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La Resistenza di ieri e quella di oggi raccontata da Aldo Cazzullo

Il giornalista e scrittore Aldo Cazzullo racconta la storia della Resistenza tra falsi miti e verità, segnalando cosa occorre recuperare di quelli spirito oggi

La Resistenza è un fenomeno storico ben preciso che va dall’8 settembre 1943 al 25 aprile del 1945. Nasce dal disastro dell’8 settembre, dal fatto che i tedeschi fecero prigioniero quasi tutto l’esercito italiano, tranne qualcuno che si sottrasse alla cattura o cercò di combattere i tedeschi, come avvenne a Cefalonia. Altri, sottufficiali degli Alpini o reduci dalla Russia, riescono a salire in montagna, sottrarsi alla cattura e a formare le prime bande di partigiani.

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I falsi miti sulla Resistenza

Il mito della resistenza solo comunista è un falso ideologico: c’erano anche socialisti, monarchici, liberali, cattolici, azionisti. Nelle bande partigiane c’erano anche tanti ragazzi che non avevano nessun partito, ma non volevano combattere per i tedeschi. 

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La resistenza non è stata soltanto un fattore politico, ma anche sociale, plurale. Ci furono molti modi di dire di no ai nazifascisti. Non ci sono stati solo i partigiani: ci furono anche i carabinieri, i militari che combatterono al fianco degli alleati, gli internati militari in Germania che preferirono restare nei lager in condizioni durissime piuttosto che andare a Salò a combattere altri italiani.

Ci furono sacerdoti come Don Ferrante Bagiardi che scelse di morire con i suoi parrocchiani, più di 70 fucilati sull’Appennino Toscano, dicendo “ti accompagno io davanti al Signore.” Ci sono state suore come suor Enrichetta Alfieri, la capa delle suore di San Vittore il carcere di Milano che si riempì di prigionieri dei nazifascisti e si schierò dalla loro parte. Fu scoperta, arrestata e condannata a morte. Tra i prigionieri salvati dalla suora anche Mike Bongiorno e Indro Montanelli. Quest’ultimo disse: “Alcune cose potevano farle solo i santi e gli eroi. Suor Enrichetta era entrambe le cose”.

Resistere oggi

Oggi noi siamo chiamati a “resistere”, ma il paragone con quei tempi è improprio. Quando parliamo del “sangue dei vinti”, dobbiamo ricordare che i vinti sono tali solo dopo il 25 aprile: prima i fascisti avevano il coltello dalla parte del manico. Oggi comunque siamo chiamati a “resistere” in modo diverso. Qualcuno ha detto: “Per la prima volta siamo chiamati a servire la patria stando sul divano: non possiamo fallire”. Restare a casa può essere angosciante, ma devo dire che gli italiani si sono comportati bene.

Ci sono stati questi slanci di medici, infermieri, forze dell’ordine, volontari delle ambulanze, ma anche cassieri del supermercato, farmacisti, i cronisti. Mi sono piaciute quelle forme di identità e di appartenenza come i tricolori ai balconi, gli applausi a medici e infermieri, un po’ meno qualche esibizionismo chiassoso. Riscoprire l’orgoglio, il senso d’appartenenza, la dignità nazionale in momenti come questo è un fenomeno positivo.

Recuperare lo spirito della Resistenza

C’è uno spirito che i nostri padri e le nostre madri dimostrarono durante la Resistenza e la successiva ricostruzione che noi dobbiamo recuperare. Non credo tanto alla concordia nazionale: durante il dopoguerra ci furono le vendette degli antifascisti, lo scontro tra repubblicani e monarchici, tra comunisti e democristiani. Però c’era fiducia e orgoglio, quell’idea che il futuro sarebbe stato migliore del presente se avessimo dato il meglio di noi stessi. Questa voglia di fare, di sacrificarsi, di migliorare la propria condizione, di studiare. C’era una bellissima lettera di Eusebio Giambone, condannato a morte per la resistenza, che scrive l’ultima lettera alla figlia bambina, di nome Giselle. Così scriveva: “Studia per migliorare non soltanto la tua condizione, ma tutta la società. Se poi dovrai lavorare per mantenerti, studia la sera”. Dobbiamo recuperare questo spirito di ricostruzione attraverso il lavoro.

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