Lui si chiama Guido, il flâneur. Come un personaggio di un’opera francese decadente, vaga per le strade del paese con una sedia sulle spalle su cui campeggiano citazioni di Neruda. Tutti lo conoscono e sanno che possono trovarlo seduto sul ponte lama Monachile, che separa le due anime del paese, nelle rare giornate in cui non soffia il maestrale. Sceglie con cura la posizione, sistema la sedia, si accomoda e si immerge nella lettura del suo quotidiano. La sua pelle abbronzata, ancora poco segnata dalle rughe per un uomo della sua età, desta ammirazione e forse un pizzico di invidia negli abitanti, che in fondo, ammirano la scelta coraggiosa di quest’uomo. Solitamente l’età di un flâneur non è data saperla. Ma con Guido è diverso. Lui firma le sue opere e le chiude con la sua data di nascita e di morte: 1946-2046. Perché lui sa già che vivrà cent’anni. Anche se il suo incedere si è fatto più lento, anche se non riesce a fare più tutto quello che faceva un tempo. Anche se i medici gli hanno detto che deve riguardarsi. Lui non conosce altro modo per vivere la vita. Se non sedersi e osservare il mondo. Emozionarsi e far dono delle sue emozioni sotto forma di parole. Lui dissemina il paese con frasi e poesie di autori conosciuti, scritte sui muri, sui tavolini dei bari, sulle sedie dei ristoranti. Parole disseminate quasi a caso. O forse, secondo un disegno più grande di lui. E di tutti noi. Che l’Universo ha un linguaggio magico. Fatto di segni apparentemente privi di senso. E si serve di persone come Guido per disseminarli in giro, come polvere di stelle in una notte buia.
Oggi Guido si sente pieno di vita. Più del solito. Così dopo aver letto il quotidiano e averlo scarabocchiato un po’, lo ha donato come fa di solito, con una scritta rossa in prima pagina a caratteri cubitali “gracias a la vida que me ha dato tanto”, un testo di Violeta Parras. Una canzone struggente ed intensa. Un’ode alla vita che ci riempie di doni, in ogni istante, se solo siamo in grado di coglierli. Un po’ come i segni di Guido.
La canicola imperversa. E anche un nomade come Guido ha bisogno di un po’ di refrigerio. Il campanile della Cattedrale sembra un riparo perfetto. Proprio lì, all’angolo tra Piazza dell’Orologio e Via San Benedetto. Che nei giorni in cui soffia il maestrale è impossibile rimanerci anche solo per qualche secondo, perché il freddo ti entra nelle ossa. Ma in quell’afoso pomeriggio di Luglio è l’unico posto in cui prendere una boccata d’aria. Certo non è un posto in cui poter meditare in silenzio sul senso della vita. Crocevia tra le due piazze principali, c’è sempre qualcuno che ha bisogno di un’indicazione per raggiungere le terrazze o la Grotta Palazzese. E poi ci sono i proprietari delle botteghe, che appena i clienti vanno via, scappano a sedersi sui gradini della chiesa. Se c’è caldo possono invocare il maestrale, e se c’è il maestrale almeno hanno qualcosa di cui lamentarsi. Perché troviamo sempre un inspiegabile senso di conforto nel lamentarci della nostra vita. Quasi come un gesto scaramantico. Come se a dire che va tutto bene si diventasse vulnerabili ai tiri mancini del destino.
“Ciao Guido. So che la domanda ti sembrerà strana, ma ho cercato dappertutto e mi hanno detto che forse tu mi puoi aiutare. Hai per caso La Repubblica di oggi?”
I suoi occhi si illuminano. Guido adora quando qualcuno si ferma a parlare con lui. Sempre che non sia immerso nella lettura. Ma non sta leggendo. Riposa solo la sua gamba stanca.
“Io ho sempre La Repubblica! Ma ho già finito di leggerla e ne ho fatto dono. Non è un problema. Chiedi in giro. La troverai”.
La risposta di Guido ha tutta l’aria di essere un segnale, in questa insolita caccia al tesoro cominciata da qualche minuto. Sento che questo pomeriggio mi riserverà sorprese piacevoli.
Saluto Guido con un grande sorriso, augurandogli buon pomeriggio e mi dirigo verso Piazza dell’Orologio.
Allora vediamo. Il paese è piccolo, ma non tanto piccolo abbastanza da chiedere a tutti se hanno il quotidiano di Guido. Ma quel quotidiano è da qualche parte. E io desidero leggerlo. E quando qualcuno desidera qualcosa con tutto se stesso, l’Universo cospira perché possa realizzarla. Basta non scoraggiarsi.
Sento una goccia scivolarmi via lungo la fronte. Accidenti che caldo!
Ripenso divertita a come sia cominciata quest’avventura pomeridiana. Con una dedica.
Compra La Repubblica. Pag. 48. Duchamp dice ad Annina cosa avrebbe dovuto fare. E io la dedico a te.
Galeotto è stato il messaggio che ha interrotto il flusso dei miei pensieri mentre tornavo a casa dopo il bagno quotidiano. Ero sul ponte Lama Monachile, come Guido, e guardavo estasiata il mio paese arroccato sul mare. C’è qualcosa di magico in quei due costoni di roccia a strapiombo sul mare. Si osservano, divisi dal mare, come timidi amanti non coraggiosi abbastanza da avvicinarsi. Il mio divertimento più grande è attraversare il ponte e voltarmi indietro negli ultimi metri. Cambiando prospettiva le due scogliere si avvicinano, si sfiorano e poi si uniscono in un bacio struggente. Ma non oggi. Quel messaggio mi ha incuriosita.
Chi era Annina? E cosa avrebbe mai detto Duchamp di così rilevante per me? C’era un solo modo di scoprirlo. Compare il giornale.
Ma la domenica pomeriggio l’edicola del paese è chiusa.
Forse la signora dell’edicola ha fatto tardi. Forse non aveva di meglio da fare ed è rimasta lì seduta sul suo sgabello, dal quale osserva curiosa la vita dei suoi compaesani.
Minuta, con i capelli corti e il viso segnato dalla vita. E quegli occhi profondi, che osservano la gente che, persa nei suoi pensieri, chiede il quotidiano locale. Perché nel paese leggono tutti quello, La Gazzetta del Mezzogiorno, che è disponibile in tutti i bar. Ma oggi io cerco La Repubblica. Niente. La serranda è abbassata. L’edicola è chiusa.
Ma magari oggi è il mio giorno fortunato e in qualche bar c’è una copia de La Repubblica.
Comincio a girare divertita tra i bar. Nulla. Così sono arrivata a Guido. Lui legge sempre La Repubblica. Ma oggi ne ha gia fatto dono a qualcuno.
Ed eccomi qui. Alla ricerca de La Repubblica di Guido.
La piazza è ancora vuota. Il caldo afoso tiene le persone incollate agli scogli o a chiacchierare in acqua.
Mi serve uno dei deliziosi centrifugati della yogurteria all’angolo, da bere all’ombra.
Quel quotidiano deve essere nelle mani di qualcuno qui in piazza. Ne sono certa. Perché è quello che desidero con tutto il mio cuore.
E quando qualcuno desidera qualcosa con tutto se stesso, l’Universo cospira perché possa realizzarla.
Ma l’Universo parla un linguaggio silenzioso, fatto di sussulti, brividi e segni nascosti. E per ascoltarlo l’unico modo è affidarsi all’intuito. Sento già nell’aria la cospirazione magica dell’Universo. Chiudo gli occhi. Sorrido divertita e quando li riapro mi guardo attorno.
Allora, tanto per cominciare vediamo se c’è qualcuno degli amici di Guido e poi se qualcuno sta leggendo. Eccolo! Deve essere lui, Luca. Un mio vecchio amico.
Perché? Per una serie di buoni motivi. Perché ha lo sguardo simpatico e mi ha appena salutata con un gran sorriso. Perché ha il mio stesso cognome. E soprattutto perché gira in paese con una bici sgangherata come la mia.
“Ciao Luca. Per caso hai La Repubblica?”
Il cameriere seduto accanto a Luca mi guarda con aria sorpresa. Ma immaginate la sua sorpresa quando Luca si alza di scatto e fa ritorno dall’ingresso del ristorante sventolando il quotidiano stropicciato.
“È speciale. Ha la dedica di Guido!”
Quel quotidiano ha fatto il giro del paese, passando di mano in mano. Macchie di cioccolato, forse del croissant mangiato a colazione, e di olio, forse del bancone della pizzeria di Luca, che lo ha lasciato da parte. Perché non puoi buttare via un regalo di Guido, con tanto di dedica. E poi non si sa mai.
A volte la mania, tipica della gente meridionale, di “conservare” tutto, torna utile.
“Un estratto rinfrescante con cetriolo, sedano e zenzero. Ecco cosa ti ci vuole!”
Mi piace venire qui. Ci lavorava gente sempre sorridente. Quando mettono la polpa di frutta e le noccioline sullo yogurt sembra stiano componendo un’opera d’arte. Gli occhi di chi svolge il proprio lavoro la dicono lunga sulla qualità del prodotto finale. Non servono lunghe interviste per assumere qualcuno. Basta chiedergli di fare per qualche minuto quello che farà una volta assunto, e osservare i suoi occhi con attenzione. Non mentono mai.
Anche il tavolo è perfetto. All’ombra. In una posizione riservata, e soprattutto vicino all’incrocio dei due vicoli. C’è qualcosa di magico negli incroci. Sanno di possibilità. Ci ricordano che abbiamo sempre una scelta.
L’attesa era finita. A breve avrei scoperto cosa aveva mai da dirmi di così importante Duchamp.
Perché lo so che si tratta di un segno. E di un segno importante. Perché è arrivato proprio mentre pensavo che fosse giunto il momento di decidere cosa fare della mia vita.
E poi è arrivato da lui. Che avevo appena conosciuto, ma che mi sembrava di conoscere da una vita. Lui che nei rari scambi di messaggi, senza saperlo, dava voce ai miei pensieri. Ma ormai ho smesso di meravigliarmi. Perché in fondo lo so che le persone non si incontrano mai per caso. Le loro anime si sono incontrate molto prima che gli sguardi si incontrassero e si sono fatte una promessa. La promessa di consegnarsi un messaggio.
Pagina 25, cronaca internazionale. Pagina 55, cronaca sportiva. Devono aver confuso le pagine.
Non amo leggere i quotidiani, per via di quel formato poco pratico. Che se sei al mare devi assumere posizioni scomodissime per non far cadere tutte le pagine. E che quando soffia il maestrale leggere diventa un esercizio di calma interiore.
Niente da fare. Pagina 48 non è qui. Non è ancora giunto il momento di bere il mio estratto rinfrescante. E ora? In paese tutti sanno che Guido e la sua sedia hanno tempi di permanenza molto limitati in un luogo. Ed infatti. Non è più all’ombra della cattedrale. La strada è vuota. Dino, il salumiere, appena apparso sull’uscio della sua bottega, forse colpito dal mio sguardo che deve apparire un po’ deluso, mi chiede se ho bisogno di qualcosa.
“Guido. Dov’è andato Guido?”
“Era stanco. Non si sentiva molto bene ed è andato a casa a riposare”.
Un velo di delusione si insinua nei miei pensieri.
Era troppo bello per… – ma le parole di Judy mi tornano in mente. Quando un pensiero negativo sta per sorgere e te ne rendi conto, non portarlo a termine. Ferma la mente. E pensa di nuovo.
Ecco, ora era giunto il momento di mettere in pratica quel consiglio. Judy era un altro degli incontri stranissimi di cui era costellata questa calda estate. Una di quelle persone che arrivano all’improvviso, ti travolgono con la loro energia, e vanno via. Ma prima di salutarti, ti fissano dritto negli occhi e ti dicono qualcosa che ti fa venire la pelle d’oca.
Posso scegliere. E scelgo di sorridere!
Vai. Vai. Lo trovi sicuro. Non è passato tanto tempo.
Non me lo faccio ripetere ancora. Non può essere andato lontano.
E infatti, Guido si era spostato solo di pochi metri. Fermo sul ciglio della strada. A chiacchierare con Fabrizio. Fabrizio fa questo effetto a tutti. Ha un sorriso così contagioso e una voce così intensa e simpatica che è quasi impossibile non fermarsi a scambiare due chiacchiere con lui. Doveva aver fatto dimenticare a Guido del suo malore.
Grazie al cielo! Alzo lo sguardo al cielo divertita, mentre mi riprendo dal fiatone per la corsa.
“Ciao Vitto!” – la voce di Fabrizio tuona nel vicoletto.
“Per fortuna siete qui! Ciao Fabri! Guido ho trovato la tua Repubblica! Bellissima la dedica, ma non c’è la pagina 48″.
Il tono della voce è concitato. Devo essere rossa. Chiudo gli occhi aspettando la risposta di Guido sperando in un bel…”ma certo, è nell’inserto della cultura. Io compro La Repubblica per quello la domenica e lo tengo per me”.
Forse dovrei essere sorpresa, ma ho capito che tutto è possibile in questo afoso pomeriggio di luglio.
“Me lo presti per qualche minuto? Devo leggerlo. C’è un messaggio per me”.
“E da chi? Se non sono indiscreto”.
“Cioè il messaggio non è scritto per me, ma quello che c’è scritto è per me. Lo so è tutto un po’ strano. Devo solo leggere un articolo”.
“Certo. Quale? E perché?”
Guido non si accontenta mai di una risposta sbrigativa. Perché lui adora intavolare conversazioni. Se poi si tratta di cultura è un invito a nozze.
“Allora, è un articolo a pagina 48 che parla di una certa Annina. Ma tu la conosci?”
“Ok ok, aspetta. Eccolo qui”.
Grazie al cielo! L’Universo ha suggerito a Guido di tenere a bada la sua curiosità!
Estrae l’inserto ripiegato dalla sua borsa di paglia. Si, perché lui gira per il paese con un cappello in paglia modello panama, occhiali da sole femminili e borsa in paglia intrecciata con un grande fiore giallo!
Io da grande voglio essere Guido! A lui non importa cosa pensa la gente. Pensa solo a vivere lui. E ad essere se stesso.
“Mi permetto di aggiungere una dedica alla dedica. Posso?”
Come rifiutare una dedica. E soprattutto, come mettersi di mezzo con l’Universo che sta cercando in tutti i modi di comunicare con me. Dopotutto, continuo a fare domande. In qualche modo dovrà pure darmi delle risposte.
Sottoscrivo e condivido e sancisco quanto detto. Guido
Ringrazio calorosamente Guido, saluto Fabrizio e riprendo a correre. Il centrifugato mi aspetta.
Ci siamo. O meglio, ci risiamo!
Centrifugato, pagina 48 e un meraviglioso angolo all’ombra. Si è alzata anche una leggera brezza per rendere il momento semplicemente magico.
Scopriamo chi è Annina. Annina Nosei. Una gallerista d’arte. Romana, aveva conosciuto il successo tra Roma, Parigi e New York, ora in pensione. Di Duchamp nemmeno l’ombra. Gli occhi scorrono veloci. Perché è inutile, non riusciamo a goderceli questi istanti di pura magia. Dimentichiamo troppo di frequente che l’attesa rende il momento della scoperta più intenso. Ma non è proprio questo il momento di fare un esercizio di auto consapevolezza dei miei limiti. Voglio sapere cosa diceva Duchamp!
“Il faut que tu te transforme en argent”.
Ecco appunto, anche Annina alla fine dell’intervista dice che era rimasta delusa quando Duchamp gliel’aveva detto. Lui. L’artista a cui Annina aveva dedicato la sua tesi di laurea. Il suo mito. La persona che aveva adorato ed adulato per anni. Alla domanda “cosa dovrei fare della mia vita?”, lui aveva risposto “è arrivato il momento che tu faccia soldi”.
E la poesia? E il romanticismo artistico? Ma gli artisti non vivono di amore, ispirazione e creatività?
Sono delusa. Più di Annina. Perché almeno lei se l’era scelto Duchamp per la sua tesi. Io fino a quel momento ignoravo l’esistenza di Annina e di questo incontro e, soprattutto, di questa insignificante frase. E avrei vissuto benissimo anche rimanendo in tale ignoranza.
Benedetta impazienza!
L’articolo è lungo due pagine.
A me ne manca ancora una. Ma mi è passata la voglia. Finirò il mio centrifugato. Improvvisamente mi è tornato caldo.
La nostra mente riesce sempre a darci un motivo per cedere alla delusione e ritirarci. Come se volesse proteggerci dall’irreparabile. Spesso però, quando la seguiamo, sfioriamo la possibilità di scoprire qualcosa di magico.
E poi all’improvviso qualla sottolineatura. Perché Guido dissemina giornali e riviste di sottolineature nere. Un brivido mi attraversa la schiena.
“Durante una seduta di terapia motivazionale mi tornò in mente la frase di Duchamp (…) Gliela dissi (alla terapeuta). Non seppe rispondermi. Ma dove ero finita? Poi, un giorno compresi. Andava letta come trasformazione alchemica. Diventare come il metallo più nobile”.
“Argent” non significa denaro. Ma metallo prezioso. Ecco quello che le aveva detto Duchamp. Le aveva ricordato che in ognuno di noi esiste il potenziale per una trasformazione alchemica. Le aveva ricordato di guardarsi dentro, in profondità, avendo la pazienza di attraversare le tenebre, per portare in vita la luce. Perché questo fa un alchimista. E un artista lo sa bene.
Perché gli artisti lo sanno che le risposte sono dentro ciascuno di noi. Lo sanno, loro che rendono visibile quello che visibile non è. Loro che si trasformano in canali, in strumenti nelle mani del genio creativo universale, che li usa per donare a noi umani una bellezza che altrimenti rimarrebbe inespressa.
Piango. Perché piango sempre in quei momenti in cui la verità si schiude davanti ai miei occhi. In quei momenti in cui tutto diventa chiaro.
Avevo chiesto cosa dovessi fare della mia vita. Cercavo febbrilmente il senso della mia esistenza. E lo cercavo all’esterno. Nel lavoro che avrei dovuto fare, nei progetti che avrei dovuto realizzare. Lo cercavo negli altri. Come se non andassi bene esattamente com’ero e la mia esistenza non avesse valore. E l’Universo aveva deciso di venirmi in aiuto. Mobilitando un intero esercito di persone perché io potessi ricevere il mio messaggio. Chi mi aveva dedicato la frase. Chi mi aveva consegnato il giornale. Chi l’aveva comprato. Chi aveva scritto l’articolo e chi l’aveva commissionato. Annina e Duchamp. E tutti gli “aiutanti” che mi avevano accompagnato in questo straordinario pomeriggio estivo in una caccia al tesoro che mi aveva riportato al mio punto di partenza. Dentro di me.
Ma con una consapevolezza maggiore. Che posso smettere di cercare. Perché tutto quello di cui abbiamo bisogno è nascosto nel posto in cui non ci verrebbe mai in mente di cercare. Dentro di noi.
PS: Per i momenti in cui sicuramente metterò in dubbio che queste “coincidenze” siano state solo fortuiti accadimenti (perché il dubbio è un fedele compagno di vita): la frase che mi è frullata in testa per tutto il pomeriggio “E quando qualcuno desidera qualcosa con tutto se stesso, l’Universo cospira perché possa realizzarla” è una citazione de L’alchimista di Coelho. Così per dire…l’ennesima coincidenza!
Vittoria Scagliusi