Principio d’estate di Umberto Saba è una poesia che offre un’immagine “terapeutica” dell’arrivo dell’Estate. Malgrado, il caldo cocente del mese di giugno il poeta triestino trova “refrigerio esistenziale” guardando dalla sua finestra il sole “indorare la città” e “brillare nel mare”.
L’estate è una stagione che rappresenta una sorta di rito di passaggio anche dal punto di vista psicologico. Il sole porta un po’ di luce in chi vive il “male dell’anima”. Ricordiamo che Umberto Saba viveva una neuropatia fin dalla prima giovinezza.
Il male esistenziale, le nevrosi, la psicoanalisi rappresentano per Umberto Saba il fondamento del suo essere poeta e hanno guidato tutta la sua poetica. Il legame tra malattia e poesia, tra malessere psichico e produzione creativa appare come l’essenza dell’intera sua opera.
Queste premesse sono fondamentali per comprendere anche un testo breve come Principio d’estate, poesia scritta nel 1938, pubblicata per la prima volta sulla rivista L’Orto nel luglio del 1938.
Il poema fu poi inserito nel libro Ultime cose di Umberto Saba, pubblicato come decimo dei Quaderni della Collana di Lugano nel 1944.
Ma andiamo a leggere questa breve ma intensa poesia per comprenderne il contesto e il significato.
Principio d’estate di Umberto Saba
Dolore, dove sei? Qui non ti vedo;
ogni apparenza t’è contraria. Il sole
indora la città, brilla nel mare.
D’ogni sorta veicoli alla riva
portano in giro qualcosa o qualcuno.
Tutto si muove lietamente, come
tutto fosse di esistere felice.
L’arrivo dell’estate porta gioia nell’anima del poeta
Attraverso Principio d’estate, Umberto Saba ci trasferisce una sensazione di gioia, di felicità, di benessere. Una visione inaspettata per l’anima e la psiche del poeta.
Proviamo ad immaginarci la scena. Il poeta guarda dalla finestra della sua casa di Trieste il mare. In quel momento si accorge di non percepire sofferenza, avverte un momento di pace esistenziale.
Quest’attimo di benessere lascia Umberto Saba come d’incanto.
Dolore, dove sei? Qui non ti vedo;
ogni apparenza t’è contraria.
In questo inizio c’è il senso del Principio d’estate. Saba si meraviglia di ciò che sta vivendo, “ogni apparenza” che ha davanti ai suoi occhi è l’esatto contrario del dolore, è gioia.
Il primo protagonista di questo stato di benessere è “il sole” che rende luminosa la città e “brilla nel mare”. Ricordiamo che anche la visione del “mare” è uno dei fondamentali elementi d’ispirazione del poeta. D’altronde per un triestino il mare fa parte del suo DNA.
Altro elemento che genera benessere nel poeta è “la frenesia”, ovvero ciò che si muove “alla riva”. Imbarcazioni di ogni tipo si muovono senza sosta, immaginiamo che Saba guardi il porto di Trieste, con il movimento costante d’imbarcazioni che trasportano persone e merci.
Questo movimento crea nel poeta una sorta di esaltazione. In chi vive la “separazione”, l’auto-isolamento dall’ambiente circostante, l’ardore delle città che si muove non può che portare gioia.
Umberto Saba è consapevole che l’immergersi anche se distanza in quell’atmosfera gli offre un’apparenza di felicità. “Il come tutto fosse di esistere felice” ci fa pensare che Saba stia vivendo come un”illusione, non gli sembra vero percepire la felicità nel cuore.
Purtroppo, chi soffre “il mal di vivere”, i momenti in cui si “sta bene”, si vive la pace, la gioia sono minori rispetto a quando si affronta la sofferenza interiore. Proprio per questo quel “come” assume il dovuto significato.
Per Umberto Saba la felicità è un’illusione e il fatto di percepire uno stato di benessere, come la vita che si muove all’esterno del suo “Io”, è cosa straordinaria.
Un attimo di gioia in un mondo che sta per conoscere la barbarie
La poesia ci offre un’altra interpretazione non scollegata dalla prima. Il contesto in cui viene scritta la poesia, quel fatidico 1938, vede nei giorni di 11-13 marzo l’Anschluss, ovvero le truppe tedesche prima invadono l’Austria e poi dichiarano la sua annessione al Reich.
Durante la primavera, l’estate e l’autunno del 1938, a Vienna e in altre città di tutta la cosiddetta Grande Germania scatenerà una serie di violenze contro gli Ebrei e le loro proprietà.
Ricordiamo che tali violenze raggiungeranno l’apice durante la Notte dei Cristalli, tra il 9 e il 10 novembre dello stesso anno.
facciamo presente ancora che le leggi razziali fasciste furono annunciate per la prima volta in Italia 18 settembre 1938, proprio a Trieste da Benito Mussolini, mentre rivolgeva un discorso a una folla raccolta sotto un palco allestito davanti al Palazzo del Municipio in Piazza Unità d’Italia, in occasione di una sua visita alla città.
Umberto Saba, è bene far presente, era ebreo da parte di madre. Non a caso proprio nel 1938 fu costretto a cedere formalmente la libreria al commesso Carlo Cerne ed a fuggire con la famiglia a Parigi.
Verrebbe da dire, cosa c’è da ridere, da provare gioia di fronte a tutto questo?
Quindi, quel “dolore dove sei?” citato nel primo verso di Principio d’estate può essere inevitabilmente collegato con lo stato psicologico a cui è sottoposto l’autore e con lui milioni di persone in quel periodo.
In una città come Trieste si respira la barbarie che sta per colpire l’Europa e l’intero mondo. Un intellettuale come lui è molto informato sui fatti che avvenivano in Germania e in Italia in quel periodo. In quanto ebreo non può che diventare anche vittima.
Tra l’altro Trieste per la sua posizione geografica vive molto da vicino gli influssi del mondo austriaco e tedesco.
Quindi, quando dalla sua finestra vive quello splendore estivo, quella vita che si muove in città, quel movimento “come tutto fosse di esistere felice”, come è possibile tutto ciò in un momento dove tutto sembra precipitare verso il baratro.
Umberto Saba non fa che celebrare la vita e la follia degli uomini. Dalla sua visione è inaccettabile che di fronte a tanta bellezza gli uomini seminano odio e violenza.
Quel momento di felicità è palesemente fuori dal contesto politico e sociale che si vive in quell’anno e negli anni a seguire. Tutto scorre come se nulla fosse, mentre di fatto stava accadendo il peggio.
Quel Principio d’estate è come se segnasse il passaggio da una stagione di tranquillità immortalata nell’istante in cui il poeta scrive la poesia e la stagione successiva in cui si scatena la follia collettiva e il mondo conosce una delle tragedie peggiori di sempre.
Ecco perché esiste sempre un collegamento tra la nevrosi di Umberto Saba e la realtà che lo circonda. La sua capacità di concepire la psicoanalisi, rende la poesia il manifesto di quanto stava avvenendo.
Umberto Saba è la nevrosi che ispira la sua poesia
Umberto Saba iniziò ad avvertire le nevrosi in giovane età, nell’aprile del 1903, quando aveva soli 20 anni e studiava letteratura italiana all’Università di Pisa.
Tutto nacque per la gelosia apparentemente per la gelosia dell’amico Ugo Chiesa, che viveva in malo modo l’amicizia nata tra Umberto e la propria fidanzata Lucia Pitteri.
Una tensione che poi per Saba degenerò in mania di persecuzione e nevrosi (temeva che l’amico per vendetta lo avrebbe denunciato alle autorità austriache).
Di fatto, le sue nevrosi nascevano nell’infanzia per via della “fuga” del padre Ugo Edoardo Poli, il vero cognome del poeta, ancor prima della sua nascita; per il carattere severo e anaffettivo della madre Felicita Rachele Coen e per il trauma della separazione dalla «madre di gioia» (la balia Gioseffa Gabravich Schobar).
C’è d’aggiungere anche la tensione tra l’identità ebraica della madre e quella paterna cattolica. Per non farsi mancare nulla, anche la crisi per una bisessualità precocemente scoperta ma continuamente repressa.
L’incontro con la psicoanalisi
Umberto Saba per via del suo malessere psicologico, si avvicinò alla psicoanalisi negli anni 1929-31 grazie all’incontro con Edoardo Weiss, l’allievo di Sigmund Freud a Vienna, che agiva nel reparto maschile del Civico Frenocomio “Andrea di Sergio Galatti” di Trieste.
La pratica psicoanalitica fu prematuramente interrotta a causa del trasferimento di Weiss a Roma nel 1931. Questo arrecò al poeta, se non la guarigione, una fondamentale «chiarificazione interiore» che ebbe conseguenze decisive sia sulla sua vita sia sulla sua poetica.
Grazie all’analisi, infatti, Saba entrò in possesso di uno strumento cognitivo fondamentale per elaborare la propria “concezione del mondo”, una griglia interpretativa per inquadrare e indagare il proprio male.
La poesia diventa quindi per Umberto Saba il metodo più efficace per fronteggiare la malattia, in quanto è l’unico strumento in grado di razionalizzare la nevrosi e tentare così di contenerla.
La parola assume per lui un’esplicita capacità terapeutica, che, come previsto dal metodo psicoanalitico, mira a verbalizzare le sofferenze per tentare così di farle decantare.
Il rapporto tra poesia e malattia dà quindi luogo a un cortocircuito all’interno del quale si situa tutta l’originalità di Saba come poeta.
Se da una parte la depressione cronica inibisce e prostra le energie vitali del poeta, dall’altra è anche il presupposto necessario del suo essere poeta.
A sua volta, se da un lato la nevrastenia lo fa soffrire «più a lungo e più atrocemente di qualunque altra malattia», dall’altro viene anche rivendicata come virtù in grado di schiudere una diversa percezione del mondo, un destino superiore vissuto perfino con un certo compiacimento estetizzante.
Ecco perché amiamo la poesia e i poeti. Tra questi proprio Umberto Saba, perché è riuscito a donare all’umanità quella interpretazione del dolore che se condivisa e razionalizzata può aiutare il prossimo a combattere lo stesso male.