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Joe Goldberg: perché ci affascina il protagonista della serie tv “You”

Scopri perché Joe Goldberg, il protagonista di You, ci affascina con la sua personalità complessa e le sue azioni inquietanti.

Joe Goldberg è  stalker, manipolatore, assassino, eppure, stagione dopo stagione, continuiamo a seguirlo. Forse perché Joe è anche lo specchio più inquietante della nostra epoca romantica e narcisista.

C’è un uomo che lavora in una libreria, ama i libri rari, osserva con attenzione chi li sfoglia, sa usare le parole giuste. Poi ti segue a casa. Ti osserva. Ti spia attraverso lo smartphone, finge di amarti. E alla fine, se serve, uccide.

Questo è Joe Goldberg, protagonista della serie TV You, interpretato da Penn Badgley. Nato come personaggio dell’omonimo romanzo di Caroline Kepnes, Joe ha conquistato, o forse sedotto, milioni di spettatori. Perché? Cosa ci attira in un uomo che, obiettivamente, incarna tutto ciò da cui dovremmo fuggire?

La risposta è più complessa (e più inquietante) di quanto sembri. Joe non è solo un cattivo ben scritto. È un personaggio costruito per insinuarsi esattamente nei punti ciechi del nostro immaginario sentimentale.

Joe Goldberg: il mistero del suo fascino

Joe Goldberg è il villain più raffinato dell’epoca post-romantica. Non lo amiamo perché è buono, ma perché è scritto in modo da farci riflettere su ciò che consideriamo amore. Perché ci interroga. Perché ci costringe a guardare negli angoli più ambigui del nostro desiderio.

E quando una serie TV riesce a farci questo effetto, allora, per quanto disturbante, è una narrazione da tenere d’occhio. E da non smettere di interrogare.

Nel primo episodio, Joe lavora in una libreria indipendente. Parla di narrativa, cita i classici, ascolta la cliente con una calma quasi ipnotica. È gentile, disponibile, ha una cultura letteraria che lo rende affascinante.

La libreria diventa, in You, un luogo simbolico: lo spazio in cui la finzione prende vita. Joe conosce i libri come strumenti di seduzione, ma anche come coperture. Cosa c’è di più seducente di un uomo che ti guarda davvero, o almeno così sembra? In realtà, Joe non guarda, scruta. E non ama, possiede. Ma noi, all’inizio, non lo vediamo.

Una delle trovate più potenti della serie è la narrazione in voice-over. Joe racconta ciò che pensa, ciò che prova, ciò che immagina. E lo fa in un tono dolce, razionale, empatico. Lo spettatore, costretto a stare dentro la sua mente, finisce quasi per giustificarlo. Come se fosse una versione tossica di Amélie o di Holden Caulfield.

Il trucco funziona: ascoltando Joe, iniziamo a comprendere, o almeno a contestualizzare, le sue azioni. La linea tra identificazione e condanna si fa sempre più sfocata. Ma questo non ci rende complici? O semplicemente vittime dello storytelling?

Joe dice frasi come:

“Faccio tutto questo per amore.”

Oppure:

“Io ti salvo da te stessa.”

Quante volte, nel cinema, nella letteratura, nelle canzoni, abbiamo sentito uomini dire cose simili? You porta all’estremo la narrazione dell’amore salvifico, trasformandolo in ossessione, controllo, annullamento dell’altro. Ma lo fa con intelligenza, mostrando come certe dinamiche sedicenti romantiche possano nascondere manipolazione pura.

Joe è il principe azzurro dell’era digitale, ma con il cappuccio del predatore. Eppure, ci intriga proprio perché sembra ciò che (per convenzione) dovremmo desiderare: attenzione, presenza, parole dolci, devozione totale.

In ogni stagione, Joe cambia città, identità, abitudini. A Parigi, a Londra, in California: prova a essere un altro uomo, a “rifarsi una vita”. Ma la verità è che ovunque vada, porta con sé il suo schema, la sua violenza travestita da amore.

Ciò che affascina è questa continua tensione tra redenzione e ricaduta. Lo spettatore si domanda: “E se stavolta cambiasse davvero?” È il classico meccanismo della relazione tossica. E infatti, You non è solo un thriller psicologico, ma anche una parabola amorosa su quanto siamo disposti a illuderci, a perdonare, a confondere il bisogno con il sentimento.

Joe rappresenta il lato oscuro della nostra fame di attenzione. È lo specchio di un’epoca in cui guardare (i social, le storie, le vite altrui) è diventato normale. In cui l’intimità viene rubata e monetizzata. In cui il confine tra interesse e controllo si è assottigliato.

Ci piace Joe perché ci somiglia. È il lato “curioso” che abbiamo normalizzato. Ma anche quello che vorremmo tenere nascosto.

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