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Il sole c’è sempre – Racconto di Elena Ventura

Sospetto che ci sia qualcosa sotto. Sotto ogni cosa. C’è sempre un qualcosa di altro che non si vede, ma, molto spesso è ancora più grande e importante di ciò che sta in superficie.
Basti pensare al mare. Già il filo d’acqua, con le sue barbette schiumose, bianche e salate. Quei riccioli azzurri e i riverberi che sembrano petali di sole caduti dal cielo sotto… Sotto nasconde un umido mondo che ancora non è stato nemmeno tutto esplorato.
C’è il rovescio della nostra vita, di noi che stiamo in superficie e lottiamo per alzarci dal suolo. Loro la sotto possono viaggiare ad ogni altezza, perché acqua è acqua. E si godono tutto lo spazio disponibile.
Poi da piccola invece mi infilavo i miei stivaletti di gomma, rossi, quelli che amavo da impazzire, che annusavo inebriandomi con l’odore di plastica. Ancora adesso quando entro in un negozio e ne vedo, di quelli stivaletti di gomma assolutamente antiestetici, ci tuffo il naso e chiudendo gli occhi ancora mi vedo lì, seduta sull’uscio di casa, a infilarmeli fremente.
Poi correvo fuori, in una giornata grigia per saltare nelle pozzanghere. Fuori da casa mia ce n’erano tantee anche di profonde. Provavo a saltarle per il lungo e il largo, ma tanto poi sapevo che il bello era proprio cascarci dentro.
Dopo alzavo il nasino all’insù per guardare il cielo, solo che non facevo un brutto muso, ma anzi, ridevo e negli occhi avevo la freschezza della pioggia. Ero felice perché, in qualunque caso, io avrei adattato i miei desideri all’esterno. Esattamente come fa dell’acqua in un recipiente. Prende la forma del contenitore. Senza fatica. Il problema è quando questo diventa troppo piccolo e l’acqua comincia a strabordare. Eppure, all’apparenza, sembrava che potesse essere contenuta tutta.
Dietro il cielo, annusavo, e sentivo che il sole stava lì. Era solo nascosto, giocava a nascondino, lui. Magari saltava anche lui nelle pozzanghere con i miei stessi stivaletti di gomma, però gialli.
Lì io non avevo il sospetto, lo sapevo che dietro c’era qualcosa di ancora più bello. Ne ebbi poi la conferma la prima volta che, volando, vidi il sole splendere sopra un tappeto di nuvole e immaginai le persone là sotto, borbottare per lo scuro. Se solo avessero saputo che ci stava dietro.
“Oggi non c’è il sole”. No, non è vero. Il sole c’è sempre.
Poi mi guardo allo specchio. Quello specchio grande che ho al piano di sopra di casa, nel corridoio che porta alle camere da letto.
Là c’è sempre una bella luce, perché passando dalla finestra, arriva diretta sulla pelle senza filtri, così come viene dal mattino, o dal tramonto.
Mi guardo e so di essere così: una ragazza bionda, riccia, non troppo alta, troppo magra e imperfetta. Un po’ colorata da tatuaggi, con occhi grandi tra il verde e l’azzurro, pelle chiara e labbra rosa. Ma dietro… Se mi impegno, guardo dietro e ci vedo un’altra strana creatura.
Ci vedo un soffice velo di seta colorato di panna e bianco che cade obbediente su lunghe strisce di pelle. O forse porcellana. Non posso sentire gli odori, ma so che profuma di olio di cocco e i microscopici peli biondi la fanno scintillare come se fosse cosparsa di brillantini.
È un insieme di curve dolci e piccole, niente di prorompente. Misurato, ma non costretto. Il collo sottile abbracciato da una cascata di riccioli color del miele d’acacia, più chiaro. Spruzzi di oro. Pennellate di quasi bianco.
Non li posso toccare ma so che sono morbidi. Allungo la mano come per poterci infilare le dita, ma non posso, loro già scorrono tra le mani del vento Poi un viso ovale, liscio ci guancia profumate come pesche estive. Un piccolo cuore al posto delle labbra. Un naso imperfetto a dividere due uragani intorno a due pupille scure come la notte più irreale.
E lì mi fermo. Perché quello che sta dietro lo sto vedendo, ma andare dietro a quegli occhi… Questo non lo posso fare.
Sarei corsa incontro a quell’immagine frantumando lo specchio, frantumando lo spazio e le paure. Per abbracciarla.
Ma andare oltre e quegli occhi… No. Ci sono cose che devono stare dietro. Perché, troppo grandi, se fossero liberate, inonderebbero tutto.

Elena Ventura

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