Le opere più belle da vedere al Guggenheim di Venezia

20 Luglio 2025

Peggy Guggenheim è senza ombra di dubbio un museo, essenziale, da vedere se sei appassionato d'arte. Con questo articolo, vogliamo offrirti una guida di dieci opere imprescindibili da osservare

Le opere più belle da vedere al Guggenheim di Venezia

Chi entra alla Collezione Peggy Guggenheim, a Venezia, non mette semplicemente piede in un museo: entra nella casa di una donna visionaria, in un salotto affacciato sul Canal Grande che ha cambiato la storia dell’arte del Novecento.

Ogni stanza è una dichiarazione d’amore all’avanguardia, al rischio, all’irregolarità. E ogni opera racconta non solo un capitolo artistico, ma anche un frammento della vita scandalosa e appassionata della mecenate americana che decise di vivere tra le calli veneziane con un Basquiat nell’ingresso e un Calder in giardino.

Oggi, il Guggenheim veneziano è uno dei musei più visitati d’Italia. In questo articolo vi proponiamo le opere imperdibili da vedere assolutamente se si entra (o si ritorna) nella casa-museo di Peggy Guggenheim.

Le opere più belle da vedere al Guggenheim di Venezia: un viaggio nell’arte del Novecento

Visitare il Guggenheim di Venezia è come attraversare la mente e il cuore di Peggy Guggenheim. Non si esce solo con immagini in testa, ma con domande, ispirazioni, voglia di cambiare sguardo.

Il museo non è statico: è una casa viva, affacciata su un canaletto, dove l’arte continua a pulsare. Ogni stanza è una confessione estetica. Ogni opera, un’amante che Peggy ha voluto trattenere. E Venezia, con il suo mistero liquido, non poteva che essere la cornice perfetta.

Queste opere, così diverse per epoca e stile, trovano nella Collezione Guggenheim un contesto perfetto. Non sono solo capolavori: sono voci. Parlano del corpo e della mente, della storia e del presente, della crisi della forma e della rinascita dell’immaginazione.

Ogni artista esposto nella collezione ha infranto un codice, ha attraversato una soglia, ha rifiutato l’ovvio per cercare. nel segno, nella linea, nel colore, una nuova lingua.

Peggy Guggenheim non ha solo raccolto opere d’arte: ha custodito visioni. Ha creduto nella forza dell’avanguardia, nella libertà dell’artista, nella capacità dell’arte di cambiare lo sguardo.

Visitarlo  a Venezia è un’esperienza che va oltre il turismo culturale: è un incontro con il cuore segreto del Novecento, dove ogni tela vibra, ogni scultura respira, ogni nome racconta una rivoluzione.

Donna che cammina – Alberto Giacometti

In questa scultura, realizzata tra il 1931 e il 1936, Giacometti dialoga con l’antichità e la modernità in un equilibrio sospeso. La figura, essenziale, ieratica, apparentemente immobile – evoca non solo le statue egizie ma anche l’uomo che affronta il tempo con dignità e fragilità. È un’opera che parla del corpo femminile come architettura di senso e silenzio. Nella sua immobilità, “Donna che cammina” diventa icona della resistenza del gesto umano, un frammento sospeso tra l’antico e il contemporaneo.

Donna con animali – Albert Gleizes

Terminato nel 1914, questo dipinto fonde la compostezza borghese e la disgregazione cubista. La signora Duchamp-Villon, figura centrale e rassicurante, viene decostruita in una sinfonia di linee e piani. È una scena domestica che esplode in frammenti, mostrandoci come il cubismo sappia raccontare il quotidiano con una lingua nuova, frammentaria ma comprensibile, come un sogno lucido di forme.

Senza titolo – Arshile Gorky

Nel 1944 Gorky trasforma i paesaggi della Virginia rurale in una danza fluida di colori e segni. La tela sembra respirare: il bianco del cielo, la terra fertile, le forme organiche che suggeriscono vita, crescita, memoria. Con il suo uso del colore sgocciolato, Gorky anticipa Pollock, ma è il lirismo che colpisce. Non c’è solo tecnica, c’è una poesia della materia che rende ogni elemento vivo e vulnerabile.

Bottiglia di rum e giornale – Juan Gris

Questo collage del giugno 1914 è un manifesto del cubismo analitico. Gris sovrappone prospettive, introduce piani, piega lo spazio. Ogni elemento, la bottiglia, il giornale, il tavolo, è reale e astratto allo stesso tempo. La razionalità geometrica dell’opera dialoga con l’ambiguità percettiva, trasformando la visione quotidiana in una costruzione mentale. È la dimostrazione che l’arte può essere sia esercizio intellettuale che sguardo poetico sul banale. Il surrealista

Il surrealista – Victor Brauner

Dipinto nel gennaio 1947, questo autoritratto ispirato ai tarocchi è un vero e proprio manifesto simbolico. Il Giocoliere diventa il Surrealista, il Mago, il Creatore. Ogni oggetto sulla tela, coppa, spada, monete, è carico di senso esoterico. Brauner costruisce la propria immagine come un’allegoria dell’artista-mago: colui che plasma il reale con l’immaginazione, che forgia l’identità con gli strumenti del simbolo. Un’opera potente, giocosa e filosofica.

Chitarra e bottiglie – Amédée Ozenfant

In questa composizione del 1920, Ozenfant applica i dettami del Purismo: chiarezza, ordine, rigore. La realtà, caotica e disordinata, viene ridotta all’essenza geometrica. Chitarra e bottiglie sono archetipi, oggetti quasi sacri nella loro purezza stilizzata. La razionalità diventa forma morale, come se la pittura avesse il compito di restituire armonia al mondo frammentato della modernità.

Senza titolo – Asger Jorn

Tra il 1956 e il 1957, Jorn crea un’opera brulicante di volti, presenze, gesti ambigui. Il colore, denso e stratificato, sembra vivo. La linea incide, crea confini, evoca figure che emergono e scompaiono. È un universo pulsante, visionario, dove l’umano e il mostruoso si confondono. L’influenza del Surrealismo è evidente, ma c’è anche qualcosa di profondamente nordico, come se la tela fosse un incubo infantile divenuto rito collettivo.

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