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Le 5 opere d’arte proibite durante l’Unione Sovietica da riscoprire oggi

Scopri 5 opere d'arte miracolosamente sopravvissute, descritte nel romanzo "Anche se proibito", che non solo infrangevano le regole del Realismo Socialista, ma mettevano in discussione l’intero impianto ideologico dell’URSS.

Nel cuore del regime sovietico, quando ogni pittore era chiamato a glorificare fabbriche e leader, alcuni artisti osarono raccontare la verità. Queste 5 opere d’arte, descritte nel romanzo “Anche se proibito – La folle impresa di Igor V. Savitsky“, non solo infrangevano le regole del Realismo Socialista, ma mettevano in discussione l’intero impianto ideologico dell’URSS.

5 opere d’arte proibite durante l’Unione Sovietica da conoscere

Per questo furono vietate, nascoste, a volte distrutte. Ma grazie al coraggio di Igor Savitsky, l’uomo che ha salvato e nascosto in un deserto dell’Asia Centrale oltre 80.000 opere d’arte proibita che rischiavano di scomparire per sempre, molte sono sopravvissute.

 

1. Scene di vita nei gulag – Nadezhda Borovaya

Scene di vita nei gulag – Nadezhda Borovaya
Scene di vita nei gulag – Nadezhda Borovaya

 

Tra le opere d’arte proibite durante il regime sovietico troviamo un ciclo di dieci tele dipinte da una donna deportata nei campi perché “moglie di un traditore della patria”. I quadri ritraggono bambini trascinati su slitte improvvisate, prigionieri con numeri di matricola sul colbacco, freddo, fame e umiliazione quotidiana. È l’unica testimonianza visiva non filtrata della vita nei gulag staliniani.

 

2. Il Pugile – Kliment Redko

Il Pugile – Kliment Redko
Il Pugile – Kliment Redko

 

Un pugile steso a terra, l’arbitro e il vincitore in ginocchio. Una potente allegoria della violenza che umilia tutti, anche chi vince. Redko fu condannato alla fame per questo quadro.

 

3. Amicizia, amore, eternità – Usto Mumin

Amicizia, amore, eternità – Usto Mumin

Tele poetiche e silenziose, sospese in un tempo immobile, in cui giovani uomini si osservano con desiderio, pudore e una tenerezza trattenuta. I loro corpi sfiorano la luce, i gesti sono esitanti ma intensi, come se sapessero che ogni sguardo potrebbe costare tutto. Un’eresia per l’URSS, che considerava l’omosessualità non solo una malattia, ma una perversione controrivoluzionaria, un tradimento dell’ideale collettivo e virile del “nuovo uomo sovietico”.

L’artista che le dipinse fu incarcerato due volte, condannato alla rieducazione e al silenzio, ma non smise mai di raccontare l’amore omosessuale, con coraggio e delicatezza. Continuò a dipingere di nascosto, su cartoni, pezzi di lino, vecchie assi recuperate. Sul fondo delle tele, due anziani li osservano con disapprovazione, incarnando la morale dominante, mentre poco più in là, nel cielo terso, vola libero un airone — simbolo fragile e fiero di un amore che rifiuta di essere nascosto.

 

4. Il toro (detto anche “Il fascismo avanza”) – V.A. Lysenko

Il toro (detto anche “Il fascismo avanza”) – V.A. Lysenko
Il toro (detto anche “Il fascismo avanza”) – V.A. Lysenko

 

Un’enigmatica creatura frontale, con occhi neri come canne di fucile, fissa l’osservatore in uno sguardo muto e carico di tensione. Intorno alle corna si avvolge un disegno suprematista, geometrico e ossessivo, mentre un sole arancione-bolscevico sorge alle sue spalle come un’icona deformata del progresso.

L’opera — in apparenza astratta — fu letta dai censori come una critica al potere sovietico: il toro rappresenterebbe la forza cieca e brutale dell’ideologia, i colori sul corno un’ipocrita parata internazionale, il sole una minaccia mascherata da ottimismo. Il titolo “Il fascismo avanza” coglie un’eco di ribellione contro tutte le dittature, che giustificò il suo occultamento nei depositi del museo, come fosse una bomba pronta a esplodere sotto gli occhi sbagliati.

 

5. Il destino del popolo karakalpako – Olga Joldasova

Il destino del popolo karakalpako - Olga Joldasova
Il destino del popolo karakalpako – Olga Joldasova

 

Concludiamo la presentazione di alcune delle più suggestive opere d’arte proibite durante il regime sovietico con una tra le opere più coraggiose conservate al Museo Savitsky di Nukus: un quadro che attacca frontalmente la pianificazione agricola sovietica. Tre facce di un cubo rappresentano le fasi della campagna delle terre vergini, che trasformò il deserto del Karakalpakstan in un immenso campo di cotone.

Nel primo, l’armonia tra uomo e natura; nel secondo, la violenza delle macchine e degli slogan propagandistici (“Conquisteremo! Sottometteremo!”); nel terzo, un deserto disgregato e un libro rosso che censisce le specie estinte. Quest’opera è un grido muto contro il prosciugamento del Lago d’Aral, una delle più gravi catastrofi ambientali del Novecento, causata proprio da quelle politiche del regime. È un quadro di denuncia, di memoria e di dolore, che racconta l’ecocidio in tempo reale — quando ancora era proibito parlarne.

 

Opere d’arte come atti di resistenza

Queste opere — oggi conservate tra le sabbie del Karakalpakstan — non sono solo testimonianze artistiche: sono atti di resistenza. In un’epoca in cui bastava un colore sbagliato per essere messi a tacere, ogni pennellata era un gesto politico. Il romanzo Anche se proibito di Giulio Ravizza racconta la storia vera di Igor Savitsky, l’uomo che le ha salvate, sfidando il regime con l’arma più pericolosa di tutte: la bellezza. Un viaggio tra quadri nascosti, artisti perseguitati e silenzi che oggi tornano a parlare. Anche se proibito.

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