Sei qui: Home » Fotografia » Davide Monteleone, ”Il mio consiglio per i giovani fotografi: siate molto tenaci!”

Davide Monteleone, ”Il mio consiglio per i giovani fotografi: siate molto tenaci!”

Davide Monteleone ha iniziato a fare fotografia così per caso. Oggi, a soli 38 anni, è uno dei più grandi fotografi documentaristi. Trasferitosi nel 2003 in Russia, Monteleone ha iniziato a occuparsi di questo Paese già con la sua prima pubblicazione ''Dusha''...

Davide Monteleone ci racconta come è diventato fotografo e a cosa rivolge la sua attenzione documentaristica, parlandoci dei suoi progetti, passati e futuri, con un consiglio per chi vuole avvicinarsi al mondo della fotografia

 

MILANO – Davide Monteleone ha iniziato a fare fotografia così per caso. Oggi, a soli 38 anni, è uno dei più grandi fotografi documentaristi. Trasferitosi nel 2003 in Russia, Monteleone si è occupato di questo Paese già con la sua prima pubblicazione “Dusha”, edita da Edizioni Postcart nel 2007, e in seguito con “Northern Caucaus”. Nei suoi lavori non trascura però anche altre zone di interesse, come sta facendo per esempio nell’ultimo progetto “Reversed See”, un documentario fotografico sulla primavera della costa araba del Mediterraneo. In questa intervista ce li racconta, rivolgendo anche qualche consiglio a chi voglia intraprendere questo mestiere.

 

Quando e come è iniziata la sua carriera da fotografo?
E’ iniziata abbastanza per caso, quando ho scoperto che la fotografia era un ottimo mezzo per farmi vivere come volevo vivere. Inizialmente quindi era solo uno strumento, che poi col tempo è diventato una professione e una passione.

 

Cosa l’ha spinta a trasferirsi in Russia e in che modo questa decisione ha influito sulla sua carriera e sul suo fare fotografia?
E’ stata fondamentale. Fino ad allora lavoravo per i giornali su storie molto piccole, commissionate con poco interesse. Al contrario, quando ho iniziato a lavorare in Russia, non subito però abbastanza presto, ho iniziato ad occuparmi di storie più mie, progetti a lungo termine che hanno avuto quasi sempre un buon riscontro, dal primo libro pubblicato con Postcart, che si intitola “Dusha”, a “Northern Caucasus”.

 

E’ corretto quindi dire che ha trovato più possibilità all’estero piuttosto che in Italia?
Non è esattamente corretto perché in realtà io non lavoro in Russia, non ho un datore di lavoro in Russia. Potrei anche vivere in Italia o da qualsiasi altra parte. Il punto è che non fotografo l’Italia, quindi mi devo necessariamente muovere. Se la domanda voleva essere retorica invece, sono costretto a rispondere che sì l’Italia continua ad avere dei grossi problemi, quindi per chi ha bisogno di lavorare è meglio andare da un’altra parte, purtroppo.

 

Il suo è un lavoro prevalentemente di fotografia documentaristica. In che modo imposta i suoi reportage una volta arrivato sul luogo?
Mi organizzo generalmente in anticipo. Questo genere di lavoro e questo genere di fotografia richiede spesso un lungo tempo di ricerca dei contatti e delle storie, la parte relativa allo scatto di realizzazione delle fotografie è forse la parte più semplice, più ridotta e più breve. La maggior parte delle storie bisogna prepararle con calma, bisogna documentarsi, bisogna studiare; il lavoro si fa prima, non quando si arriva sul posto. Una volta sul posto piace magari farsi stupire da quello che si trova.

 

A che cosa cerca di prestare più attenzione quando scatta una fotografia?
Come ho spiegato prima l’idea nasce molto prima, attraverso il lavoro di ricerca e documentazione. Prendere la macchina fotografica e scattare è un processo istantaneo e istintivo, serve solamente a registrare quello che si è visto. Normalmente, dopo un paio d’anni di esperienza, è un processo del tutto automatico, o almeno così a me sembra.

 

Nel 2010 nasce “Reversed See”, un’idea che ha vinto il premio "Follow Your Convinctions" al World Press Photo 2011. Come è nato questo progetto?
E’ un progetto in corso d’opera, che richiederà ancora parecchio tempo. E’ nato sulla scia delle rivoluzioni arabe e su quello che sta succedendo sulla costa meridionale del Mediterraneo. E’ un lavoro in parte storico, in parte di reportage, in parte di paesaggio, che vuole raccontare l’influenza di questo mare che divide due, forse tre continenti.

 

Che consigli daresti ad un giovane fotografo in procinto di iniziare questa professione?
Di essere tenace, molto tenace. E di fotografare solo le cose che gli interessano.

 

E’ un lavoro duro?
No, non direi duro, perché ci sono altri lavori molto più impegnativi di questo. Lo definirei piuttosto difficile, a causa della grande crisi che ci ha colpito, presente soprattutto nel settore editoriale, e per la quale risulta difficile mantenersi con agilità. Ma per quanto ne so in Italia è una situazione abbastanza simile per tutti quanti, non solo per i fotografi.

 

Tra i tuoi tanti lavori c’è una fotografia che ti ha colpito particolarmente, alla quale sei più legato? Può raccontarci in che circostanza è stata scattata?
No non riesco ad identificarne una in particolare, sono tutte uguali per me, anzi addirittura alcune non mi piacciono più e quindi aspetto che ne nascano di nuove.

 

Nei tuoi lavori futuri c’è un progetto personale che ti piacerebbe realizzare, qualcosa di cui ti vorresti occupare in modo particolare?
Per ora abito e lavoro ancora in Russia, quindi molto probabilmente continuerò ad occuparmi di questo Paese. Non c’è un vero sogno o desiderio, perché tutti i lavori che ho fatto fino ad ora sono nati da progetti personali a cui tenevo particolarmente e mi sono occupato di luoghi sui quali avevo un forte interesse di ricerca. Continuerò quindi con “Reversed See” e ad occuparmi della ricerca sulle regioni della Russia.

 

2 ottobre 2012

© Riproduzione Riservata