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“Autunno” (1932), straordinaria poesia di Salvatore Quasimodo sulla fragilità degli umani

Balsamo per il cuore che teme le tenebre, promessa di resurrezione dopo l'inevitabile morte: "Autunno" è una poesia breve, che straripa di intensità.

Siamo precari, fragili, fallibili. Su questa terra siamo di passaggio, come lo sono le foglie degli alberi. Con la sua poesia, Salvatore Quasimodo ce lo ricorda, associando la nostra condizione a quella della natura autunnale.

L’anima e l’autunno: ecco, infatti, i protagonisti di questo emozionante componimento, che si intitola proprio “Autunno” ed è stato composto nei primi anni ’30.

Addentriamoci in una poesia che, caratterizzata da assolute brevità e intensità, ha il potere istantaneo di fare breccia nel cuore di chi  legge.

“Autunno” di Salvatore Quasimodo

“Autunno mansueto, io mi posseggo
e piego alle tue acque a bermi il cielo,
fuga soave d’alberi e d’abissi.

Aspra pena del nascere
mi trova a te congiunto;
e in te mi schianto e risano:

povera cosa caduta
che la terra raccoglie”.

Dove leggere “Autunno”, la poesia di Quasimodo

“Autunno” è contenuta nella raccolta del 1932 “Oboe sommerso“, ora racchiusa nell’edizione che comprende l’opera omnia del grande poeta novecentesco.

“Oboe sommerso” è la seconda raccolta poetica di Salvatore Quasimodo, un’opera che avvicina ancor più di “Acque e terre” il poeta all’Ermetismo. Infatti, è in questo compendio di poesie che potrete ammirare il prodigio della parola che, isolata dal periodo, si fa veicolo di immagini piene di luce, folgoranti come lampi che saettano rapidi nella notte, proprio come accade in “Autunno”.

Il significato dei versi

“Autunno” è composta da tre brevi strofe: due terzine e un distico che sono caratterizzati da una prevalenza di figure retoriche di significato, di immagini evocative ed emozionanti.

La prima terzina, che inizia con un’invocazione all’autunno, è incentrata su una personalissima descrizione paesaggistica, che ci fa comprendere come la stagione delle foglie morte fosse amata dall’autore: l’autunno è “fuga soave” degli alberi e degli abissi, il periodo in cui tutto, lentamente, abbandona la vita e si scolora.

La seconda terzina approfondisce, invece, la tematica esistenziale, la riflessione suscitata nell’animo del poeta dalla visione autunnale: morire è ingiusto. Perché nasciamo se poi siamo destinati a perire? Mentre Quasimodo pensa malinconicamente alla fragilità del mondo, la natura, tuttavia, lo consola e lo culla: “in te mi schianto e risano”.

Infine, il distico che, attraverso una potente metafora, chiude il breve componimento, ricordandoci immediatamente una poesia più famosa scritta dal medesimo autore. Siamo come la foglia, “povere cose cadute” dal ramo, destinate ad essere raccolte ed accolte dalla terra, madre di tutto, origine e fine.

Una promessa di resurrezione

“Autunno” è fatta di immagini rapide e folgoranti, che corrono da una visione esterna a una interna.

Il componimento ci proietta fuori e dentro di noi, con un movimento che ci commuove, perché parla delle nostre più profonde paure, e parlandone le accarezza e le placa.

Non è un caso se quando stiamo male ricerchiamo il contatto con la natura, con le sue cose semplici, piccole e quotidiane che, se guardate bene, si rivelano miracolo puro.

Nella progressione di una stagione che si prosciuga e muore, il poeta trova un legame con il suo corpo e la sua anima, che in questa somiglianza si ritrova, si “schianta” e si “risana”.

“Aspra pena del nascere
mi trova a te congiunto;
e in te mi schianto e risano:

povera cosa caduta
che la terra raccoglie”.

In un’analogia che ci ricorda tanto la più celebre “Soldati“, Quasimodo chiude una breve poesia autunnale che, come un balsamo profumato, ci accarezza e ci consola, ricordandoci che anche noi siamo parte della natura e che, con la morte, arriva anche la promessa di una resurrezione.

Salvatore Quasimodo

Salvatore Quasimodo nasce a Modica nel 1901. Il padre è capostazione, quindi da piccolo Salvatore viaggia molto e anche la sua adolescenza trascorre serena all’insegna degli spostamenti in diversi paesi siciliani per via del lavoro paterno.

Eclettico per natura, Salvatore Quasimodo si stanca subito delle attività cui si dedica. Nel corso dell’età adulta si destreggia in vari mestieri, fra cui il commesso, il disegnatore tecnico, il contabile, l’impiegato al genio civile…tutte mansioni che può svolgere grazie al suo diploma da geometra.

Ma ciò che non lo stanca mai è lo studio delle lettere, a cui si dedica parallelamente alle attività saltuarie. Si appassiona così tanto ai classici e all’arte della scrittura che ben presto comincia a scrivere.

Intanto, a Milano ottiene una cattedra per l’insegnamento della letteratura.

Il cognato Elio Vittorini ha un grande ruolo nella carriera di Salvatore Quasimodo: è proprio lui che presenta lo scrittore agli intellettuali legati alla rivista letteraria Solaria, dove vengono pubblicate le prime poesie dell’autore.

Presto, Quasimodo si lega ai poeti ermetici e fa dell’ermetismo la sua cifra poetica.

Le sue raccolte affrontano i temi più disparati ma, soprattutto dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, larga parte della sua produzione è dedicata esclusivamente alla tematica bellica e all’impegno civile.

Nel 1959 gli viene conferito il Premio Nobel per la Letteratura. Muore improvvisamente a Napoli, nel 1968.

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