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Grazia Neri, ”La fotografia si riapproprierà del suo valore conoscitivo grazie ai nuovi media”

La fotografia dice o no la verità? È questa la domanda che nessun fotografo può eludere. E alla questione Grazia Neri, fondatrice dell'agenzia che porta il suo nome, considerata la più importante agenzia fotografica italiana, dà la sua risposta nel capitolo d'apertura de ''La mia fotografia''...

La photo editor che ha fondato la più celebre agenzia fotografica italiana, l’Agenzia Grazia Neri, ha presentato questa settimana a Milano il suo libro, “La mia fotografia”

MILANO – La fotografia dice o no la verità? È questa la domanda che nessun fotografo può eludere. E alla questione Grazia Neri, fondatrice dell’agenzia che porta il suo nome, considerata la più importante agenzia fotografica italiana, dà la sua risposta nel capitolo d’apertura de “La mia fotografia”. Grazia Neri ha presentato il suo libro martedì a Milano, alla Feltrinelli in piazza Piemonte, in compagnia della photo editor Chiara Mariani.

UN LIBRO DALLE MOLTE ANIME – Chiara Mariani ci introduce alla lettura de “La mia fotografia” presentandolo come “un libro veramente importante, che racchiude in sé molti aspetti e può essere amato da molti.” E prosegue: “È una biografia, e piacerà sicuramente a chi ama le ‘intrusioni’ nelle vite altrui, è un libro di storia, che prende la fotografia come pretesto per analizzare cinquant’anni di storia, che ci racconta l’evoluzione, o l’involuzione, della stampa, ed è un libro di fotografia, fondamentale per chi con questo linguaggio lavora ma anche per chi lo ‘subisce’. Un’altra ragione dell’importanza di questo libro è la sua preziosa bibliografia – Grazia è una lettrice onnivora, negli ultimi vent’anni le ho sentito citare almeno un libro al giorno, e qui ci suggerisce cosa è importante leggere e anche quali blog consultare.  Vengono affrontate anche tutte le problematiche che rischiano di mettere in crisi chi fa fotografia, chi la scatta e chi la pubblica: le leggi sulla privacy, internet, che ha dimostrato che il nostro copyright è insufficiente, photoshop, che ha imposto l’orrore dell’imperfezione, la dittatura del glamour.”

IL VALORE CONOSCITIVO DELLA FOTOGRAFIA – “In tutto ciò”, domanda Chiara Mariani all’autrice, “la fotografia può ancora essere considerata strumento di conoscenza?” “Per me la fotografia è sempre un modo di conoscenza”, è con questa dichiarazione che  Grazia Neri prende la parola. “La fotografia riproduce l’avvenimento davanti ai nostri occhi, che, sebbene non sia necessariamente sempre la verità, è quanto di più vicino abbiamo a questa. La fotografia, e lo spiego nel capitolo di apertura del libro, non può essere la verità assoluta, ma si avvicina alla verità. Per fare questo però deve essere vegliata da un uso corretto, da una corretta didascalia, da un editing importante, da una sequenza che racconti una storia. L’uso che ne fanno i giornali, invece, la riduce talvolta a ornamento. Spesso  sui quotidiani, da una certa pagina in poi, si vedono soltanto primi piani, non accompagnati da didascalie, e queste immagini non riescono a catturare la nostra attenzione. Ma questo è un discorso diverso. Io credo che la fotografia si riapproprierà del suo valore conoscitivo attraverso i nuovi mezzi della comunicazione.”

LA FOTOGRAFIA E LA GUERRA IN IRAQ – “Ricorre quest’anno il decennale della guerra in Iraq, l’ultima registrata da fotografi professionisti, senza l’intrusione dei cellulari e di Instagram”, ricorda Chiara Mariani intervenendo di nuovo. “La guerra in Iraq è stata esemplare per la fotografia”, riflette a questo proposito l’autrice, “perché ha dimostrato come questa possa influenzare la nostra vita. Erano molti gli americani a favore di questa guerra, erano in molti ad averla voluta, ma le fotografie che arrivavano da lì hanno contribuito a far cambiare opinione. Le immagini dei piccoli villaggi distrutti hanno rafforzato lo sdegno nei confronti della violenza. Allora si scattava ancora con l’analogico, con i metodi tradizionali, ma proprio la guerra in Iraq ha segnato la fine di un tipo di lavoro e l’inizio di un altro. Abbiamo visto con la primavera araba che le cose sono completamente cambiate.”

LA FINE DEGLI SCOOP – L’altro argomento di discussione proposto è se esistano ancora o meno gli scoop. “Scoop come quelli che si facevano negli anni Ottanta, che immortalavano personaggi e uomini politici e permettevano alle agenzie di fare vendite eccezionali, purtroppo sono spariti”, afferma Grazia Neri. “Ormai non esistono più miti, i personaggi sono poveri di contenuto , non durano nel tempo. Non ci sono più sogni da proiettare. Le cose che vale la pena di immortalare sono piuttosto altre: qualche giorno fa al tg ho visto che hanno scoperto un pesce con denti come quelli degli uomini! Sono curiosità del genere che mi piacerebbe veder fotografate.”

UN PATRIMONIO PERSO – “Mi sembra che tu sia preoccupata di come le fotografie vengano selezionate dalle agenzie per essere archiviate”, riprende la parola Chiara Mariani. “Secondo te stiamo perdendo un patrimonio?” “Purtroppo sì”, si rammarica Grazie Neri. “Facendo ricerche di fotografie che conosco a memoria, di venti o trent’anni fa, mi sono accorta che molti scatti di fotografi importanti non si trovano più. A questo riguardo, al di là del fatto che non poter più rivenire la foto di un personaggio o di un autore che ho amato è un grande dispiacere a livello personale, mi preoccupa molto che siano scomparse, per esempio, certe fotografie di guerra  – perché le guerre, ricordiamolo, sono state documentate meglio con le immagini piuttosto che con le parole. Un buon archivista dovrebbe avere almeno cent’anni per poter fare un lavoro efficace e saper riconoscere ciò che va salvato. E invece le agenzie mettono a lavorare negli archivi gli ultimi arrivati, dei ragazzini.”


L’OMOLOGAZIONE DELLE IMMAGINI
– “Nel libro c’è anche un colloquio con Uliano Lucas. Voi dite: ‘La fotografia non esiste se non viene guardata, e il rischio è che si vedano sempre le stesse fotografie’. Tanti anni fa del resto tu mi avevi detto che un giorno tutti i quotidiani avrebbero avuto le stesse immagini: siamo già arrivati a quel giorno”, domanda ancora Chiara Mariani. “Sì, a causa della crisi economica tutti si servono delle stesse agenzie, Reuters, France Press… Se c’è un evento internazionale, i quotidiani italiani, francesi, inglesi pubblicano tutti più o meno gli stessi scatti. È una cosa molto triste”, commenta Grazia Neri, “perché in questo modo non ci possiamo educare alla ‘lettura’ della fotografia, alla comprensione del suo valore estetico o documentale – non abbiamo parametri per capire se una fotografia sia bella o no, se ci dica la verità o no. Io credo che sarà il web a farci vedere le cose d’0ra in avanti, e ci sarà sicuramente qualcuno che sul web saprà inventarsi il modo per attirare la nostra attenzione.”

LA FOTOGRAFIA E L’11 SETTEMBRE – Si passa poi a parlare dell’11 settembre, che per Grazia Neri, scrive, “è stato un momento di svolta nella percezione degli eventi, il vero banco di prova per le camere digitali”. “L’11 settembre è sicuramente nella mia mente qualcosa di indimenticabile sul piano della mia professionalità”, afferma l’autrice. “Eravamo tornati il giorno prima da Perpignano [cittadina francese che da più di vent’anni ospita Visa Pour l’Image, la più importante rassegna al mondo di fotogiornalismo – N.d.R.]: i fotografi americani da qui erano volati tutti su New York, dove quel giorno si trovarono così riuniti i professionisti massimi del mestiere. L’11 settembre abbiamo visto all’opera i migliori: sono state scattate fotografie molto belle. James Nachtwey è riuscito a realizzare dodici immagini straordinarie, tra cui anche uno scatto concettuale: la fotografia di una chiesa in fiamme, il cristianesimo contro il fuoco islamico. Si trattò di un evento così importante e così ben documentato che per la prima volta dopo tanto tempo – e si era già in un’epoca di crisi per il settore – uscirono dei supplementi che andarono a ruba. Un’altra cosa che mi ha colpito in quell’occasione è stato il comportamento fortemente etico da parte della stampa americana, che ha cercato di non pubblicare le fotografie che avrebbero potuto offendere i parenti delle vittime. In America per esempio non hanno pubblicato le immagini terribili dei poveretti che si gettavano dalle torri per fuggire al fuoco. Sul piano delle nuove tecnologie, poi, quel giorno abbiamo capito tutti una volta per sempre che senza il digitale, senza la trasmissione immediata delle immagini, le agenzie non avrebbero più potuto vivere.” Chiara Mariani conclude la serata rinnovando l’invito alla lettura di un libro che, per la completezza e l’importanza degli argomenti trattati, “è una sorta di enciclopedia.”

 

28 marzo 2013

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