianco e nero. Ogni progetto ha origine da una riflessione filosofica profonda su un determinato tema e spesso si protrae per molti anni a venire.

Nel 1988 riceve il Mainichi Art Prize e nel 2001 il prestigioso Hasselblad Foundation International Award. Le opere di Sugimoto figurano nelle più importanti collezioni museali internazionali tra cui quelle della Tate Gallery di Londra, del Museum of Contemporary Art di Chicago e del Metropolitan Museum di New York.

LA SUA RICERCA – Sugimoto ha lasciato il Giappone nel 1970 per studiare arte a Los Angeles, in un periodo in cui il Minimalismo e l’Arte Concettuale regnavano sovrani: entrambe le correnti, infatti, hanno influito molto sulla sua visione estetica. Man mano che la sua ricerca si è evoluta, Sugimoto ha individuato soggetti di una tale profondità concettuale che è tornato ciclicamente a rivisitarli nel corso della sua carriera. Dal Minimalismo, in particolare, ha tratto una passione rigorosa per la serialità, che lo ha portato ad organizzare il suo lavoro in serie ben definite ed omogenee.

LA MOSTRA – La mostra di Modena dà conto delle più importanti: dai misteriosi orizzonti marini della serie Seascapes ai celebri Theaters ripresi con lunghissimi tempi d’esposizione; dai Dioramas realizzati nei musei di storia naturale fino alle recenti fotografie ‘out-of-focus’ dedicate alle icone dell’architettura modernista. Il percorso comprende inoltre alcuni famosi Portraits di personaggi storici in cera e lavori ispirati ai primi esperimenti fotografici condotti da William Henry Fox Talbot (1800-1877): i Photogenic drawings, ricavate rifotografando i negativi di Talbot e colorando le successive stampe, e i Lightning fields, ottenuti direzionando sulla pellicola fotografica una scarica elettrica da 400 mila Volt con un generatore Van de Graaff. Un altro ambito in cui Sugimoto è significativamente attivo, inoltre, è la produzione di libri d’artista, testimoniata da ben 52 volumi monografici che saranno esposti in mostra.

LE OPERE IN MOSTRA E I PERCORSI – “A caratterizzare la pratica artistica di Sugimoto – commenta il curatore Filippo Maggia –, sono l’indagine del passato e la necessità di raffigurare il tempo dandogli corpo attraverso la fotografia. L’approccio dell’artista è meditabondo, lento, giustamente prudente: d’altronde, per sentire il tempo occorre averne piena coscienza e rispetto. Ripercorrendo la carriera di Sugimoto a ritroso, risulta evidente come la sua non sia altro che un’incessante sfida alle potenzialità che la fotografia offre all’artista, come tecnica, linguaggio e strumento di interpretazione del mondo, accompagnata ad un’altrettanto approfondita pratica di altre discipline, come il design e l’architettura”.

“Nella serie Dioramas (1976 – 2012) – spiega Maggia – il punto di vista è quello di un osservatore consapevolmente estraneo alla scena, come spesso lo è il fotografo, e l’ossessiva ricerca del vero condotta dall’artista è amplificata dal fatto di ritrarre un’ambientazione sotto vetro, di per sé statica e immobile come una fotografia già scattata. Nei Seascapes (serie in corso dal 1980), lo sguardo si posa invece su distese d’acqua infinite, immutate da millenni e depositarie di una lunga storia che si ripete nel lento e inesauribile approdare alla riva”.

Di un tempo ben scandito da un inizio e da una fine raccontano invece i Theaters (serie in corso dal 1976), in cui il tempo della pellicola che viene proiettata sullo schermo coincide con quello dell’esposizione: “In questo caso, il rettangolo bianco al centro dell’immagine è metafora di una duplice visione – prosegue Maggia –: di quello che è stato il flusso di immagini risolto nel bianco abbacinante dello schermo e di quanto contestualmente è andato apparendo su di esso, il teatro appunto, come su un foglio fotografico immerso nel rivelatore”.

Nei Portraits (1999) l’artista ritorna alle figure in cera che aveva esplorato per la prima volta nei Dioramas. A differenza di quelle prime rappresentazioni, questi ritratti di personaggi storici in bianco e nero sono quasi a grandezza reale. Lavorando su una scala inedita per lui, Sugimoto libera le statue di cera dalle scenografie del Museo di Madame Tussaud di Londra e le ricolloca su uno sfondo nero così da renderle ancora più inquietanti. La resa pittorica dei soggetti, così ricca di dettagli, richiama i quadri di Hans Holbein, Anthony van Dyck e Jacques Louis David, dai quali molte delle statue di cera già traevano ispirazione. L’allestimento presenta inoltre un nucleo di opere della serie Architecture (in corso dal 1997), realizzate da Sugimoto in occasione della XIV Biennale d’Architettura, recentemente esposte alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia: tra queste, le vedute del Johnson Wax Building di Frank Lloyd Wright, la Einstein Tower di Erich Mendelsohn, il Monumento ai Caduti del futurista italiano Antonio Sant’Elia, la Serpentine Gallery di Londra, il Museum of Modern Art di New York. Queste mostrano come “l’interesse di Sugimoto per il primo modernismo in architettura si sia progressivamente spostato dai volumi alle strutture e al rapporto di queste con l’ambiente – spiega Maggia–. Il particolare sistema di ripresa utilizzato dall’artista permette di ottenere un’immagine in cui il soggetto ripreso appare come indefinito, eppure ben percepibile, a noi prossimo, palpabile come se la sua superficie fosse davvero a portata di mano. E con essa la sua storia, il suo esistere perpetuo nel tempo, reso ancora più definitivo dall’immutabilità della fotografia”.

 

 

8 marzo 2015

 

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