Canzone per la stagione delle piogge di Elizabeth Bishop è una poesia in cui l’autrice trova una profonda interconnessione tra la casa in cui vive e la natura che la circonda. La pioggia sembra essere l’elemento che permette all’intimo di entrare in contatto con la natura, generando armonia e benessere. Allo stesso tempo, però la pioggia nel suo lavoro costante di erodere ciò che incontra, offre la riflessione che, purtroppo, ciò che in quel momento prova l’autrice non può durare per sempre.
Il tema prevalente della poesia è l’importanza del desiderio di trovare rifugio. Protagonista è la casa che offre protezione e che come tale a sua volte va nascosta e tutelata.
Questa poesia fu pubblicata sul New Yorker l’8 ottobre 1960. La metà e la fine degli anni Cinquanta furono forse il periodo più felice della vita adulta della Bishop, quando i suoi giorni immersa nella foresta subtropicale del Brasile, lontano dalla metropoli americane, le avevano donato quello stato di profondo benessere di cui lei aveva bisogno e desiderava vivere.
Ma, leggiamo questa poesia di Elizabeth Bishop che ricordiamo può essere considerata tra i più importanti poeti americani del ventesimo secolo
Canzone per la stagione delle piogge di Elizabeth Bishop
Nascosto, oh nascosto
nella nebbia alta
la casa in cui viviamo,
sotto la roccia magnetica,
con la pioggia e l’arcobaleno,
dove il nero sangue
bromelie, licheni,
gufi e la lanugine
delle cascate,
familiare, non richiesta.In un’epoca fioca
dell’acqua
il ruscello canta forte
da una gabbia toracica
di felce gigante; il vapore
si arrampica sulla fitta vegetazione
senza sforzo, si volta indietro,
trattenendoli entrambi,
casa e roccia,
in una nuvola privata.Di notte, sul tetto,
gocce cieche strisciano
e il comune gufo marrone
gufo ci dà la prova
che sa contare:
cinque volte – sempre cinque –
timbra e prende il volo
dietro alle grasse rane che
strillano per amore,
si arrampicano e montano.Casa, casa aperta
alla rugiada bianca
e all’alba bianca come il latte
gentile con gli occhi,
all’appartenenza
dei pesci d’argento, dei topi,
topi da biblioteca,
grandi falene; con un muro
per la mappa della muffa
mappa ignorante;oscurato e appannato
dal tocco caldo
del respiro caldo,
maculata, custodita;
gioire! Perché un’epoca successiva
epoca sarà diversa.
(O differenza che uccide
o intimidisce, molto
di tutta la nostra piccola ombra
vita!) Senza acquala grande roccia rimarrà a guardare
smagnetizzata, nuda,
senza più
arcobaleni o pioggia,
l’aria indulgente
e la nebbia alta sparita;
i gufi andranno avanti
e le numerose
cascate si avvizziscono
al sole costante.**********************
Song for the Rainy Season, Elizabeth Bishop
Hidden, oh hidden
in the high fog
the house we live in,
beneath the magnetic rock,
rain-, rainbow-ridden,
where blood-black
bromelias, lichens,
owls, and the lint
of the waterfalls cling,
familiar, unbidden.In a dim age
of water
the brook sings loud
from a rib cage
of giant fern; vapor
climbs up the thick growth
effortlessly, turns back,
holding them both,
house and rock,
in a private cloud.At night, on the roof,
blind drops crawl
and the ordinary brown
owl gives us proof
he can count:
five times—always five—
he stamps and takes off
after the fat frogs that,
shrilling for love,
clamber and mount.House, open house
to the white dew
and the milk-white sunrise
kind to the eyes,
to membership
of silver fish, mouse,
bookworms,
big moths; with a wall
for the mildew’s
ignorant map;darkened and tarnished
by the warm touch
of the warm breath,
maculate, cherished;
rejoice! For a later
era will differ.
(O difference that kills
or intimidates, much
of all our small shadowy
life!) Without waterthe great rock will stare
unmagnetized, bare,
no longer wearing
rainbows or rain,
the forgiving air
and the high fog gone;
the owls will move on
and the several
waterfalls shrivel
in the steady sun.
L’importanza di un rifugio dove poter vivere in pace e in armonia
Canzone per la stagione delle piogge è una poesia di Elizabeth Bishop che scrisse mentre viveva in Brasile, dove andò in vacanza nel 1951 e dove decise di rimanere per 15 anni dopo essersi innamorata dell’architetto carioca Lota de Macedo Soares.
Insieme si trasferirono sulle montagne di Petrópolis, in una casa progettata da Soares. Questa divenne nota come casa Samambaia, per la quale, dopo averci vissuto per otto anni, Elizabeth Bishop scrisse una sorta di ode e di addio, intitolata Song for the Rainy Season, che è il titolo originale della “canzone” di Elizabeth Bishop.
Nella poesia, l’autrice descrive l’habitat che circonda la casa. Un ambiente familiare perché è la sua casa, ma allo stesso tempo lascia una punta di inospitalità, perché è comunque immersa nella foresta. Il Brasile era certamente esotico per lei, anche dopo averci vissuto per un po’, non si era acclimatata e non si sarebbe mai sentita a suo agio con il suo portoghese. Ma, questo senso di alienazione è presente nelle poesie che scrisse in tutti i luoghi in cui visse, assumendo il ruolo di straniera al mondo.
Canzone per la stagione delle piogge presenta quindi un’abitazione avvolta nell’abbraccio della natura, circondata da flora e fauna tropicali. La casa è schermata dal mondo esterno dalla nebbia e da una roccia magnetica, creando un senso di isolamento e intimità.
Le immagini di Bishop sono dettagliate ed evocative e catturano le esperienze sensoriali della stagione delle piogge. Le “bromelie nere come il sangue” e la “lanugine delle cascate” trasmettono gli aspetti vibranti e indomiti dell’ambiente.
Le immagini dell’acqua, dalla “cassa toracica” del ruscello alla “rugiada bianca” e all’“alba bianca come il latte”, simboleggiano la vita e il rinnovamento. Non può che essere così, la vita di un’americana che si ritrova “confinata” in un angolo di paradiso terrestre, dove la natura per sua definizione rimane selvatica e disagevole.
La poesia esplora i temi del tempo e del cambiamento. La casa è un santuario, ma è anche soggetta al passare del tempo. L’“era di passaggio” descritta alla fine della poesia suggerisce che l’armonia tra la casa e l’ambiente circostante svanirà inevitabilmente, lasciando solo una “grande roccia” e un “sole costante”.
Emerge il concetto di una personalità che attraverso la poesia condivide la serenità del momento e l’inevitabile presa di coscienza, più che timore, che tutti i momenti di pace e di benessere, purtroppo, possono svanire, anzi seguendo i versi della poesia sono destinati a finire.
Rimane il fatto che non c’è amarezza o nostalgia in questa poesia, ma mero ottimismo e gioia interiore. È come se fosse descritto quell’attimo che in molti desiderano, di non dover fare i conti con le purtroppo inevitabili amarezze e contraddizioni che la vita offre nel suo fluire.
Nel contesto del panorama letterario di metà del secolo scorso, Canzone per la stagione delle piogge può essere inquadrata come il contrappunto all’esistenzialismo e all’alienazione modernista dominanti. La poesia di Bishop offre uno scorcio di un mondo in cui la natura non è una minaccia, ma una fonte di conforto e sollievo, anche se destinata a finire.
Finalmente una casa che offre pace
La poesia riesce con uno stile meraviglioso a farci vivere l’esperienza di “abitare” a casa Samambaia insieme all’autrice. Come abbiamo visto la poesia scorre scandendo le ore del giorno. Il fluire del tempo è intimamente legato alla natura circostante, offrendo una visione armonica delle vita naturale.
Tutto scorre in modo ciclico e costante, come la stagione delle piogge che arriva per donare alla terra e ai suoi abitanti la vita necessaria per andare avanti e sopravvivere. Tutto si svolge seguendo schemi che si ripetono nel tempo e solo chi non fa parte di quell’armonia, ovvero chi abita la casa, purtroppo non potrà godere di quell’armonia per sempre.
Facciamo attenzione, l’autrice pur parlando di natura, non sta affrontando il tema della sensibilizzazione a favore della tutela ambientale, ma sta mettendo al centro l’importanza di poter vivere iun momento di forte pace interiore. La natura che la circonda è l’elemento che le permette tale armonia, ma la casa, quella casa è il rifugio, il fondamento di questo stato di benessere.
La poesia contrappone una visione interiore che prende forma all’interno della casa, i cui abitanti sono gli ospiti di un’esteriore naturale che scorre malgrado tutto. Elizabeth Bishop in questa poesia non è immersa nella natura, ma è la casa che le offre rifugio ad essere il centro di tutto.
Questo aspetto non è banale, perché la poesia non intende stimolare uno stile di vita “wild”, ma semplicemente il resoconto di un’esperienza di vita che finalmente ha trovato la sua pace, grazie a quella casa immersa nella foresta.
C’è l’esigenza, la necessità dell’autrice di avere un luogo dove poter sentirsi a casa, protetta, cullata, amata.
Il racconto di una giornata in una casa immersa nella foresta
Nella prima strofa di Canzone per la stagione delle piogge, la poetessa americana inizia dipingendo un’immagine della “casa in cui viviamo”. Si rivolge a un ascoltatore sconosciuto, a qualcuno a cui è legata e che conosce bene la sua vita. Condividono quella vita insieme.
Nella “stagione delle piogge”, la casa è “nascosta nella nebbia alta”. Questo luogo, anche se certamente non è nulla di speciale nello schema generale delle cose, assume in questa poesia qualità meravigliose e magiche.
L’umidità dell’aria e la vivacità della vita intorno alla casa penetrano nella poesia. L’autrice parla delle varie forme di vita, dei “gufi” e dei “licheni” che si trovano nei dintorni della sua casa. Ovunque, la “lanugine delle cascate”, o le gocce d’acqua, “si aggrappano familiari”. Sembra di osservare, di essere nel luogo descritto dalla poesia, ogni superficie è ricoperta di gocce d’acqua.
Anche nella seconda strofa, l’acqua fa “toccare” la sua presenza. Questa è l'”epoca fioca dell’acqua” e quindi chiunque sia presente può sentire il canto del “ruscello”, un buon esempio di allitterazione, per rimarcare la forte presenza dell’elemento vitale per eccellenza. È le “felci giganti” ad Elizabeth Bishop appaiono come gigantesche gabbie toraciche, dove tutto vibra per dare vita.
Tutto intorno c’è un “vapore”, questa nebbia crea un mondo a sé stante in cui la casa è inghiottita. L’autrice e il suo ascoltatore sembrano trovarsi nella loro “nuvola privata”.
Nella terza strofa scende la sera, la poetessa passa dal giorno alla notte. Chi è dentro la casa non può vedere cosa succede fuori, tutto assume una qualità ancora più mistica. Il gufo batte sul tetto, “cinque volte, sempre cinque”, come se volesse dimostrare all’autrice che sa contare. Il picchiettio è accompagnato da altri rumori difficili da collocare, oltre che dallo “stridio d’amore” delle “rane grasse”.
Ciò tende a far emergere come la natura segue dei cicli vitali costanti, ripetibili. Tutto è armonia naturale, diversa da quella degli umani dntro la casa. La natura ripercorre la sua ciclicità, offrendo quella perfezione che manca all’ambiente interno della casa.
Allo stesso tempo, attraverso questi versi, l’autrice vuol condivedere con il lettore la sua esperienza, stimolandolo a sentire, percepire e vedere ciò che accade in quel mondo esterno, semplicemente ascoltandolo. Ad ogni rumore corrisponde un gesto, un’azione, un attimo di vita che prende forma anche se non attraverso la vista.
La poesia dona un’esperienza multisensoriale che fa emergere la grandezza della sua autrice.
Nella quarta strofa di Canzone per la stagione delle piogge, Elizabeth Bishop passa dalla notte all’“alba bianca come il latte”. Questo è un riferimento alla nebbia che avvolge la casa, rendendo impossibile vedere il sole. Come sempre ci sono creature all’esterno della casa che stanno sperimentando l’alba.
La stagione delle piogge ha fatto uscire i pesciolini d’argento e i topi, così come i topi di biblioteca e le grandi falene. Sul muro c’è una mappa “ignorante” di muffa, che cresce senza scopo. Ma quando l”autrice la vede non può fare a meno di avvertire che sta cercando di trasformarsi e diventare qualcosa di nuovo. Quindi, inizia nel percorso poetico del componimento, il senso che ci sarà un momento di passaggio.
Non a caso, nella quinta strofa di Song for the Rainy Season l’autrice termina la frase iniziata nella quarta strofa. Parla ancora della casa e delle sue varie qualità. Essa apparirà come oggi solo per un breve periodo. In futuro le cose cambieranno e quindi questo momento deve essere apprezzato e rallegrato.
Nella sesta strofa, Elizabeth Bishop conclude la poesia utilizzando l’immagine di una roccia spoglia. Essa “non porta più arcobaleni né pioggia”. È un mondo “senz’acqua”. Se paragonato alle immagini luminose delle strofe precedenti, quest’altro mondo è cupo e tetro. Ora, invece di usare un linguaggio celebrativo, l’autrice descrive la nebbia alta che scompare e le cascate che “si raggrinziscono” sotto il “sole costante”.
Quanta bellezza esprimono questi versi. Cin offrono una visione di com’è la vita. Tutto, purtroppo, è destinato a finire e negli umani questa sensazione è sempre presente come scritta nel DNA. Anche quando tutto sembra meraviglioso, la sensazione che dietro l’angolo ci sia la fine dello stare bene è sempre presente.