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Chimento (curatore e critico), ”L’arte coinvolge sempre più il pubblico, ma le istituzioni la snobbano’

Il volume realizzato dal curatore e critico Fulvio Chimento si presenta come una raccolta di dialoghi, in totale 37, tra l'autore e diversi protagonisti del mondo dell'arte italiana di oggi: artisti, curatori...

Il curatore e critico Fulvio Chimento, autore di ‘Arte italiana del terzo millennio’, ci parla del suo libro e del ruolo dell’arte oggi in Italia

MILANO – Il volume realizzato dal curatore e critico Fulvio Chimento si presenta come una raccolta di dialoghi, in totale 37, tra l’autore e diversi protagonisti del mondo dell’arte italiana di oggi: artisti, curatori, critici, docenti universitari, galleristi, direttori di museo e di riviste d’arte. Il libro, ‘Arte italiana del terzo millennio’, fornisce uno spaccato sul presente e il futuro della nostra nazione: uno “spazio culturale aperto”, che accoglie personalità, stili e spunti differenti, talvolta contrastanti, sul modo di “vivere” e “pensare” i primi anni del nuovo secolo. Tra gli intervistati, oltre a quelli segnalati di seguito, troviamo: Renato Barilli, Emilio Isgrò, Beatrice Merz, Filippo Maggia, Fabrizio D’Amico, Stefano Ferrari, Marco Pierini, Enzo Cannaviello, Alessandra Borgogelli, Franco Guerzoni, Eva Marisaldi, Walter Niedermayr, Davide La Rocca (autore della copertina), Nico Vascellari, Davide Tranchina, Cuoghi Corsello, Andrea Chiesi, Paola De Pietri, Zimmerfrei, Umberto Chiodi, Ettore Tripodi, Simone Fazio, Orodé Deoro, Chiara Pergola, Wainer Vaccari, Loredana Longo, Paola Guadagnino, Massimiliano Tonelli, Rosanna Gangemi, Luca Panaro, Giovanni Monti e Paola Capata. Nel volume sono presenti i contributi critici di Guido Bartorelli e Sebastiano Colombini.

Abbiamo intervistato Fulvio Chimento che ci ha parlato del suo libro e spiegato la sua opinione riguardo l’arte oggi in Italia.

Che ruolo ha oggi l’arte in Italia?
Piuttosto marginale, purtroppo in pochi hanno la volontà di scommettere sulle idee, che pure esistono e sono di qualità.

Noti interesse da parte del pubblico e delle istituzioni?
Da parte del pubblico rilevo un coinvolgimento crescente, l’arte è in grado di creare aggregazione in modo spontaneo. Le istituzioni, invece, sono in difficoltà, poiché seguono delle direttrici proprie non sempre condivisibili, che danno spesso la sensazione di una chiusura.  

Quale potrebbe essere una soluzione a questa stasi?
Credo sia importante che le istituzioni museali mettano a disposizione degli spazi nei quali poter accogliere delle proposte. In questo modo potremmo assistere a dei momenti di confronto reale, non tanto con quello che solitamente viene chiamato “territorio”, ma con l’irrazionale, il sospeso, che è alla base del processo creativo e delle relazioni che si creano tra uomini e donne pensanti.

Qualche esempio positivo?
Mi viene in mente la ex GAM di Bologna, che ospitava una rassegna dal titolo “Spazio Aperto”. Alcuni artisti che fanno parte del volume provengono da quel tipo di esperienza; ma anche il Museo MAR di Ravenna porta avanti alcune iniziative interessanti indirizzate a giovani artisti e curatori.

Perché utilizzi l’intervista per parlare della scena artistica italiana?
Mi interessa come strumento di conoscenza diretta, quasi orale: può costituire un mezzo di approfondimento immediato e contribuire a eliminare alcuni filtri conoscitivi, ma è anche un modo per “limare” la distanza tra l’arte e il suo fruitore.

Affianchi personaggi noti ad altri già affermati o del tutto sconosciuti. Come mai?
Ho cercato di creare un corto circuito di opinioni. Chi si aspetta di trovare una classifica degli artisti o dei critici più in voga del momento probabilmente rimarrà deluso, ma potrà invece essere incuriosito nel trovare un dibattito orizzontale che coinvolge una pluralità di punti di vista, stili e approcci.

Arte italiana del terzo millennio è lo specchio di cosa…?
Di una scena artistica nazionale in cui non esistono più linee guida dominanti (malgrado siano in molti a cercarle) che mettono in scena uno scontro, come per esempio è accaduto negli anni Settanta tra arte figurativa e arte astratta. Il panorama dell’arte contemporanea è frastagliato, composto da voci che alimentano ricerche individuali.  Il libro è costituito da un insieme di riflessioni che si accavallano, si contraddicono, si compenetrano, creando una comunicazione basata su link, talvolta illuminanti e inattesi.

È possibile parlare ancora oggi di arte italiana?
Anche l’arte italiana si è globalizzata, ovviamente, ma meno rispetto ad altri paesi e questo perché alcuni artisti hanno conservato un approccio  analitico e teorico con il proprio mezzo espressivo. E’ questo un aspetto che i più giovani devono essere in grado di preservare anche all’interno di un panorama artistico che cambia continuamente forma, struttura e contenuto. Non abbiamo inventato il cinema o la macchina fotografica, ma abbiamo avuto Federico Fellini e Luigi Ghirri, e sono sicuro che nuovi talenti sono pronti a venire alla luce anche in assenza di politiche culturali di sostegno e promozione.

L’arte, quindi, intesa come forza (generatrice) in grado di stimolare processi identificativi autonomi, può prescindere dall’appoggio istituzionale?
Certamente, l’atto creativo stesso ne è la dimostrazione. Esiste sempre qualcosa che sfugge alla comprensione razionale dell’opera, e questo vale per chi la crea ma ancor più per chi la analizza. Inoltre le istituzioni, a volte (non tutte ovviamente), invece di promuovere l’arte cercano di controllarla.

Il ruolo dell’artista oggi?
L’artista oggi, a torto o a ragione, è sovraccaricato di responsabilità: gli viene chiesto di restituire una visione “salvifica” del mondo. Ciò accade perché politici, intellettuali, critici, giornalisti raramente prendono posizione. L’artista avverte dunque la necessità di realizzare l’opera “politica”, rischiando di esporsi in modo eccessivo.

Quali aspetti della tua analisi ti hanno colpito maggiormente in relazione agli artisti coinvolti?
Molti hanno una solida formazione scientifica e il loro lavoro è espressione diretta di questo tipo di forma mentis, ma questo rapporto così stretto tra arte e scienza viene spesso sottovalutato. È interessante inoltre verificare come il tema della memoria sia uno dei più ricorrenti nel lavoro degli artisti: l’uomo post-moderno porta iscritto nel proprio dna i traumi del Novecento, un secolo terribile per l’umanità. L’artista sente il bisogno di discolparsi a nome della collettività per qualcosa che, infondo, non ha mai conosciuto ma solo assorbito per osmosi. Inoltre rilevo come la maggior parte degli artisti non abbia una formazione accademica, ma sia autodidatta, a voler rimarcare il valore dell’arte come necessità.

Quindi che cos’è per te l’arte?
Mi sento molto vicino a quanto scrive il filosofo Tommaso Tuppini nel mio libro, quando afferma che “l’arte è un sistema di segnali che dei viandanti si lanciano nella notte. Forse la funzione aggregante dell’arte è ciò che vi è di più vicino a quel che Nietzsche chiamava ‘amicizia stellare’”. L’arte fa quindi stare insieme soprattutto persone che non si conoscono, offrendo l’opportunità di condividere un’esperienza al tempo stesso percettiva, intellettuale ed emotiva.

Soluzioni o vie di salvezza?
La chiarezza, prima di tutto. Poi sarebbe interessante attualizzare alcuni meccanismi che hanno portato alla nascita della “controcultura” degli anni Ottanta, fenomeno che in campo artistico ha toccato vette di libertà e di autonomia. Come afferma Gillo Dorfles nel volume: “l’unica salvezza possibile per l’arte futura è nella capacità di ricostruire un suo mito”, che si è perduto nell’esaltazione pura dell’artista, come  è avvenuto a partire dalle avanguardie e poi ancora con  la Bauhaus e la Factory di Warhol. Concordo anche con l’analisi di Cristiana Collu, la quale prendendo in considerazione la  genesi del capolavoro ricorre a una metafora ciclistica: “un campione non può vincere senza i gregari”.

Dove possiamo venire ad ascoltarti?
Il 27 maggio presento il libro a Bruxelles presso la libreria “La Piola” in compagnia di Rosanna Gangemi, il direttore della rivista Drome Magazine, mentre l’11 di giugno sarò a Roma nella Galleria T293, affiancato da due dei protagonisti del libro: Francesca Fabiani (curatrice del MAXXI fotografia) e l’artista Cesare Pietroiusti, a cui mi sono ispirato per l’impostazione della pubblicazione.

16 aprile 2015

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