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Torno subito – Racconto di Francesca Tamani

“Avevo la convinzione che d’estate la vita si rinnovasse”, F.S.Fitzgerald.

Questo è il post che saluta la mia giornata stamattina, appena mi sveglio e a tentoni raggiungo il telefono sul comodino. Ecco l’azione che svolgo tutti i giorni, gli occhi mezzi chiusi, prima di rendermi conto di essere ancora al mondo. Prendere in mano il cellulare nella segreta speranza di aver ricevuto chissà quante e quali notifiche sui social, “like” alle mie foto, mail importanti oppure quel tanto agognato messaggio.

Gesti lenti e scoordinati di chi si è appena svegliato, accompagnano questo momento paragonabile allo stato in cui si sta per ricevere un verdetto finale. Come quando eri studente e scorrevi in modo febbrile il tabellone dei voti per capire se avresti dovuto passare l’estate sui libri. Ecco. L’illuminarsi del display al mattino provoca in me, più o meno, una sensazione simile.

6 /9/2018 . La data è la prima immagine che ti dà il buongiorno nel caso fossi talmente rincretinita dal sonno da non ricordarti neppure su che pianeta vivi. Poi: momento verità. Nella parte superiore del mio telefono non appare nessun simboletto rosso, nessuna notifica, niente di niente. Il deserto. Immediatamente dentro di me si fa strada l’idea che sia assolutamente impossibile che nessuno abbia messo un “like” ad una mia foto o che non abbia ricevuto neppure una stupida mail pubblicitaria. Così, do la colpa alla connessione. Spengo e riaccendo il telefono perché “Non è possibile!” Mi sorprendo a dire ad alta voce, cosa che attesta il fatto che: si, sono sveglia; e, no, non ho notifiche nel cellulare. E’ un po’ come sentirsi vittima di una congiura, come se l’intera umanità si fosse accordata segretamente per non calcolarti, per farti sentire inutile, anzi, proprio inesistente. Un’entità avulsa dal resto del mondo che di nome fa Vittoria, ha un marito, due figli e da una settimana continua a lasciare appeso sulla porta del  negozio il cartello “ Torno subito”.

Sapete quelle persone super organizzate, definite col temine inglese “multitasking”?. Affidabili, equilibrate, abitudinarie. Quelle che ricordano per filo e per segno ciò che successe alle due del pomeriggio del 15 luglio 1987? O di che colore fosse la cravatta del marito alla tradizionale cena aziendale natalizia del 2001. Ecco quella sono io, memoria storica di tutta la mia famiglia, custode dei fatti detti e non detti di ogni componente nonché confidente o madre surrogata degli amici dei figli, segretaria 24 ore su 24, cuoca, maestra ma soprattutto madre, moglie e recentemente amante.

Molto stimata anche nella multinazionale nella quale ho lavorato fino a due anni fa, dove anche lì, grazie alla mia versatilità e alla mia brillante intelligenza, unità ad una, non da meno, faccia da schiaffi, ho raggiunto un successo incredibile- Successo che mio marito ha sempre presentato in modo sbrigativo durante le occasioni mondane sbandierando volgarmente le cifre del mio stipendio.

Insomma, proprio io, che “aggiusto” sempre tutto, il vanto della mia famiglia, oggi non ho notifiche e sono alla prese con “ l’aggiustare” me stessa. Ma volete ridere? Nessuno se ne è accorto.

All’apice della mia carriera in azienda, dopo aver surclassato colleghi maschilisti e prepotenti e colleghe  invidiose e fetenti, come si dice oggigiorno: ho mollato. Con la somma ricavata da questa cavalcata nel mondo dell’economia ho aperto un negozio. Stanca di orari rigidi, capi che ti controllano la scollatura più per sbirciare i tesori contenuti all’interno che per valutare i criteri di decoro applicati dal regolamento aziendale, ho lasciato la scrivania per un lavoro più dinamico e creativo. Ma soprattutto tutto mio. Mio marito credo che non abbia ancora realizzato il mio cambiamento, potrei vendere fiori, calzini o macchine per il caffè che lui sarebbe comunque troppo impegnato nei suoi di affari per attardarsi dopocena quei dieci minuti in più al tavolo della cucina e chiedermi:

“ Come va? Cosa hai fatto oggi?”.

Per lui un lavoro è un lavoro, la cosa importante è che quelle famose cifre riportate sul cedolino della mia busta paga, rimangano invariate e non pesino in negativo sul tenore di vita raggiunto. Quelle che potevano essere le mie aspettative, paure, soddisfazioni rimanevano dettagli marginali dei quali dovevo rendere conto solo a me stessa, essendo io, l’unico conforto alle mie stesse inquietudini. I figli in piena fase scolastica e adolescenziale ne avevano abbastanza di avere una madre che mantenesse stessi ritmi ed equilibri rispetto al lavoro precedente. Per il resto anche a loro importava ben poco delle occhiate nella scollatura del mio capo o della mia vita fuori dalle mura domestiche.

Mi alzo, rifaccio il letto, sempre con il cellulare a portata di mano e mi preparo. Provo ad essere positiva lo stesso. Del resto una cosa interessante nel cellulare l’avevo trovata, l’aforisma di F.S. Fitzgerald che ha confermato uno stato d’animo che ho sempre provato durante il periodo estivo. Il pensare all’estate come la chiusura di un ciclo e l’inizio di uno nuovo. Il mettere sul ripiano più alto dell’armadio, insieme ai maglioni di lana, una fase conclusa della vita e celebrarne una nuova con l’apertura del cassetto dei costumi da bagno. Un momento per rigenerarsi. Per stare soli quando tutti partono. I figli che terminata la scuola raggiungo i nonni nella casa al mare, i ritmi che rallentano, le nottate che si allungano e i pensieri che diventano sempre più leggeri.

Mi vesto, con un bell’abitino a fiori, quasi per esorcizzare la monotonia del display del mio telefono. Esco. Passo davanti al mio negozio, tutto sembra a posto. I vasetti dei colori a olio disposti in modo sapiente, vicino ai pennelli, ai quaderni e agli album da disegno non hanno nessun bisogno di me. Non c’è nessuno nei paraggi che mi reclama. Anche oggi non ho nessuna intenzione di togliere il cartello “Torno subito”. In fin dei conti, tornerò. Magari non proprio subito. Ma lo farò. Infondo anche io mi merito una pausa. Perché se il “chiuso per ferie” suona come un messaggio urlato, perentorio, netto; il “torno subito”, invece, è una leggera divagazione, lo stare sospesi a mezz’aria per un po’, un modo garbato per sparire. Quello di cui ho bisogno ora: niente decisioni estreme o rotture, semplicemente evaporare, estraniarmi. Forse anche il cellulare lo ha capito e per quello mi lascia in pace.

Girato l’angolo un casco e una vespa azzurra mi aspettano. Due mani delicate e gentili si assicurano che il cinturino sia ben allacciato sotto il mio mento. Partiamo. Direzione? Il mare è ad una mezzoretta di strada ma mio marito non mi ci porta mai. Odia la sabbia. E poi, è’ sempre troppo occupato dai suoi eventi mondani dove arruffianarsi completi sconosciuti in giacca e cravatta.

Facciamo un bagno e poi ci mettiamo sotto l’ombrellone. In spiaggia non c’è nessuno, anche io sono trasparente a forza di cancellare le tracce di questa fuga. Non ho figli, non ho un marito, non ho un lavoro e il cellulare che prima, con il suo silenzio, mi appariva così crudele ora con la sua assenza diventa un complice leale. Non so neanche più come mi chiamo. So solo che sto bene. Il mio cavaliere che di azzurro oltre la vespa ha due incantevoli occhi, è un uomo semplice nei suoi pantaloncini corti e maglietta.  Mi fa prendere contatto con la parte più istintiva e genuina di me e la cosa mi piace. Riesce a smontare tutte quelle maschere che anno dopo anno mi sono messa in faccia e attraverso le quali la gente mi conosce. Qui, tra noi, non c’è bisogno di molto.

 

Appena rientrata mi faccio una doccia per togliere ogni traccia, rientrare nei miei panni di moglie e madre irreprensibile e non destare sospetti. Per tutti sono la perfetta Vic che fa girare le palline della vita sopra la sua testa meglio di un giocoliere esperto. Tuttavia la sensazione di lasciare la presa, di non controllare sempre tutto, l’infrangere sistematicamente la promessa di un “torno subito”, quei granelli di sabbia calda e piacevole sotto i piedi, mi fanno sentire un’altra e soprattutto mi fanno rientrare ogni volta sempre più in ritardo. Non è da me. Io sono puntualissima.

 

Poco dopo, più o meno in contemporanea, mio marito  e i miei figli mi mandano un messaggio. Questa è la prova che la connessione funziona benissimo!

“ Vic, non aspettarmi, stasera resto a cena con i colleghi dell’ufficio, torno tardi. Ciao”

“ Ciao mamma, noi qui tutto bene. Possiamo restare dai nonni un’altra settimana?”

 

Improvvisamente arrivano anche due mail e un messaggio. Allora la congiura ordita dal web alle mie spalle è finita! L’universo ha ripreso a girare e io finalmente posso continuare a farne parte.  Le mail le trascuro, vado con foga infantile al messaggio:

“ Grazie per il bellissimo pomeriggio che mi hai regalato, se ti va domani ripetiamo. Ti auguro una buona serata con questa frase:

Prendi qualcosa della vita reale. Senza trama. Senza finale” A.Cechov.

 

 

Francesca Tamani

 

 

 

 

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