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Andrea Mantegna, per cinquant’anni il pittore alla corte dei Gonzaga (parte I)

Oggi il mondo dell'arte ricorda la scomparsa di Andrea Mantegna, morto a Mantova il 13 settembre 1506. In contatto con Piero della Francesca, Giovanni Bellini e Donatello, dal 1459 divenne il pittore ufficiale alla corte dei Gonzaga...

Andrea Mantegna è stato un pittore e incisore italiano, attivo soprattutto nella seconda metà del Quattrocento. Ai posteri ha lasciato dipinti e affreschi di inestimabile valore, in cui è forte l’influenza della scultura e infatti è considerato il primo grande ”classicista” della pittura. Tra le opere più famose, ricordiamo quelle dipinte per il ramo maschile della famiglia dei Gonzaga a Mantova e per lo studiolo di Isabella d’Este

MILANO – Oggi il mondo dell’arte ricorda la scomparsa di Andrea Mantegna, morto a Mantova il 13 settembre 1506. In contatto con Piero della Francesca, Giovanni Bellini e Donatello, dal 1459 divenne il pittore ufficiale alla corte dei Gonzaga, tra le principali famiglie di mecenati dell’epoca. 

GLI ESORDI – Andrea Mantegna nasce presumibilmente nel 1431 e giovanissimo, a soli dieci anni, è citato nei documenti padovani come apprendista e figlio adottivo dello Squarcione (lavorando con lui per sei anni). La sensibilità verso il mondo classico e il gusto antiquario divennero presto una delle componenti fondamentali del suo linguaggio artistico, che si portò dietro durante tutta la carriera. Dopo aver lasciato la bottega dello Squarcione, il Mantegna si dedica alle prime pale d’altare; di quegli anni però ci è rimasto solo un “San Marco”, firmato e datato 1448, e un “San Girolamo”, del quale rimangono anche alcuni studi su carta.

LA CHIESA DEGLI EREMITANI A PADOVA – Sempre del 1448 è la firma del contratto da parte del fratello maggiore Tommaso Mantegna (quale tutore di Andrea), per la decorazione della cappella della famiglia Ovetari nella chiesa degli Eremitani a Padova. L’opera, in parte distrutta durante la seconda guerra mondiale, era affidata a una squadra eterogenea di pittori, dove gradualmente spiccò la personalità del Mantegna, capace di affinare la propria tecnica. Il 21 luglio 1452 Mantegna terminò a Padova la lunetta per il portale maggiore della basilica del Santo con il “Monogramma di Cristo tra i santi Antonio di Padova e Bernardino”, oggi conservata al Museo Antoniano. In quest’opera sperimentò per la prima volta gli scorci da sott’in su che applicò poi nei restanti affreschi agli Eremitani. Anche l’anno seguente Mantegna lavorò nella cappella per finire quattro anni dopo, nel 1457. Tra gli episodi dipinti, ricordiamo il “Martirio di san Cristoforo”, dove le architetture hanno già acquistato quel tratto illusionistico che fu una delle caratteristiche base di tutta la produzione di Mantegna.

LE ALTRE COMMISSIONI – Durante i nove anni del lavoro alla Cappella Ovetari, Mantegna prese in carico anche ad altre commissioni, anche di notevole impegno, come il “Polittico di San Luca” (1453-54) per la cappella di San Luca nella basilica di Santa Giustina a Padova, ora alla Pinacoteca di Brera. Il polittico è composto da dodici scomparti organizzati su due registri. Sempre del 1454 è la tavola con “Sant’Eufemia” al Museo di Capodimonte di Napoli: il dipinto ha un’ipostazione simile all’Assunzione della Vergine alla cappella Ovetari, con la figura monumentale della santa, data dalla visione di scorcio e dal basso, e inquadrata in un arco di saldo rigore prospettico, con festoni di derivazione squarcionesca. Al 1455-60 viene poi fatto risalire il “Bambino benedicente” di Washington. “La pala di San Zeno” per il coro della chiesa di San Zeno a Verona venne commissionata da Gregorio Correr, abate della chiesa, nel 1456 e realizzata tra il 1457 e 1459. Si tratta della prima pala pienamente rinascimentale dipinta in Italia settentrionale, da dove nacque una feconda scuola di pittori veronesi e quattro sono le principali scene dipinte: una Sacra Conversazione, l’Orazione nell’orto, la Resurrezione e la Crocifissione.
Durante questo fecondo periodo, Mantegna si avvicinò sempre più a Jacopo Bellini, tra gli ultimi esponenti della cultura tardogotica che proprio in quegli anni andava perseguendo un aggiornamento in senso rinascimentale iniziando a usare la prospettiva e che condivideva con Andrea il gusto per la citazione archeologica. Positivamente impressionato dalle doti del Mantegna, gli diede in sposa la sua unica figlia, Nicolosia. Inevitabile fu ovviamente anche il rapporto con il cognato e coetaneo, Giovanni Bellini.

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13 settembre 2014

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