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Михаил – Racconto di Paolo Napol

Torno. Ancora incapace di mandare giù la noia del puntuale ritardo del treno o più semplicemente di attenermi ad essa dignitosamente. Di fronte alle mie, altre due gambe. Le lasciamo fare reciprocamente conoscenza. Sono impegnate in un difficile livello di tetris, quando – dopo frenetici duelli di ginocchia – raggiungono in un gioco cooperativo ben riuscito una combinazione in grado di riempire lo spazio angusto sotto al tavolino. Level 1 – You win.

Come tetris, potrebbe venire dalla Russia, ma a questo livello ancora non mi è dato saperlo. Lo decido io. L’unico dato evidente non può che essere la nostra fisicità diversa. Non sono mai stato bravo a determinare le misure ad occhio, ma assumo con tranquillità che sia più basso dei due metri e tredici di Nikolaj Valuev e decisamente più alto del metro e sessanta di Baryshnikov. In comune con entrambi, tuttavia, possiede quell’allure che contraddistingue chi è destinato ad eccellere in qualcosa. Il suo ambito sarà di certo diverso dai loro. In fin dei conti – sprofondo tra due parentesi – di uomini russi tanto alti quanto importanti non è che ce ne siano molti: sia Stalin che Krushov se la giocavano attorno al metro e sessanta e Putin arriva appena a un metro e settanta.

Reimposto i miei pensieri, in uno scatto di vergogna per la sciocchezza dei miei ragionamenti, mentre noto che sta fissando sotto il nero dei suoi polaroid qualcosa di indeterminato fuori dal finestrino. Lo sbircio e poi osservo anche io nella direzione parallela, come a capire se c’è qualcosa di interessante da condividere che posso inavvertitamente non aver colto. Mi darebbe fastidio perdermi quel qualcosa e anche un po’ di dispiacere, poi. L’intensità immobile infrange quelle lenti come i raggi laser del mutante Cyclops/Scott Summers. Senz’altro ha un alterego e io glielo invidio già. Level 2 – You win.

Scartoccia un panino con il prosciutto crudo e lo mangia con gusto, a due mani e a morsi ingombranti ma con una violenza composta, fermandosi ogni tanto per aggiustare un ciuffo abusivo, nato a spiovente sulla fronte come quegli alberi che crescono rigogliosi dove non devono. Per questo, se lo aggiusta ripetutamente, con l’umiltà grezza di un operaio che stravolto dalla ripetitività della sua mansione stacca dal turno, ma senza perdere la sua eleganza intima, di Russia zarina. La stessa di una lirica di Puškin o della Moscovia cinquecentesca affrescata negli scritti di Tolstoj. Cerca di caramellarselo – il ciuffo – e, come un ventriloquo, gli ripete pedantemente di starsene buono. Sbalorditiva per essere una voce che non parla, ma morbida nell’acquietare le pulsioni del cervello, facendole rallentare, rassicurante come la fermezza di un generale. L’intermittenza del sole sulla catenina che mi fa smorfiosamente ciao dalla camicia blu di Prussia mi dà un fastidio della madonna. Che poi.. un russo che porta una camicia blu di Prussia? – penso. Mi immagino il Granduca Nicola a cui si sgranano gli occhi e si rizzano i baffetti per l’affronto. Mi vergogno di nuovo per la stupidità con cui molesto la storia. Level 3 – You win.

È un’energica quiete il suo masticare e l’assecondare ogni colpo di denti con la testa, la stessa con cui un cadetto – penso – riempie i propri potenti movimenti quando marcia eppure tutto sembra avvenga con facile leggerezza e ordinato automatismo. Come avesse imparato una coreografia a geometrie variabili. Forse ha frequentato un’accademia militare. Sì, i suoi morsi sono gagliardi e poderosi come una marcetta. I suoi zigomi caucasici palleggiano fieri, sembrano appena stati gonfiati, mentre inclinando il capo a sinistra, con un gioco ritmico di sopracciglia si fa scivolare i polaroid sul naso lievemente lubrificato dal tepore del vagone. Non tanto per svelare di aver nascosto un azzurro che poteva ricordare la glacialità di Putin o quello più spento delle uniformi degli aviatori – quanto invece per farmi capire che quello che stava mangiando era un ottimo panino, probabilmente il panino migliore di quel giorno. Abbozzo un sorriso e apprezzo quell’intento ecumenico. Level 4 – You win.

È sim-patica questa insolita e inaspettata comunicazione. Rimbalza a più riprese sul tavolino, sul finestrino, sulle briciole del panino e su quelle maledette ginocchia, impigliandosi di tanto in tanto in una cortina di silenzi che sta per essere divelta. Sento che è in corso una distensione, ne sono impregnati già i sedili, il 13-a e il 14-b. Nella loro impacciata monumentalità, Est e Ovest sgocciolano, nel sudore del viaggio, come stalattite e stalagmite. Con la rapidità di una cascata di spaghetti che cade sul piatto, voglio vincere anche l’ultimo livello: “Your name?”. “Михаил”.

Paolo Napol

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