Italiano: “verbi servili”, quali sono e come si utilizzano

24 Maggio 2025

Scopriamo tramite questo articolo come, nel panorama linguistico italiano, si utilizzano correttamente i verbi servili e quale ausiliare reggono.

Italiano verbi servili, quali sono e come si utilizzano

Nel vasto panorama della grammatica italiana e nel panorama dell’italiano contemporaneo, un posto di rilievo è occupato dai verbi servili, così chiamati perché “servono” un altro verbo, accompagnandolo all’infinito per aggiungere un’informazione specifica riguardo alla modalità dell’azione espressa. I principali verbi servili sono dovere, volere, potere, sapere e, meno comunemente oggi, solere. La loro funzione primaria è quella di qualificare l’azione del verbo che li segue, introducendo sfumature di necessità, volontà, possibilità, abitudine o capacità. Comprendere il corretto uso dei verbi servili è fondamentale per chiunque voglia padroneggiare efficacemente la lingua italiana, sia nella comunicazione quotidiana, sia nella scrittura più elaborata.

La funzione dei verbi servili nell’italiano contemporaneo

Quando un verbo servile precede un verbo all’infinito, non esprime un’azione autonoma, ma modula l’azione principale in base a una determinata modalità. Facciamo alcuni esempi pratici:

“Devo andare”: il verbo dovere indica una necessità. Il soggetto è obbligato a compiere l’azione dell’andare.

“Voglio andare”: con volere si esprime la volontà del soggetto.

“Posso andare”: il verbo potere segnala la possibilità o la facoltà di compiere l’azione.

“So andare”: qui sapere non significa “conoscere”, ma indica la capacità di eseguire un’azione (saper fare qualcosa).

“Soglio andare” (forma oggi arcaica): solere comunica l’abitudine del soggetto a compiere l’azione indicata.

Questa costruzione è estremamente comune nella lingua parlata e scritta, e rappresenta uno dei pilastri dell’espressione verbale italiana.

La formazione dei tempi composti

Una questione particolarmente interessante riguarda la costruzione dei tempi composti (come il passato prossimo, il trapassato prossimo, ecc.) con i verbi servili. Di norma, i verbi dovere, potere, volere e sapere concordano il loro ausiliare con il verbo che seguono.

Ad esempio:

“Ho dovuto gridare”: gridare è un verbo transitivo, quindi il servile dovere prende l’ausiliare avere.

“Sono dovuto partire”: partire è intransitivo e costruisce i tempi composti con essere, quindi anche dovere lo segue in questa scelta.

Questa regola generale, però, ammette un’eccezione importante: è possibile usare “avere” anche quando il verbo retto normalmente richiederebbe “essere”. Così, accanto a “sono dovuto partire”, si può dire anche “ho dovuto partire”. La forma con essere è oggi più usata nel registro formale o quando si vuole sottolineare la concordanza con il verbo principale; la forma con avere, più diffusa nel parlato, è altrettanto corretta e accettata.

Ecco un esempio comparativo:

“Sono potuto andare via” (concordanza con andare → ausiliare essere).

“Ho potuto andare via” (uso generalizzato di avere).

Questa flessibilità, pur essendo un segno della vivacità della lingua, genera incertezze tra i parlanti, specialmente nella scrittura formale, dove si tende a preferire l’uso coerente dell’ausiliare richiesto dal verbo all’infinito.

Il caso particolare di solere

Il verbo solere è un caso particolare. Oggi è considerato arcaico o comunque molto raro nel parlato comune. Viene utilizzato quasi esclusivamente in contesti elevati o letterari. La sua funzione è quella di indicare un’abitudine:

“Soglio recarmi in biblioteca il giovedì”: indica un comportamento consueto.

La particolarità di solere è che è difettivo dei tempi composti, ovvero non possiede forme come “ho soluto” o “sono solito”. La sua coniugazione si ferma ai tempi semplici (presente, imperfetto). Quando si deve indicare un’abitudine al passato prossimo, si preferisce parafrasi come “ero solito” oppure si cambia verbo: “di solito andavo”.

Questioni di stile e uso

Nell’uso quotidiano, i verbi servili sono strumenti linguistici essenziali per costruire espressioni ricche e precise. Tuttavia, il loro impiego nei tempi composti richiede attenzione, soprattutto nella lingua scritta. Le grammatiche raccomandano, nei testi formali, di rispettare l’ausiliare del verbo retto, ma nella lingua parlata prevale la tendenza all’unificazione con “avere”.

È interessante notare come la lingua tenda alla semplificazione nel parlato, ma al tempo stesso conservi, nei registri alti, la sottigliezza della concordanza grammaticale.

I verbi servili nella lingua italiana non sono solo strumenti grammaticali, ma chiavi di accesso alla complessità della comunicazione. Con il loro contributo, il parlante è in grado di esprimere non solo l’azione, ma il modo in cui quell’azione si colloca nell’intenzione, nella possibilità, nell’obbligo o nell’abitudine del soggetto. Comprendere le sfumature di significato, rispettare le regole di costruzione dei tempi composti, e saper adattare l’uso a seconda del registro comunicativo è un esercizio che unisce grammatica e stile, precisione e creatività.

In definitiva, l’uso dei verbi servili è un segno di competenza linguistica e sensibilità espressiva: chi li maneggia con consapevolezza può rendere la propria lingua più efficace, elegante e aderente alla realtà che vuole comunicare.

 

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