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”Il volto del ‘900”, ecco com’è cambiato il ritratto nel corso di un secolo

Fino al 9 febbraio 2014 a Palazzo Reale di Milano, la mostra ''Il volto del '900. Da Matisse a Bacon. Capolavori del Centre Pompidou'', a cura di Jean-Michel Bouhours...

A Palazzo Reale di Milano è allestita la mostra “Il volto del ’900. Da Matisse a Bacon. Capolavori del Centre Pompidou” fino al 9 febbraio 2014

MILANO – Fino al 9 febbraio 2014 a Palazzo Reale di Milano, la mostra “Il volto del ’900. Da Matisse a Bacon. Capolavori del Centre Pompidou”, a cura di Jean-Michel Bouhours, conservatore del Centre Pompidou di Parigi. La mostra è promossa e prodotta dal Comune di Milano in collaborazione con il Musée National d’Art Moderne – Centre Pompidou di Parigi, e presenta oltre ottanta straordinari ritratti e autoritratti, capolavori assoluti di artisti celebri come Matisse, Bonnard, Modigliani, Magritte, Music, Suzanne Valadon, Maurice de Vlaminck, Severini, Bacon, Delaunay, Brancusi, Julio Gonzalez, Derain, Max Ernst, Mirò, Léger, Adami, De Chirico, Picasso, Giacometti, Dubuffet, Fautrier, Baselitz, Marquet, Tamara de Lempicka, Kupka, Dufy, Masson, Max Beckmann, Juan Gris, autori di opere magistrali, spesso mai esposte in Italia, di eccezionale qualità pittorica e artistica, che entrano a pieno titolo nella rappresentazione dell’evoluzione del genere ritratto avvenuta nel corso del Novecento.

 

IL VOLTO CHE CAMBIA – La storia della rappresentazione della figura umana dall’antico impero egiziano ad oggi è al tempo stesso lunga e complessa, e la selezione di opere provenienti dal Centre Pompidou di Parigi, esposte nel piano nobile di Palazzo Reale, racconta, attraverso una serie strepitosa di icone della pittura e scultura del XX secolo, un periodo fondamentale per l’evoluzione del concetto stesso di ritratto e autoritratto, messo in discussione e trasformato dai più celebri maestri dell’epoca, in seguito ai grandi cambiamenti della società e alle tragedie della storia umana.

 

LA PAROLA AL CURATORE – “L’invenzione della psicoanalisi, la negazione dell’individuo operata dai totalitarismi, la distruzione dell’identità nei campi di sterminio nazisti, la diffusione della fotografia messa a servizio della burocrazia per il riconoscimento delle persone (per esempio con le foto d’identità), l’invasione dell’Io da parte di uno pseudo-immaginario collettivo creato dai media: a questo contesto sociale – scrive il curatore della mostra Jean-Michel Bouhours – occorre aggiungere il ruolo dell’arte, la spinta all’astrazione, la perdita del soggetto nell’ideale collettivo delle avanguardie: tutto sembra concorrere all’idea dell’arrivo di un mondo senza più volti.” E nonostante questo, “cresce all’epoca una sorta di frenesia a farsi fare il ritratto, come – scrive ancora Bouhours – per far entrare se stessi in una vertigine di ubiquità e di istantaneità dettate dai media contemporanei: l’immagine della propria immagine si è imposta”.

 

RITRATTI MODERNI – Dopo la prima rivoluzione moderna rappresentata dai ritratti umanistici di Dürer, Van Eyck o Frans Hals, dopo lo spartiacque dell’Impressionismo che pretende autonomia per il pittore, l’artista moderno pratica il ritratto andando al di là dello scopo di illustrare il modello, passando attraverso il soggetto per trovare il suo “Sé interiore” e le sue personali intenzioni artistiche. Al tempo stesso, l’artista libera se stesso dai vincoli che fino a quel periodo erano connaturati al ritratto, fissati dai committenti, che erano soliti aspettarsi non soltanto un dipinto lusinghiero ma anche di essere visti in una certa posizione sociale, grazie ad alcuni simboli attentamente codificati.

 

IL PERCORSO ESPOSITIVO – La mostra si articola in sette sezioni:

 

I misteri dell’anima
Questo è il titolo usato dal regista tedesco G.W. Pabst nel 1926 per uno dei primi film che presero la psicoanalisi come soggetto. Tra la teoria psicoanalitica, per cui i sogni sono visti come un percorso nel nostro inconscio, e altre scienze o pseudo-scienze, come la fisiognomica, che cercano i dati oggettivi della personalità nell’espressione o nella morfologia del volto, c’era, all’inizio del Novecento, una certa convergenza nel tentativo di leggere quella che l’Uomo considerava la parte oscura di se stesso. Due movimenti artistici, il Fauvismo e l’Espressionismo, divennero gli echi della fragile soggettività individuale: i segni sotto gli occhi delle donne di Chabaud o Kupka sembrano simbolizzare la loro oscurità, donne fatali o angeli caduti, presi come nuovi idoli di un nuovo mondo urbano ed elettrico. La malinconia di Dédie, lo sguardo precario e deforme di una pittura inflessibilmente realista, i lineamenti non definiti di Jacques Villon o André Masson enfatizzano la magica presenza del mondo interiore del modello.

 

Autoritratti
Leon Battista Alberti nel “De Pictura” pubblicato nel 1435, in cui descrive le origini della pittura, scrisse di Narciso innamorato della propria immagine. L’artista diviene lo strumento, e usa un riflesso per riprodurre la sua immagine allo specchio, tratto dopo tratto. In questa ricerca di se stessi, che prende la forma di un incontro con la propria immagine, molti artisti affrontano il tema con un ritratto introspettivo, sapendo che il Sé è indubbiamente il modello più complesso e più resistente all’analisi. Beckmann usava dire: “Il Sé è il più grande segreto del mondo; credo nel mio Sé Interiore, nella sua forma eterna e indistruttibile”. Questa difficoltà, caratteristica di una ricerca introspettiva attraverso l’auto-rappresentazione legata alla questione del “doppio”, genera per ciascuna opera un manifesto metafisico e pittorico. È il caso di Van Dongen e Pougny, entrambi all’inizio della carriera, che fanno passare attraverso l’autorappresentazione una gestualità quasi sportiva da futuro campione “pronto a battersi”.

 

Il volto alla prova del Formalismo
Un nuovo uomo? Un superuomo nietzschiano? Isolare il volto dal resto del corpo, semplificare la morfologia umana per una forma con nessun tratto morfologico, allontana l’atto di scolpire l’immagine dall’involucro esterno del modello. È un’affermazione di anti-mimica che si manifesta, in Brancusi, da un concetto platonico di scultura come una Idea. Per i cubisti, è stato spesso evocato il riferimento al primitivismo della maschera rituale o a espressioni antiche del volto, e i loro dipinti hanno spesso causato il disgusto del pubblico che vedeva in essi un oltraggio all’essenza profonda dell’essere umano, o persino li considerava blasfemi verso la parte umana che Dio ha creato a sua immagine. La somiglianza, concetto per secoli connaturato al ritratto, viene definitivamente rifiutata. In ogni caso, anche se siamo lontani dall’esercizio di copiare tratto dopo tratto, il processo di analisi e sintesi della fisionomia del modello da parte dell’artista, non solo permette di produrre nuovi canoni di bellezza della plasticità umana, ma consente anche una espressività che talvolta tradisce una parte della personalità del modello.

 

Volti in sogno. Surrealismo
Secondo André Breton, il surreale permetteva di svelare il “vero volto della vita”.
C’è nei surrealisti una predilezione per i volti dei dementi o dei criminali: il volto di Germaine Berton troneggiava al centro della galassia surrealista nel primo numero della rivista “La Revolution surrealiste”. Questa fascinazione arriva sino agli sguardi allucinati – quello di Antonin Artaud sarà senza alcun dubbio il più luminoso – ma anche per i volti in stato di estasi (Salvator Dalì, Le phénomène de l’exstase). I volti sono quelli di stati d’animo secondari. I surrealisti sono ugualmente affascinati dall’angoscia del potere pietrificante della Medusa, dallo sguardo seduttivo delle donne fatali, da quello di Nadja descritto da Breton nel romanzo eponimo a quello di Gala riprodotto nel frontespizio del libro La Femme visible. La questione del volto nella pittura surrealista è legata a quella del desiderio e dei fantasmi che questo desiderio è capace di produrre. I volti sono erotizzati e feticizzati. Dalì e Magritte riproducono il fenomeno del transfer nel lavoro del sogno analizzato da Freud, sostituendo un sesso a una bocca (Dalì) o il viso intero a un corpo nudo. Mirò e Ernst rappresentano delle teste alla Ubu. In Mirò, l’essre mostruoso è il luogo di uno scateanamento della libido dove si mescolano eros e thanatos. Nel 1935, la questione del volto fu argomento di disaccordo tra Breton e lo scultore Giacometti. Il ritorno al volto era sentito come un tradimento tanto che Breton esclamò con incomprensione e disprezzo a proposito dei lavori recenti dello scultore: “Una testa? Sappiamo bene che cosa sia una testa!”.

 

Caos e disordine, o l’impossibile permanenza dell’essere
I lavori di questa sezione condividono una pazza gioia per l’imperfezione, l’esatto opposto degli standard di bellezza perfetta ereditati dal classicismo dell’Antica Grecia.
Sia Bacon che Giacometti producono figure sempre sul punto di rompersi, fatiscenti o destrutturate. “Collasso dell’essere”, scriverà Jean Clair a proposito di Boeckl, fracasso del sé interiore in Artaud, visione della morte che si invita in permanenza ma a volte più di altri, nell’arte del ritratto. Nell’impressionante ritratto di Isaku Yanaihara di Giacometti, la miniaturizzazione della testa, che pare essere collocata sullo sfondo dell’intero corpo, trasmette l’intero potere e autorevolezza del modello: “Un piccolo ammasso di vita, pesante come un sassolino, pieno come un uovo”, scriverà lo scrittore Jean Genet. La faccia universalmente umana di Giacometti è anche l’espressione della battaglia senza senso della vita. La moltitudine di linee in Dubuffet, eseguite come uno scarabocchio automatico che si fa telefonando, mostra un’agitazione di esseri non più individualizzati.

 

Dopo la fotografia
In contrasto con il progressivo sviluppo del ritratto accademico attraverso lunghe sedute, alla metà dell’Ottocento la fotografia offrì il miracolo, ma forse anche la dittatura, dello scatto istantaneo. Fare un ritratto significa ora rivelare il soggetto in un istante, dando una garanzia di naturalezza e obiettività. Mentre la fotografia ha imitato e riprodotto le convenzioni della pittura, specialmente nel campo del ritratto, la pittura ha seguito un sentiero identico ma simmetrico, adottando il principio di posa con scatti istantanei e improvvisati (Cassandre, Baltus), con prospettive abbassate o sommerse (Beckmann, Derain), affermando nello stesso tempo le qualità del dipingere, sia nei materiali che nel soggetto (Marquet o Derain). La pittura del XX secolo ha superato la fotografia e rifiutato il principio di obiettività a favore dell’affermazione di una situazione pittorica. Infine, la pop art e la figurazione narrativa hanno abbandonato il principio del modello per la sua riproduzione fotografica, inabissando la rappresentazione.

 

La disintegrazione del soggetto
Gli anni Sessanta, dove domina l’arte minimale, sono marcati da un riflusso del principio della soggettività in arte, mentre al contrario i mass media (cinema, televisione, video, fotografia) intensificano il principio inerente al ritratto, con una messa in scena. Il Sé sparisce a beneficio dell’icona, dell’immagine. I film di Kurt Kren e Paul Sharits hanno in comune l’interesse per questa questione di un secondo grado della rappresentazione. Kren ritorna sulla fisiognomica e altre scienze dei volti con il testo del professor Léopold Szondi. Psico-patologista ungherese, Szondi aveva definito un insieme di 48 teste rimarchevoli, censite secondo le otto psico-patologie che egli aveva studiato. Kren ripruce cinematograficamente il lavoro selettivo, appropriativo della memoria vis-à-vis dei volti. In Sharits, lo stesso volto declinato serialmente da una serie di gesti molto semplici, di colori primari e di positivo/negativo, è il modo che ha trovato l’autore per rendere conto del proprio stato psicologoico, utilizzando ritmi visivi spinti alle soglie della percezione.
I due film di Kren e Sharits chiudono il percorso della mostra con immagini inquietanti che restano impresse nella memoria.

 

Una carrellata di volti, figure, posture di un’intensità straordinaria, attraverso la quale la mostra raggiunge quindi lo scopo di raccontare l’evoluzione del genere ritratto nel XX secolo, con capolavori assoluti di grandi maestri e opere di grandissimo livello di artisti meno noti, che è un vero piacere scoprire e apprezzare.

28 dicembre 2013

 

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