Salvador Dalí non fu solo un pittore con i baffi da prestigiatore, ma un intellettuale colto, contraddittorio, estremo. Ora una mostra a Roma lo riporta al centro della scena artistica europea: è tempo di restituirgli tutte le sue molteplici identità. Dal 17 ottobre 2025 al 1° febbraio 2026, il Museo del Corso – Polo Museale di Palazzo Cipolla ospita la mostra-evento “Dalí. Rivoluzione e Tradizione”, un percorso spettacolare e rigoroso che esplora i legami profondi tra Salvador Dalí e la grande pittura del passato, da Raffaello a Velázquez, ma anche il dialogo, tanto ammirato quanto combattuto, con Pablo Picasso.
Un’occasione irripetibile per vedere da vicino oltre 60 opere tra dipinti, disegni, fotografie e materiali audiovisivi, provenienti dalla Fundació Gala-Salvador Dalí e da grandi istituzioni internazionali come il Museo Reina Sofía, il Museo Thyssen-Bornemisza, il Museu Picasso di Barcellona e le Gallerie degli Uffizi.
Dalì: la mostra che porta alla luce l’artista oltre il suo stesso mito
Dalí è ancora un enigma? La mostra Dalí. Rivoluzione e Tradizione non cerca di spiegare Dalí, ma di accettarne il mistero, attraversandolo. Non è solo un omaggio visivo, ma un percorso nella mente di un artista che ha saputo unire l’amore per il passato con lo spirito del futuro.
Che ha fatto convivere i santi con i sogni, Raffaello con Freud, la perfezione tecnica con le visioni deliranti. In un tempo in cui l’arte cerca ancora un equilibrio tra provocazione e contenuto, inclusione e qualità, Dalí ci ricorda che la vera rivoluzione nasce sempre da chi conosce a fondo la tradizione. E a Roma, oggi, questa lezione si può vedere da vicino.
Dall’eccesso alla precisione: un artista in cerca di assoluto
La mostra, curata da Carme Ruiz González e Lucia Moni, sotto la direzione scientifica di Montse Aguer, vuole superare gli stereotipi più noti su Dalí, il provocatore, il narcisista, l’amico di Walt Disney, per concentrarsi sull’aspetto più sorprendente e forse meno noto della sua produzione: il culto della tecnica e della pittura classica.
Dalí fu un artista innamorato della perfezione, che dichiarò apertamente negli anni Trenta la volontà di “diventare un classico”. Nei suoi testi teorici, in particolare il prezioso 50 segreti magici per dipingere del 1948, elenca i propri modelli ideali: Vermeer, Velázquez, Raffaello. Li studia, li copia, li ricompone, e li piega alla sua visione delirante, fatta di moltiplicazioni, metafore e illusioni ottiche.
L’autoritratto con il collo di Raffaello (1921), scelto come immagine simbolo della mostra, dice già tutto: Dalí non si appropria dei maestri per distruggerli, ma per proseguirne il gesto, reinventando la tradizione in un linguaggio nuovo.
Quattro maestri e un nemico-amico: il percorso della mostra
Il percorso espositivo si sviluppa in quattro sezioni, ciascuna dedicata a un riferimento cardine dell’universo daliniano: • Raffaello, amato per la grazia compositiva e l’equilibrio formale; Velázquez, il maestro delle ombre e dei ritratti regali; Vermeer, adorato per la luce interiore e la precisione delle atmosfere domestiche; Pablo Picasso, ammirato e temuto, rivale e alleato, che Dalí definì “l’ultimo dei grandi”.
Con Picasso il rapporto fu intenso e contraddittorio: si incontrano a Parigi nel 1926 e, nonostante le differenze ideologiche e formali, si osservano a distanza per tutta la vita. Nel 1951, Dalí tiene una conferenza intitolata “Picasso y yo”, dove lo colloca, insieme a se stesso, nell’Olimpo dei viventi degni di confronto con i classici.
Accanto alle opere pittoriche, la mostra offre una sezione immersiva dedicata al trattato 50 segreti magici per dipingere, che rivela la precisione maniacale con cui Dalí concepiva la costruzione dell’immagine. Una pittura “paranoico-critica”, dove nulla è lasciato al caso, e tutto è il risultato di uno studio minuzioso.
Un dialogo col cinema, in occasione della Festa del Cinema di Roma
In omaggio al ventennale della Festa del Cinema di Roma, la mostra intreccia anche un percorso audiovisivo dedicato al rapporto tra Dalí e il cinema.
Salvador fu sceneggiatore, teorico, regista, scenografo e attore: basti pensare al celebre sogno ideato per Spellbound – Io ti salverò di Alfred Hitchcock, o al progetto mai realizzato con Disney, Destino, oggi leggenda dell’animazione.
Questa sezione mette in luce il Dalí regista delle visioni, architetto del sogno, artista totale. Perché ogni pennellata di Dalí è una scena, ogni tela è un teatro, ogni quadro è un film onirico.
Un museo che cambia la città
La mostra si inserisce nel grande progetto culturale della Fondazione Roma, che con il nuovo Polo Museale del Corso ha voluto costruire un’istituzione aperta, inclusiva e partecipativa.
Dopo l’enorme successo della mostra “Picasso lo straniero” (oltre 80.000 visitatori) e l’omaggio a Chagall con La crocifissione bianca, Dalí rappresenta il terzo vertice di una trilogia ideale sull’arte del Novecento, tra esilio, fede e provocazione.
Non è un caso che Palazzo Cipolla, nel cuore di via del Corso, sia oggi non solo un museo, ma un laboratorio culturale e sociale: ospita percorsi didattici per le scuole, attività inclusive con la Caritas e la Comunità di Sant’Egidio, eventi pubblici, e una collaborazione costante con le realtà del territorio.
Dalí firmava gli assegni con disegni invece della cifra: nessuno li incassava per non perdere l’illustrazione! La prima mostra personale di Dalí risale proprio al 1925, a Figueres: questa mostra romana ne celebra il centenario.
Amava definirsi “il solo surrealista ortodosso” e credeva che “ogni artista deve essere profondamente classico”.
Aveva una vera ossessione per Velázquez: si fece crescere i baffi come lui e dichiarò che “un artista è grande se riesce a farlo anche con un solo capello”.
