La citazione di John Fante (8 aprile 1909 – 8 maggio 1983) tratta dal romanzo Chiedi alla polvere è una dichiarazione che unisce etica della scrittura e filosofia dell’esistenza. In queste parole, lo scrittore americano di origini italiane riassume una visione appassionata e autentica dell’arte narrativa: per raccontare il mondo, bisogna viverlo. Per scrivere con sincerità, bisogna sporcarsi le mani nella realtà.
«Ho un consiglio molto semplice da dare a tutti i giovani scrittori. Non tiratevi mai indietro di fronte a una nuova esperienza. Vivere la vita fino in fondo, prendetela di petto, non lasciatevi sfuggire nulla»
John Fante e il suo capolavoro
John Fante non è soltanto un autore di romanzi: è una voce fuori dal coro, un narratore che ha saputo dare parola all’America degli emarginati, degli immigrati, degli sconfitti. I suoi personaggi, come Arturo Bandini, protagonista di Chiedi alla polvere, sono figure che oscillano tra ambizione e fallimento, sogno e disincanto. E questa citazione, indirizzata ai giovani scrittori, riflette la coerenza profonda tra l’estetica e l’esperienza dell’autore. Scrivere non è per lui un’attività astratta o accademica, ma una conseguenza diretta del vivere.
L’appello di Fante a “non tirarsi mai indietro” è più di un consiglio: è un imperativo morale. Uno scrittore, nella sua visione, non può permettersi di restare alla finestra, di guardare il mondo da lontano. Deve scendere in strada, confrontarsi con le proprie paure, sperimentare il dolore, la gioia, la vergogna, la rabbia. Deve sentire sulla propria pelle ogni contraddizione dell’esistenza. Solo così potrà trasferire nelle parole quella verità emotiva e psicologica che rende una narrazione autentica.
La scrittura, quindi, non nasce dall’isolamento, ma dalla partecipazione. È l’opposto del ritiro: è un’immersione. Fante suggerisce di “prendere la vita di petto”, con uno slancio che non esclude l’errore, l’inciampo, l’inadeguatezza. Ma è proprio in questa esposizione al rischio che si trova la ricchezza del materiale narrativo. Nessuna esperienza è sprecata per chi scrive: anche un’umiliazione, una sconfitta, un amore perduto diventano – se affrontati con consapevolezza – parte integrante del bagaglio creativo.
Scrivere come esercizio di sincerità
La letteratura, per John Fante, è fatta di carne e sangue. I suoi romanzi non si nutrono di retorica, ma di una lingua viva, spesso ironica, cruda, profondamente umana. Questa sincerità espressiva è direttamente legata al suo modo di vivere. Chi scrive deve conoscere sé stesso, e per conoscersi deve attraversare la vita, anche nei suoi lati oscuri. Questo approccio è affine a quello di altri grandi autori del Novecento, come Ernest Hemingway o Charles Bukowski (che considerava Fante un maestro): la scrittura non può prescindere dall’esperienza vissuta, dalla realtà quotidiana, dalle tensioni della strada, dei bar, delle camere squallide, delle solitudini metropolitane.
Il pericolo della scrittura “tecnica”
Nell’epoca attuale, dominata da corsi di scrittura creativa, algoritmi narrativi e manuali su “come scrivere un bestseller”, le parole di John Fante risuonano come un ammonimento. C’è una scrittura che nasce dal desiderio di perfezione, di successo, di strategia editoriale. Ma c’è anche una scrittura più onesta, che non ha paura dell’imperfezione, perché sa che la verità dell’esistenza è fatta anche di incoerenze, esitazioni, fallimenti.
Il pericolo è quello di una narrativa scollegata dalla vita reale, costruita secondo modelli vuoti, che rincorre generi di moda senza interrogarsi sul senso profondo dello scrivere. La lezione di John Fante serve a ricordarci che la forza di un libro risiede nella sua capacità di raccontare ciò che è autentico. E l’autenticità si raggiunge solo passando per il fuoco dell’esperienza.
Giovani scrittori e vita vissuta
Rivolgendosi ai giovani scrittori, John Fante non sta dicendo di vivere “per scrivere”, ma di scrivere dopo aver vissuto. Non si tratta di cercare esperienze per fornirsi di materiale narrativo, ma di accettare la vita in tutte le sue forme, sapendo che ogni incontro, ogni dolore, ogni fallimento sarà un giorno, forse, parola. La scrittura, in questo senso, è un processo di sedimentazione: ciò che oggi ci confonde, ci ferisce o ci entusiasma, domani potrà diventare racconto.
Le parole di John Fante non sono rivolte solo a chi sogna di diventare scrittore. Sono un invito a chiunque voglia vivere con consapevolezza, con coraggio, con pienezza. Scrivere, come vivere, è un atto di esposizione. E in un tempo in cui l’esperienza tende a essere mediata, filtrata, ridotta a simulazione digitale, il richiamo di Fante è più attuale che mai. Perché vivere – davvero – è già un’opera d’arte.