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“La Sicilia, il suo cuore” (1952), la poesia di Leonardo Sciascia sulla sua terra

In occasione del compleanno di Leonardo Sciascia proponiamo “La Sicilia, il suo cuore” poesia che offre un'immagine vera della sua terra.

La Sicilia, il suo cuore di Leonardo Sciascia è una poesia che contamina le parole alle immagini, che scorrono come scatti fotografici, per immortalare un pezzo della terra tanto cara allo scrittore siciliano. Sciascia utilizzava la macchina fotografica come un taccuino e nello scrivere

L’ispirazione della poesia arriva da un quadro di Marc Chagall, dal titolo Moi et le Village (Io e il villaggio) del 1911 e oggi conservata al MOMA, il Museum of Modern Art di New York.

Condividiamo la poesia per celebrare l’anniversario della nascita del grande scrittore siciliano che nacque a Racamulto, l’8 gennaio del 1921, dove tra l’altro lui amava vivere e dove incontrava molti degli intellettuali siciliani e non solo, con i quali amavano accompagnare i discorsi letterari, filosofici, l’amore per la fortografia con il buon cibo.

La Sicilia, il suo cuore è tratta dall’omonima raccolta pubblicata per la prima volta nel 1952 e che oggi possiamo leggere in un volume di Adelphi (1997), nel quale è stato aggiunto un altro volumetto del 1950 Favole della dittatura.

La Sicilia, il suo cuore di Leonardo Sciascia

Come Chagall, vorrei cogliere questa terra
dentro l’immobile occhio del bue.
Non un lento carosello di immagini,
una raggiera di nostalgie: soltanto
queste nuvole accagliate,
i corvi che discendono lenti;
e le stoppie bruciate, i radi alberi,
che s’incidono come filigrane.
Un miope specchio di pena, un greve destino
di piogge: tanto lontana è l’estate
che qui distese la sua calda nudità
squamosa di luce – e tanto diverso
l’annuncio dell’autunno,
senza le voci della vendemmia.
Il silenzio è vorace sulle cose.
S’incrina, se il flauto di canna
tenta vena di suono: e una fonda paura dirama.
Gli antichi a questa luce non risero,
strozzata dalle nuvole, che geme
sui prati stenti, sui greti aspri,
nell’occhio melmoso delle fonti;
le ninfe inseguite
qui non si nascosero agli dèi; gli alberi
non nutrirono frutti agli eroi.
Qui la Sicilia ascolta la sua vita.

L’aspra bellezza della Sicilia

La Sicilia, il suo cuore è una poesia di Leonardo Sciascia che mette al centro il concetto del ricordo, delle origini, una malinconica consacrazione di una terra che nell’animo del  poeta era contaminata di amore e di amarezza.

Possiamo definire questo componimento una “poesia visuale”.  Leggendo La Sicilia, il suo cuore sembra scorrere un album di foto che immortalano una mole sterminata di piccole emozioni, sensazioni, sentimenti che nascono dal paesaggio siciliano.

La Sicilia di quegli anni, soprattutto, il centro della Sicilia, Racamulto è situata tra Agrigento e Caltanissetta, viveva di miseria economica e di povertà culturale. I libri di Sciascia hanno rappresentato una terra in cui il predominio dei “forti” faceva leva sull’ignoranza e la miseria della gente.

Nella poesia si evince non tanto la celebrazione classica di un territorio, come siamo abituati a pensare quando si parla di Sicilia, non c’è la nostalgia di una terra di grandissime tradizioni che cerca nel suo passato i motivi per un grande rilancio.

Nella poesia di Sciascia c’è la rappresentazione di uno spazio selvaggio che sembra lontano da ogni cosa, senza storia, senza origine. Nel “cuore della Sicilia” sembra non sia accaduto mai nulla, sembra entrare in un limbo in cui ogni cosa sembra distante e irraggiungibile.

L’ispirazione della poesia in un quadro di Marc Chagall

L’ispirazione della poesia nasce da un quadro che Leonardo Sciascia amava moltissimo Moi et le Village di Marc Chagall. Al centro di questo dipinto si incontrano i volti di una capra e di un uomo, le loro pupille collegate da una linea bianca debole e uniforme. I contorni del naso, delle guance e del mento costituiscono la base di una serie di diagonali intrecciate, cerchi concentrici, piani di colore e forme frammentate.

A questa coppia centrale si uniscono figure fluttuanti e vignette che si alternano, in modo onirico, in tutta la composizione. A sinistra, una donna munge una mucca. In alto, un volto fluttuante appare all’ingresso di una chiesa. Una fila di case ne presenta due capovolte.

Chagall dipinse Io e il villaggio un anno dopo essersi trasferito dalla Russia a Parigi, dove entrò a far parte di una vivace comunità di artisti internazionali conosciuta come La Ruche (L’alveare), così chiamata per la loro vicinanza e scambio produttivo, che ebbe luogo nel quartiere di Montparnasse.

Ispirato in parte dal recente sviluppo del cubismo, il quadro mostra il distinto vocabolario dell’astrazione di Chagall, caratterizzato da colori fantastici e immagini folcloristiche tratte dai ricordi della casa dell’artista in Bielorussia, una città contadina alla periferia di Vitebsk. Il titolo di quest’opera, fornito dal poeta Blaise Cendrars, amico intimo di Chagall, evoca il rapporto dell’artista con la sua casa e giochi di parole sugli occhi compenetranti delle sue figure centrali.

Le campagne di Racamulto diventano un’opera poetica

Leonardo Sciascia amava il quadro di Chagall, cita il grande artista proprio in apertura della poesia, e cerca di “dipingere” anch’egli il suo villaggio attraverso le parole, che diventano frame di una pellicola fotografica, immortalando le sensazioni e le emozioni del poeta.

Sciascia racconta con immagini fotografiche la sua terra natia. Una terra terribilmente calda e arida durante l’estate che cambia radicalmente durante l’autunno. Le nuvole coprono il cielo azzurro riflesso nel mare nei mesi estivi.

Tutto si tinge di sfumature grigie e cupe, il panorama risulta aspro e poco accogliente, i corvi volano in cielo con un senso di tristezza e la vegetazione spoglia e secca incide il paesaggio e tutto è sovrastato dal silenzio.

Non c’è celebrazione in nessun modo in tutto ciò che vede e racconta, c’è l’essenza del silenzio, del vuoto, dell’essere fuori da ogni contesto di vita. Non c’è esaltazione della bellezza, se intendiamo con questo termine la consacrazione di ciò che può essere virtù, ma c’è cruda verità, c’è l’essenza di un’atmosfera che va presa per ciò che offre, ovvero niente.

Anche le grandi figure classiche, i miti, le leggende che fanno grande la cultura siciliana, sembrano sparire in questa poesia, o meglio in quel cuore della Sicilia non sono mai arrivate e anche se ci sono state, sono definitivamente sparite nel nulla.

Leonardo Sciascia d’altronde è così, non lascia spazio a trionfalismi e a virtuosismi. Ama cogliere la verità dei fatti e in questo poema, ancora dell’età più giovane sembra manifestare già il manifesto di tutta la sua letteratura.

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