5 parole rare della lingua italiana molto affascinanti

3 Maggio 2025

Tramite questo articolo riscopriamo, o scopriamo, cinque parole della lingua italiana ormai poco utilizzate ma ancora piene di fascino.

5 rare parole della lingua italiana molto affascinanti

La lingua italiana, come ogni lingua viva, cambia, si evolve, si plasma alle necessità dei parlanti e del tempo. Alcune parole si consumano nell’uso quotidiano, altre si perdono, scivolano ai margini, diventano fantasmi lessicali. In questo articolo vogliamo riportare alla luce cinque di queste parole rare e affascinanti: corrivo, interito, adusto, burbanza, ctonio. Ognuna di esse è una porta su un mondo concettuale più ricco, più sfumato, più profondo di quello che talvolta ci offrono i linguaggi odierni, più rapidi ma anche più impoveriti. Riscoprirle non è solo un esercizio di memoria, ma un invito a vedere diversamente noi stessi e il mondo che abitiamo.

5 parole della lingua italiana che sarebbe bello rispolverare

Corrivo: l’avventato che cede in fretta

Il termine corrivo oggi sopravvive quasi esclusivamente nel linguaggio letterario, e anche lì è sempre più raro. Significa letteralmente “che corre facilmente”, ma nel suo uso figurato indica una persona arrendevole, accondiscendente, troppo facile nel concedersi o nel cedere a pressioni esterne. È anche sinonimo di avventato, nel senso di colui che agisce senza riflessione, per impulso. Così lo si può trovare nei classici della letteratura, ad esempio in Manzoni o in Boccaccio.

In un’epoca che premia la reazione immediata, l’impulsività, e disprezza il tempo della riflessione, corrivo torna ad avere un ruolo rivelatore. Indica quel tipo di atteggiamento che confonde velocità con decisione, disponibilità con debolezza, consenso con superficialità. Riscoprirla significa anche riappropriarsi della distinzione tra ciò che è flessibile e ciò che è remissivo.

Interito: la rigidità dell’incorruttibile

Interito è una parola ancor più oscura, oggi praticamente scomparsa dal lessico attivo. Viene dal latino interitus, e ha assunto nel tempo il significato di “rigido, inflessibile, severo, tutto d’un pezzo”. È spesso usato per descrivere il carattere di una persona incrollabile nei suoi princìpi, non disposta a scendere a compromessi, austera. Non va confuso con “intirizzito” o “interdetto”, anche se l’assonanza può trarre in inganno.

In un mondo dove la fluidità è celebrata come virtù, interito parla di un altro valore: la fermezza. Ma non quella ottusa, bensì quella nobile dell’integrità morale. Un individuo interito non è rigido per dogmatismo, ma per coerenza interiore. Il suo ritorno in auge potrebbe aiutarci a distinguere tra chi si adatta per sopravvivere e chi resiste per rimanere fedele a sé stesso.

Adusto: la terra e il paesaggio riarso

Il termine adusto deriva dal latino adustus, participio di adurere, cioè “bruciare”. Significa dunque riarso, inaridito dal calore o dalla fiamma. Si può riferire a un paesaggio, ma anche — metaforicamente — a una persona dall’animo chiuso, indurito dalle esperienze, essiccato dal dolore. Foscolo, nei Sepolcri, scrive di “campagne aduste” sotto il sole estivo. Il termine ha una potenza evocativa che oggi è difficilmente sostituibile con equivalenti moderni come “secco” o “arido”.

Nel contesto dei cambiamenti climatici, di estati sempre più torride, adusto riacquista una drammatica attualità. Ma anche nell’animo umano, adusto è ciò che ha conosciuto il fuoco e ne porta i segni. È una parola che narra non solo la desolazione, ma la memoria del calore e della perdita.

Burbanza: l’alterigia che si maschera da fierezza

Burbanza è un sostantivo quasi sconosciuto oggi, ma un tempo indicava superbia, ostentazione arrogante, fierezza ostentata. È una boria che non si limita alla vanità, ma che si esprime con modi teatrali, pomposi, che cercano costantemente conferma nello sguardo altrui. Non si tratta della semplice arroganza, ma di qualcosa di più esibito, quasi caricaturale.

In un’epoca di esibizionismo narcisistico, dove l’identità spesso coincide con l’immagine, la burbanza diventa uno specchio critico. Riportare in vita questa parola vuol dire anche poter nominare un atteggiamento che, pur cambiando forma, è diffusissimo: la smania di apparire migliori, più ricchi, più felici di quanto si è, con l’intento di dominare lo sguardo degli altri.

Ctonio: il mistero della terra

Infine ctonio, parola che discende dal greco chthón, “terra”. È un aggettivo che indica tutto ciò che appartiene o proviene dalle profondità terrestri. Nella mitologia, le divinità ctonie sono quelle legate agli inferi, al sottosuolo, all’invisibile forza tellurica che regola nascita e morte, come Ade, Persefone o Ecate.

Nella scienza moderna, il termine è usato in geologia o nella psicoanalisi junghiana, dove il ctonio designa le forze inconsce, primordiali, oscure ma vitali. Viviamo in una società che ha progressivamente reciso i legami simbolici con la terra, preferendo la leggerezza della superficie. Ma ctonio ci riporta a un’immagine dell’esistenza in cui la profondità — anche oscura — è indispensabile alla vita. È una parola che chiede rispetto per ciò che si nasconde sotto, per la complessità e l’invisibilità del reale.

Il tempo delle parole ritrovate

Ogni parola dimenticata è un sentiero che si chiude, un pezzo di mondo che smette di essere nominato. Riscoprire termini come corrivo, interito, adusto, burbanza, ctonio significa tornare a vedere quelle sfumature dell’esperienza che la lingua corrente tende a semplificare o cancellare. Non è solo un gesto di nostalgia, ma un atto di resistenza culturale: perché ogni parola in più è un pensiero in più, una possibilità in più di comprendere la realtà.

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