Ci sono parole di uso comune, entrate nel consueto utilizzo, di cui perรฒ ben pochi conoscono l’etimologia o da dove derivano. La storia di alcune di esse nasconde particolari e curiosi aneddoti. Spesso, il loro contesto di origine si differenzia di gran lunga rispetto al loro utilizzo attuale.
Lingua italiana: 3 parole di uso comune dall’origine particolare
Con il contributo di Fausto Raso, giornalista specializzato in problematiche linguistiche, analizziamo la curiosa origine etimologica di alcune parole di uso comune. Scopriamole insieme.
Facchino
Chi non conosce โ si pure per pratica โ il significato di โfacchinoโ? Se non altro basta aprire un qualsivoglia vocabolario della lingua italiana alla voce in oggetto e leggere: โchi, per un certo compenso, trasporta oggetti pesanti; specialmente nelle stazioni ferroviarie o nei portiโ e, con significato figurato, e soprattutto spregiativo, โpersona dai modi rozzi e volgariโ. Bene. Occorre dire, perรฒ, che in origine, quando cioรจ nacque, questo sostantivo non aveva lโaccezione volgare odierna, anziโฆ
Se oggi, qualcuno di voi, cortesi amici, di ritorno da un viaggio di piacere allโestero, si rivolgesse a un funzionario di dogana alla frontiera e lo apostrofasse con un โfacchinoโ offenderebbe il dirigente e potrebbe passare anche un brutto quarto dโora. Non era, invece, unโoffesa quando il termine facchino vide la luce, anche se non tutti concordano sullโetimologia del vocabolo. Il facchino, infatti, originariamente, era lo โscrivano di doganaโ. Secondo G.B. Pellegrini (โGli arabismi nelle lingue neolatine con speciale riguardo allโItaliaโ) il vocabolo risale alla voce araba โfaquihโ, teologo, giureconsulto, e passato in seguito a indicare il โlegale chiamato a dirimere controversie relative alla doganaโ.
Il passaggio โcorrottoโ semantico (significato delle parole) da โdoganiereโ a โportatore di pesiโ (facchino) sarebbe avvenuto in seguito alla gravissima crisi economica del mondo arabo, allorchรฉ, nei secoli XIV e XV, i โdoganieriโ furono costretti โ per sopravvivere โ al piccolo commercio di stoffe che essi stessi trasportavano โ sulle proprie spalle โ di piazza in piazza. Con il tempo, quindi, il facchino ha perso il significato โausteroโ di funzionario di dogana per acquisire quello spregiativo di persona rozza, volgare e per questo motivo si tende a sostituirlo con un termine piรน โcivileโ: portabagagli.
Merenda
Restando in tema di etimologia, vediamo come รจ nata la โmerendaโ che โ come sappiamo โ รจ una piccola colazione che si fa, generalmente, nel pomeriggio, tra il pranzo e la cena. Diamo la parola, in proposito, a Lodovico Griffa. โUno dei castighi (โฆ) per i ragazzi era la privazione della merenda (โฆ). Non discutiamo qui se questo castigo corrisponda ai canoni di una corretta pedagogia; fermiamoci invece a considerare come esso ci riveli un certo modo di pensare a proposito della merenda.
Chi ricorreva a questa punizione non intendeva certo privare il ragazzo di una cosa che gli fosse indispensabile o che gli venisse per diritto insopprimibile. Semplicemente pensava di non potergli concedere una cosa, che, essendo un di piรน, il ragazzo โdoveva meritarsiโ e che invece con il suo comportamento non aveva meritato.
La parola โmerendaโ, infatti, significa proprio โcose da meritareโ (รจ pari pari il gerundivo latino โmerendaโ, da โmerereโ, meritare, propriamente โcose da meritarsi per ciboโ, ndr) (โฆ). I nostri buoni vecchi dunque vedevano la merenda pomeridiana (che gli adulti usualmente non consumano) non come un pasto indispensabile (โฆ) ma come un premio aggiunto al normale nutrimento: in quanto premio, essa si concedeva solo a chi lโaveva meritata. I pedagogisti, gli igienisti, i pediatri ci diranno se effettivamente la merenda vada considerata a questo modo; di fatto perรฒ nei tempi andati il concetto che si aveva, tradito proprio dal nome โmerendaโ, era questoโ.
Meretrice
Sempre per gli amatori dellโetimologia, ricordiamo che dal verbo โmerereโ derivano alcune parole di uso comune quali โmeritareโ, โmeritoโ, โemeritoโ eโฆ โmeretriceโ. Questโultimo vocabolo รจ il latino โmeretrice(m)โ e propriamente vale โcolei che merita un compensoโ, โche si fa pagareโ, โche guadagnaโ (per le sue prestazioni). Da questโultimo termine discende, inoltre, lโaggettivo e sostantivo โmeretricioโ, con il plurale, si badi bene, โmeretriciโ per il maschile e โmeretricieโ per il femminile. Questa distinzione di plurali vale โ ci sembra superfluo chiarirlo โ solo quando il vocabolo รจ in funzione aggettivale.
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