L’avventura di un’aspirante giornalista napoletana a Milano raccontata in parallelo a quella (ben più drammatica) di una ragazza albanese finita sulla strada. Parliamo del libro “Sorelle spaiate“, una storia vera conservata dalla giornalista Lucia Esposito per quasi trent’anni, e che oggi assume la forma di un romanzo intenso.
In “Sorelle Spaiate”, l’autrice racconta il filo sottile ma indistruttibile che intreccia due vite in un’unica vicenda di profonda e toccante sorellanza.
Sorelle spaiate
Sinossi del libro
Viola è determinata e piena di talento. Ha lasciato Napoli spinta dal desiderio di diventare giornalista, ma a Milano scopre in fretta che per lei (giovane, femmina e inesperta) affermarsi in quel mondo non è scontato. Anche Ershela ha lasciato la sua terra, l’Albania, carica di fiducia nel futuro. La speranza profonda quanto ingenua di una vita migliore, però, è destinata a infrangersi contro la realtà più truce: quello che credeva un compagno innamorato e fedele sarà invece colui che la obbliga a diventare una prostituta.
Mentre Viola avvia faticosamente la sua strada di cronista, appassionandosi alle storie di chi vive ai margini, Ershela si rifugia nelle lettere per Alina, l’amata sorella lontana. A lei confida tutto: del primo cliente, di quello che le regala cioccolatini, del ragazzo che le piace e dell’amica che, una sera, si lancia sotto un tir per scampare a una sorte inumana.
E sono proprio quelle lettere, dense di dolore ma anche di forza e amore per la vita, a unire i destini di Ershela e Viola in un epilogo che lascia senza fiato.
Intervista all’autrice Lucia Esposito
Abbiamo intervistato l’autrice del libro “Sorelle spaiate” per raccontarci i profili delle protagoniste ed approfondire le tematiche drammaticamente attuali al centro dell’opera.
Da dove nasce l’esigenza di scrivere questo romanzo?
Ho scritto Sorelle spaiate dopo quasi trent’anni perché volevo far conoscere la storia vera di una ragazza di vent’anni partita dall’Albania con il suo fidanzato e poi diventata una prostituta. Si chiamava Ershela, l’ho conosciuta nel 1998 quando, durante un’intervista, mi confidò che scriveva di nascosto delle lettere a sua sorella di 14 anni rimasta in Albania. Ma non riusciva a spedirle perché era schiava dei suoi sfruttatori che non le lasciavano neanche gli spiccioli per i francobolli.
Dopo qualche mese – non spiego perché per non spoilerare troppo – trovai il suo pacco di lettere mai spedite. Le ho fatte tradurre e per trent’anni le ho custodite, poi ad un certo punto della mia vita ho capito che pubblicando quelle missive, raccontando di Ershela, le avrei ridato la voce e la dignità che le erano state tolte. Le lettere sono struggenti e poetiche e non meritavano di stare chiuse in un cassetto.
Origini e abitudini diverse: cosa unisce le “sorelle spaiate” protagoniste del libro?
Le due protagoniste, la giornalista Viola e la prostituta Ershela apparentemente non hanno nulla in comune, si sono incontrate una sola volta per poco più di un’ora ma sono unite da un filo che in trent’anni non si è mai spezzato. Una sorellanza di cuore che non è meno forte di quella di sangue. Le sorelle spaiate sono quelle donne – amiche da sempre o solo di un giorno – che la vita mette sulla stessa strada e che scelgono di camminare insieme.
E’ possibile attraverso la finzione raccontare la verità che, per assurdo, l’attività di cronista non sempre consente di fare?
Con questo romanzo ho voluto liberarmi di tutti i limiti che la cronaca impone. Quando scrivi un articolo per il giornale, devi riportare la realtà, rispettare degli spazi, la scrittura deve essere asciutta. Sorelle spaiate mi ha dato la possibilità, partendo da un fatto vero, di raccontarlo ampiamente e poi ho potuto accompagnare la storia di Viola ed Ershela con quella, romanzata, di Chiara e Viola, le sorelle di sangue che non riescono a trovare un modo per essere sorelle.
Il libro tratta un tema molto forte e, purtroppo di stretta attualità come la violenza sulle donne: di cosa ci sarebbe bisogno affinché avvenga un cambiamento in tal senso?
Secondo me si dovrebbe cominciare molto presto. Nelle scuole, educando al rispetto dell’altro. Mi ha colpito mio figlio che frequentava le scuole medie e che l’otto marzo scorso, tornato a casa, mi ha detto: <Oggi un compagno ha portato la mimosa alle ragazze, ma poi quando le ha viste giocare a pallone nell’intervallo ha urlato: “andate a lavare i piatti”…>.
Bisogna partire da queste cose solo apparentemente piccole, bisogna cominciare dal linguaggio, dalle parole sbagliate, spezzando pregiudizi secolari. Ma se da un lato dobbiamo educare gli uomini sin da quando sono piccoli, dall’altro occorre lavorare sulle donne sin da quando sono bambine perché imparino ad amarsi di più, a prendersi cura di sé prima che degli altri e a chiedere aiuto subito davanti ai primi segnali di violenza fisica o verbale. Dobbiamo smettere di pensare che “tanto poi le cose si aggiustano”: un uomo violento non va giustificato né compatito. Va lasciato. Non domani, ma oggi. Ovviamente la società e la legge devono fare la loro parte per mettere in sicurezza le donne che denunciano…