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Sindromi del turista, quando l’arte influenza la mente

In un nostro recente articolo, abbiamo analizzato la più classica sindrome del turista: la sindrome di Stendhal. Questa sarebbe data dall’effetto-emozione shock causato dalla vista di una opera d’arte o di un sito particolarmente significativo..

“La bellezza del mondo ha due tagli, uno di gioia, l’altro d’angoscia, e taglia in due il cuore”

Virginia Woolf

 

 

MILANO – In un nostro recente articolo, abbiamo analizzato la più classica sindrome del turista: la sindrome di Stendhal. Questa sarebbe data dall’effetto-emozione shock causato dalla vista di una opera d’arte o di un sito particolarmente significativo, quando il visitatore è colpito dall’estrema, quasi insopportabile bellezza delle opere d’arte; da un senso profondo che trascende le immagini ed i soggetti, così come accadde a Henry Boyle (Stendhal) durante un suo soggiorno a Firenze.

 
Ma quella di Stendhal non è l’unica sindrome a colpire i turisti.. andiamo a scoprire insieme quali altre reazioni l’Arte e la Bellezza scatenano nella nostra mente.

 
SINDROME DI RUBENS: “Sensualità al museo” – Assai più intrigante, ma decisamente meno nota di quella di Stendhal, è cosiddetta “sindrome di Rubens”. Secondo uno studio condotto dall’Istituto di Psicologia di Roma, su 2.000 visitatori di musei, il 20% avrebbe consumato una fugace avventura erotica o avuto un approccio amoroso all’ombra di un’ opera d’arte, approccio concreto con l’altro sesso infrattato nell’ala di qualche galleria d’arte. Si tratterebbe della sindrome di Rubens, che prende il nome dal celebre pittore fiammingo (1577-1640), che si può descrivere così: i visitatori vengono travolti da un irresistibile desiderio erotico all’interno di determinati palazzi e di fronte a certe opere d’arte, lo stato d’ animo che si crea nel consumo tranquillo di un capolavoro predisporrebbe a questo tipo di incontri. Una delle teorie di Sigmund Freud era: Scoprire il mondo fa eccitare. Trovarsi di fronte ad un’opera d’arte, provoca un’eccitazione legata alla percezione estetica dell’immagine.

 
SINDROME DELLO ZOO: “Guarda e fuggi” – Contrapposta all’emozione di Stendhal può essere considerata la Sindrome dello Zoo alla rovescia. Quest’ultima è stata definita intorno agli anni novanta del secolo scorso da alcuni sociologi, basandosi sulla considerazione che molte delle vacanze si svolgono come se si fosse nella gabbia di uno zoo dalla quale si guardano le cose che ci fanno vedere, secondo una sorta di vero e proprio ribaltamento di posizioni, ove chi guarda è l’animale. La sindrome dello Zoo, è l’effetto di distacco che il turista percepisce quando si visitano siti artistici e/o archeologici senza alcun contatto con la realtà locale; nasce in particolare con riferimento agli inclusive tour e alle crociere, corrispondete alla formula “guarda (mordi) e fuggi”. Durante la crociera sul Nilo, ad esempio, la nave passa fra i vari villaggi senza alcun contatto con la popolazione locale, con sosta vicino ai siti.

 

SINDROME DI HERMANN HESSE: “Turismo autentico” – Questa sindrome è la ricerca di pratiche di turismo autentico, identificabili anche come slow tourism. È la fruizione consapevole di turismo, definibile come esperienziale, così come volle fare H. Hesse durante il suo soggiorno in Italia durante la Primavera del 1901. Si vuol cercare di capire la realtà locale e, per quanto possibile, di confondersi, parlare e contaminarsi con la gente del luogo, andando ben al di là dell’acquisto di ricordi specificatamente destinati al turista. Nei mesi di Marzo e Aprile del 1901, H. Hesse, dopo qualche giorno di permanenza, gettò via la famosa guida tedesca Baedeker su Firenze, perché voleva vivere autonomamente la città, provando le esperienze della popolazione locale e confondendosi con essa. Restò in città per diversi altri giorni. Tale atteggiamento può definirsi come ricerca di turismo autentico; rende maggiormente consapevole il visitatore anche di fronte ad una grande opera d’arte, consentendone una maggiore contestualizzazione ed attualizzazione.

 
SINDROME DI TRUDE: “Globalizzazione e spersonalizzazione” – Questa sindrome è legata alcuni aspetti negativi che fanno riferimento ai non-luoghi, legati a un certo modo al subire le vacanze ed il turismo. La sindrome prende il nome da una delle città invisibili di Italo Calvino, e allude al rischio di spersonalizzazione che corrono oggi molte destinazioni turistiche. Uniformità e omologazione minacciano l’identità e l’autenticità dei luoghi, in tutto il pianeta, come una vera e propria malattia cui occorre trovare rimedio. Sostanzialmente la “città di Trud” è un villaggio del mondo globalizzato, meta di flussi organizzati, non-luogo, spazio senza identità, privo di quel senso sotteso di complicità che lega il luogo ai suoi utilizzatori, fissandolo nel vissuto e nella memoria delle persone. La sindrome di Trude è una malattia complessa che colpisce le destinazioni turistiche, in particolare alcune di quelle “minori” caratterizzate da una eccessiva presenza di visitatori, privandole progressivamente della loro essenza e della loro autenticità. Citando direttamente la prefazione di Calvino al volume Le città invisibili, del 1993, lo studioso Pietro Leoni, a cui si deve l’individuazione della sindrome, aggiunge: “le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi”.

 

 

31 marzo 2015

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