I versi di Alejandra Pizarnik sull’incantesimo dell’amore

30 Marzo 2025

I versi tratti dalla poesia "Chi illumina", di Alejandra Pizarnik raccontano di quanto sia soggiogante il sentimento amoroso, quanto ci renda indifesi.

I versi di Alejandra Pizarnik sull'incantesimo dell'amore

Alejandra Pizarnik è una delle voci più intense e tormentate della poesia del Novecento. Nata in Argentina nel 1936 e scomparsa prematuramente nel 1972, la sua opera è segnata da una profonda riflessione sulla parola poetica, sull’identità e sulla sofferenza esistenziale. La sua poesia si muove tra il silenzio e la parola, tra l’ombra e la luce, cercando un significato nell’atto stesso di scrivere.

I versi tratti dalla sua poesia Chi illumina, contenuta nella raccolta La figlia dell’insonnia, esprimono con grande potenza la relazione tra lo sguardo, il linguaggio e il mistero della condizione umana.

«Quando mi guardi
i miei occhi sono chiavi,
il muro ha segreti,
il mio timore parole, poesie.»

Questa breve ma intensa strofa condensa molti dei temi fondamentali della poetica di Pizarnik: lo sguardo come strumento di rivelazione, il muro come confine tra il dicibile e l’indicibile, la paura trasformata in poesia.

Alejandra Pizarnik e l’amore che tramuta il timore in canto

Il primo verso, «Quando mi guardi», pone immediatamente il tema della relazione tra l’io e l’altro. La poesia di Pizarnik è spesso caratterizzata da un profondo senso di solitudine, ma qui appare una presenza esterna, uno sguardo che ha il potere di trasformare la percezione della realtà.

Il verbo “guardare” non è neutro: è un atto di penetrazione, di accesso a una dimensione nascosta. Lo sguardo dell’altro diventa il mezzo attraverso il quale il soggetto poetico si scopre e si svela.

«I miei occhi sono chiavi» è un’immagine di grande suggestione: gli occhi, solitamente considerati lo specchio dell’anima, qui assumono la funzione di strumenti di apertura. Non sono semplicemente finestre attraverso cui il mondo si riflette, ma chiavi che possono aprire porte segrete. Questa metafora suggerisce che lo sguardo, quando è profondo e autentico, può permettere di accedere a dimensioni interiori altrimenti inaccessibili.

Il muro e il segreto: il confine tra il dicibile e l’indicibile

Nel secondo verso, «il muro ha segreti», Pizarnik introduce un’immagine potente e ambivalente. Il muro può essere interpretato come una barriera, un ostacolo alla comunicazione e alla comprensione, ma il fatto che possieda segreti implica che dietro di esso si cela qualcosa di nascosto, qualcosa che attende di essere svelato.

In molte culture, il muro rappresenta il limite tra il noto e l’ignoto, tra ciò che è accessibile e ciò che rimane celato. In questo contesto, possiamo leggerlo come un simbolo dell’inconscio, di quei luoghi della mente e dell’anima che restano inespressi, ma che lo sguardo può avvicinare.

Se gli occhi sono chiavi, allora il muro può essere aperto, rivelando i suoi segreti. Questo passaggio suggerisce che la poesia stessa può essere un mezzo per abbattere le barriere e accedere a verità profonde e nascoste.

Dalla paura alla poesia: la trasformazione dell’angoscia in parola

Il verso conclusivo, «il mio timore parole, poesie», è forse il più emblematico della poetica di Pizarnik. Qui si compie la trasformazione della paura in linguaggio, in espressione artistica.

La poesia nasce spesso dall’angoscia, dal disagio esistenziale, dall’incapacità di trovare un posto nel mondo. Pizarnik, segnata da una profonda inquietudine interiore, trovava nella scrittura un rifugio, ma anche un mezzo per affrontare le proprie paure.

Il fatto che il timore diventi parole e addirittura poesie suggerisce che la scrittura non è solo un atto di espressione, ma una forma di salvezza. La poesia non elimina il dolore, ma lo trasforma, lo rende dicibile, lo rende arte.

Questo concetto è molto vicino a quello espresso da altri poeti che, come Pizarnik, hanno vissuto un’esistenza segnata dalla sofferenza interiore. Pensiamo a Sylvia Plath, che nella sua opera ha spesso affrontato il tema dell’angoscia e del rapporto tra scrittura e sopravvivenza.

I versi di Chi illumina racchiudono in poche parole una visione profonda della poesia e della condizione umana. Attraverso lo sguardo dell’altro, il soggetto poetico scopre in sé qualcosa di nuovo: i suoi occhi diventano chiavi, strumenti di accesso a un mondo nascosto. Il muro, simbolo di separazione e di mistero, si carica di segreti che possono essere rivelati. E infine, la paura stessa diventa linguaggio, si trasforma in poesia.

Alejandra Pizarnik ci insegna che la poesia non è solo un mezzo per esprimere sentimenti, ma è un processo di scoperta e di rivelazione. È attraverso la parola poetica che l’indicibile può emergere, che il dolore può assumere una forma, che il mistero dell’esistenza può essere almeno in parte esplorato.

Questa concezione della poesia come luogo di trasformazione e di rivelazione la avvicina a grandi poeti del Novecento, da Rainer Maria Rilke a Paul Celan, accomunati dalla convinzione che il linguaggio poetico possa svelare aspetti della realtà altrimenti inaccessibili.

Alla fine, la poesia di Pizarnik è un atto di resistenza contro il silenzio e il nulla. È la dimostrazione che, anche nei momenti di maggiore paura e smarrimento, esiste ancora una chiave per aprire il mistero della vita.

Questi versi, però, si illuminano solo se letti insieme ai restanti della poesia:

Chi illumina

Quando mi guardi
i miei occhi sono chiavi,
il muro ha segreti,
il mio timore parole, poesie.
Solo tu fai della mia memoria
una viaggiatrice affascinata,
un fuoco incessante.

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