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Paolo Borsellino e l’educazione a una nuova coscienza civile contro la mafia

L'omaggio di Antonio Calabrò, attuale Senior Advisor Cultura della Pirelli e responsabile Cultura di Confindustria, al giudice eroe Paolo Borsellino

“La mafia sarà sconfitta. Da un esercito. Di maestri elementari”. E’ la lezione di Gesualdo Bufalino, da rimemorare di generazione in generazione. Serve una severa, puntuale e duratura opera di prevenzione e repressione contro i boss di Cosa Nostra, da parte delle forze dell’ordine e della magistratura, senza alcuna disattenzione, senza alcun cedimento. Ma è indispensabile soprattutto formare una nuova coscienza civile che consideri la mafia per quel che è, un tumore, maligno ma battibile, nel corpo della società siciliana e italiana e i mafiosi gente senza né dignità né onore, assassini assetati di soldi. E’ una coscienza severa anch’essa, contro boss, complici, amici e fiancheggiatori, contro tutti coloro che con i mafiosi fanno affari e organizzano scambi di interessi e consensi.

Comincia fin dalla scuola elementare, la formazione di quella coscienza. Come sapevano, proprio nel cuore del terrore della “guerra di mafia” degli anni Ottanta, magistrati come Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e, appunto, Paolo Borsellino e un grande “uomo delle istituzioni” come il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. O un educatore capace di “misericordia” come padre Pino Puglisi.

Paolo Borsellino era convinto che fosse indispensabile andare nelle scuole e parlare con i ragazzi, sui temi della legalità, della moralità, della correttezza dei comportamenti e delle scelte. E lo faceva volentieri, trovando spazi nella sua quotidiana attività di magistrato impegnatissimo. Raccontava storie, sull’orrore della mafia. E dava concretamente l’esempio di cosa volesse dire essere “un servitore dello Stato” ma anche un uomo con una forte coscienza etica e un gran senso della responsabilità. Senza alcuna retorica, naturalmente.

Così, dunque, vale la pena ricordarlo, insieme a Giovanni Falcone e alle altre persone delle istituzioni assassinate dai mafiosi. Come un magistrato. Ma anche come un educatore. Un esempio di siciliano perbene. Un “maestro”, appunto. Come sarebbe piaciuto a Bufalino.

 

Antonio Calabrò

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