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Edoardo Sassi (Corriere), ”La sfida dell’arte oggi è riuscire a trovare spazio all’interno dei media”

L'arte è ormai entrata a tutti gli effetti nel sistema mediatico, è regolata dalle sue leggi. I grandi eventi di cui tutti parlano richiamano le persone come i grandi marchi della moda in tempo di saldi. Sono parole di Edoardo Sassi...

Il giornalista del Corriere della Sera dà un giudizio sullo stato di salute dell’arte contemporanea in Italia e analizza quali sono le maggiori difficoltà che questa si trova ad affrontare

MILANO – L’arte è ormai entrata a tutti gli effetti nel sistema mediatico, è regolata dalle sue leggi. I grandi eventi di cui tutti parlano richiamano le persone come i grandi marchi della moda in tempo di saldi. Sono parole di Edoardo Sassi, giornalista di cultura del Corriere della Sera, per cui si occupa di arte. Con lui abbiamo parlato della situazione dell’arte contemporanea in Italia e delle difficoltà che questa si trova a vivere.

Ci dà un suo parere sullo stato di salute dell’arte in Italia, in particolare dell’arte contemporanea?
Non è dei migliori.
Sono stati creati, dagli anni ’90 in poi ma soprattutto nel decennio 2000, molti contenitori, molti musei d’arte contemporanea, a livello locale e anche nazionale. L’esempio più famoso è quello del MAXXI di Roma, il Museo nazionale delle arti del XXI secolo– o almeno questo avrebbe dovuto essere, in realtà è ancora in cerca di una propria identità.
Il problema è che alla creazione di questi contenitori non è corrisposta una strategia per promuovere l’arte contemporanea in un’Italia che negli ultimi trent’anni è uscita dal grande giro internazionale.
Oggi ci troviamo di fronte al paradosso che ci sono realtà di cui si parla molto – come il già citato MAXXI o il Mart di Rovereto –, che però difettano nel numero di visitatori paganti. La cultura del contemporaneo in Italia incontra un po’ di difficoltà, come del resto l’arte in generale.
I numeri sono legati ai grandi eventi, alle grandi mostre e a logiche più di marketing che culturali.

Perché secondo lei?
La cosa non mi stupisce, è sempre stato così: la cultura è anche comunicazione, le persone vanno a vedere ciò di cui si parla. È una schizofrenia che è sempre un po’ esistita, non solo in Italia. Prendiamo per esempio il Louvres a Parigi: c’è sempre una coda infinita per vedere la “Gioconda” di Leonardo Da Vinci e accanto, a pochi centimetri, c’è un altro suo quadro altrettanto meraviglioso, la “Vergine delle rocce”, che solo pochissimo si fermano a osservare.
I grandi eventi sono diventati come i grandi marchi, i grandi brand: l’arte ormai è entrata nel sistema mediatico a tutti gli effetti, subisce le stesse leggi. Le file davanti alle grandi mostre sono simili a quelle che in tempi di saldi si fanno per i marchi che vanno di moda in quel determinato momento. Non ci si deve stupire se c’è coda per l’ennesima mostra di Andy Warhol e nessuno va a visitare mostre altrettanto o più raffinate.
Non sono però solo i numeri a contare: certo, i grandi numeri interessano agli sponsor per avere visibilità, ma la cultura si fa anche con numeri piccoli.

Quali sono le correnti italiane più interessanti nel campo dell’arte contemporanea?
L’Italia non ha una grande industria per l’arte contemporanea. L’ultimo grande brand che è riuscita a produrre è stato l’arte povera, da cui sono emersi i nomi di una decina di artisti indicizzati a livello internazionale.
C’è poi qualche eccezione: il caso più clamoroso è quello di Maurizio Cattelan.
Un fenomeno interessante che mi sembra di poter rilevare è che negli ultimi tempi gli artisti tendono a tornare insieme, a fare gruppo, a condividere gli spazi. Questa è secondo me una condizione imprescindibile per la produzione artistica: non si diventa nessuno senza il carro trainante di una generazione. Gli artisti negli anni Ottanta e Novanta avevano la tendenza a lavorare isolati, ora, almeno nelle grandi città, “artista chiama artista”, si creano dei centri di produzione.

Qual è la sfida più grande che un artista oggi deve affrontare?
La sfida più difficile per un artista che voglia affermarsi come marchio è quella di riuscire a entrare nel circuito mediatico, come dicevo prima, nelle logiche di comunicazione e quindi in quelle di mercato.

E i musei quali difficoltà vivono?
Sicuramente quella principale è la mancanza di fondi – è il caso per esempio del MAXXI e del Macro a Roma, così come del Madre a Napoli.
In una situazione in cui scarseggiano sempre più i fondi pubblici, bisogna avere intelligenze, idee, bisogna saper rischiare e affidarsi alle persone giuste: tutte cose che non si trovano facilmente.
Non sono però tra quelli che si stracciano le vesti per la mancanza di soldi pubblici: spesso fanno più male che bene. Non dimentichiamoci che Roberto Rossellini ha creato “Roma città aperta” rubando la pellicola. Il genio e la creatività non sono l’effetto di un’unica causa. Certamente l’artista e il sistema dell’arte vanno tutelati e promossi, ma se uno è un vero artista lo è anche con due pezzettini di carta. Tanto più oggi che, con i social network, qualsiasi cosa tu produca può avere una cassa di risonanza che prescinde dal riconoscimento pubblico.

Quali misure politiche sarebbero necessarie per la valorizzazione dell’arte italiana e del suo patrimonio artistico?
Per quanto riguarda il patrimonio artistico in generale – le opere, il patrimonio librario, documentario, archeologico – sicuramente i fondi pubblici sono fondamentali. Premessa della valorizzazione, anche dell’arte contemporanea, è infatti la tutela: c’è bisogno di personale, assicurazioni, studi. Su questo versante i soldi pubblici sarebbero sì indispensabili – se non si può arrivare a investire l’1% del PIL come accade in Francia, almeno bisognerebbe salire rispetto a quel miserrimo 0,17% che investiamo noi.
Per quanto riguarda la produzione, ripeto, è meglio che il pubblico faccia un passo indietro. Il pubblico deve limitarsi a tutelare e valorizzare. La figura dell’“artista di stato” e il concetto di un’“arte di stato” sono inquietanti.

11 maggio 2014

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