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Enrico Rondoni, ”Nel mio reportage ho raccontato il cambiamento epocale di un paese, la Cina, avvenuto in soli 30 anni”

Un reportage in oltre 100 fotografie a colori e bianco e nero per raccontare il grande balzo in avanti compiuto dalla Repubblica Popolare Cinese in questi ultimi 30 anni. Dal primo viaggio nel 1981 all'ultimo in Tibet nel 2011, Enrico Rondoni ha documentato i complessi cambiamenti del paese, colti nella vita quotidiana...

Il vice direttore del Tg5 parla del suo reportage “Luci Cinesi 1981/2011” e spiega l’unicità della fotografia rispetto a tutte le altre espressioni artistiche, come la scrittura

 

MILANO – Un reportage in oltre 100 fotografie a colori e bianco e nero per raccontare il grande balzo in avanti compiuto dalla Repubblica Popolare Cinese in questi ultimi 30 anni. Dal primo viaggio nel 1981 all’ultimo in Tibet nel 2011, Enrico Rondoni ha documentato i complessi cambiamenti del paese, colti nella vita quotidiana. Il vice direttore del TG5 illustra il suo reportage “Luci Cinesi 1981/2011”, già in mostra a Roma, Milano e Avellino e riassunto all’interno del libro fotografico “Enrico Rondoni in Cina 1981-2011”, e spiega l’unicità della fotografia rispetto a tutte le altre espressioni artistiche, come la scrittura.

 

Come nasce la sua passione per la fotografia?

E’ una passione antica. Nata già quando frequentavo il liceo e poi coltivata sempre negli anni a seguire prima a livello dilettantistico poi professionale. L’interesse, la molla, è stata sempre quella di documentare: fatti, realtà, paesi lontani. Con una predilezione per il reportage, per far conoscere usi e costumi – almeno un tempo – di luoghi meno conosciuti. Una passione che poi si è intersecata, sommata, con quella che dalla fine degli anni ’70 è stata la mia attività principale:il giornalismo.
Ma l’interesse per il mondo della fotografia mi ha portato anche a fondare una delle prime gallerie fotografiche di Roma, “Altre Immagini”, nella prima metà degli anni ’70 e poi – in un periodo di interruzione della professione giornalistica – una società che produceva multivisioni su grandi schermi.
Ma la fotografia mi ha sempre aiutato anche nel lavoro di giornalista televisivo che non vuol dire, quando si può, mettere delle immagini sopra ad un testo, ma è qualcosa da costruire usando due linguaggi che sommati esprimono un prodotto valido. Anche per questa ragione –dal 1980 ad oggi- ho sempre portato con me, nei viaggi professionali in Italia e all’estero, la mia macchina fotografica reflex e le pellicole.

Quali sono i suoi maestri di riferimento?

Parlare di maestri è sempre difficile. Le prime immagini che ricordo, e che mi hanno influenzato sicuramente, sono quelle che vedevo nei servizi delle riviste che comprava mio padre negli anni ‘60: da Epoca al National Geographic.
Poi ovviamente ci sono tutti i grandi: Robert Capa e l’agenzia Magnum, Ansel Adam, ma anche Tina Modotti e Gabriele Basilico. Ma non sono un buon discepolo ed ovviamente rifuggo dai confronti.
Inoltre la mostra “Luci Cinesi 1981-2011” – allestita prima a Roma al Museo delle Terme di Diocleziano, poi alla Triennale di Milano lo scorso giugno e ora a Novembre al Teatro Don Gesualdo di Avellino – è stata la mia prima esperienza espositiva.

Da cosa nasce l’idea del suo reportage in Cina?

L’idea è nata, come spesso accade, per caso. Nel 1981 e poi nel 1983 ho avuto, come giornalista free lance, l’occasione e la fortuna di visitare molte regioni del Paese di Mezzo allora chiuso al turismo. Ovviamente vidi la Cina soprattutto con l’occhio nel mirino della macchina fotografica, perché capivo che stavo documentando realtà ancora poco conosciute. All’epoca ne ho scritto e ho pubblicato quelle foto. Poi, nel 2010 sono stato inviato dal TG5 dove lavoro dalla sua fondazione, a seguire l’Expò di Shanghai. Erano passati 30 anni dal primo viaggio e lo shock del grande cambiamento mi ha portato anche a rifotografare gli stessi luoghi per documentare le incredibili trasformazioni. In uno speciale televisivo per Canale 5,“La Zampata del Dragone”, per sottolineare il grande balzo cinese ho mostrato le fotografie degli anni ’80: il contrasto funzionava e spiegava più di tante parole. A quel punto l’idea della Mostra Fotografica  che ho proposto e l’idea è piaciuta.

 

Cosa ha voluto rappresentare con questi scatti?

Il cambiamento epocale, la grande trasformazione di un paese in soli trent’anni, un salto che in altri luoghi avrebbe avuto bisogno di almeno un secolo. Ho voluto far vedere una Cina che spesso nemmeno i cinesi nati negli anni ’90 conoscono essendo per tradizione privi di una memoria iconografica. Proiettati verso il futuro cancellano il passato. Una storia che in Cina si ripete: dalla Rivoluzione Culturale ai fatti di Piazza Tien An Men. Ho cercato di mettere a confronto una società ancora principalmente contadina e vestita in modo uniforme con la modernità spesso traumatica ed esasperata di oggi. E la scelta di terminare questi quattro reportage in Tibet nel 2011 ha per me il significato di voler verificare e non dimenticare quel che succede anche in un mondo a volte lontano da noi e dai nostri interessi.

 

Quali differenze ci sono tra la Cina di 30 anni fa e quella odierna?

Si potrebbe dire: tutto è diverso, ma nulla è cambiato. Ma parlare di questo paese con una storia di 5.000 anni non è impresa semplice. Il Partito Unico è rimasto, ma la trasformazione capitalistica della società ha modificato abitudini e situazioni, ma non il loro modo di ragionare, la loro filosofia di vita. Se negli anni ’80 erano i cinesi a non conoscere quanto avveniva al di fuori dal loro paese, ora siamo noi che dobbiamo capire, forse più di prima, come la Cina sta affrontando e gestendo questa sua fase storica e come condiziona il mondo occidentale in crisi. “Siamo un paese in via di sviluppo” mi ha detto l’anno scorso a Pechino il vice-ministro dell’Informazione e, avendolo contraddetto con stupore, ha replicato:”Parlo di diritti umani, di welfare, delle diseguaglianze….”

 

Lei ha scelto per il suo lavoro di realizzare un reportage fotografico. Cosa ha di particolare la fotografia rispetto ad altri linguaggi narrativi?

Le parole volano, le immagini restano. Le parole possono dare adito ad interpretazioni diverse, le fotografie fissano un momento. Certo, ognuno poi le vede a modo suo, ma quel momento fermato sulla pellicola è un
Istante reale, non modificabile, difficilmente estraibile dal suo contesto. Non a caso nella mostra e nel libro “Enrico Rondoni in Cina 1981-2011” (Peliti Associati), ho voluto abbinare pannelli esplicativi nel primo caso e lunghe didascalie nel secondo. Per inquadrare giornalisticamente quanto accadeva in Cina negli anni ’80 e quanto avviene oggi: con numeri e cifre relative all’istruzione, all’agricoltura, alla tecnologia e agli stipendi.

 

E’ al lavoro su altri reportage?

Al momento, nel tempo libero che mi lascia il TG5, sto pensando ad una mostra molto diversa. Titolo provvisorio “Mari e mari”: fotografie (diciamo più artistiche) sul mondo marino:dagli Iceberg di Terranova alle onde delle Azzorre. Fotografie in pellicola da confrontare con fotografie odierne in digitale di un altro fotografo.
Ma ho due sogni nel cassetto. Ripetere l’operazione Cina con l’India e tornare oggi nei luoghi di quel continente dove sono sono stato a partire dall’87: dal Laddak al Tamil Nadu. E poi rintracciare almeno qualche bambino fotografato nelle scuole delle comuni contadine negli anni ’80 e ritrarlo nella sua vita quotidiana di oggi.

 

3 dicembre 2012

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