I versi di Khalil Gibran sul coraggio che porta alla felicità

12 Aprile 2025

Leggiamo questi luminosi versi di Khalil Gibran che ci pongono delle scottanti domande tra cui ne svetta una: hai il coraggio di essere felice?

I versi di Khalil Gibran sul coraggio che porta alla felicità

Nei versi tratti da Khalil Gibran – “Porgimi il flauto e tu, canta! / Dimentica, da ora, quel che da noi / s’è discusso; le parole non son che granelli / nell’arcobaleno. Dimmi delle tue ore liete.” – si avverte subito l’eco di una filosofia che rifugge dalla concettualizzazione razionale della vita per abbracciare invece l’esperienza diretta, l’istante vissuto, l’armonia con la natura. Gibran, poeta, mistico e filosofo libanese, è noto per la sua capacità di fondere spiritualità orientale e sensibilità occidentale, e qui lo fa con una forza lirica che invita il lettore non tanto a capire, quanto a vivere.

Porgimi il flauto e tu, canta!
Dimentica, da ora, quel che da noi
s’è discusso; le parole non son che granelli
nell’arcobaleno. Dimmi delle tue ore liete.

Hai mai preso la via della foresta,
evitato d’abitare in un gran palazzo?
E seguito i ruscelli nei loro corsi,
e scalato le rocce lungo le strade?

Khalil Gibran e il coraggio di essere felici

Il flauto, nell’immaginario poetico di Gibran, è uno strumento che incarna la purezza e la libertà del sentire. “Porgimi il flauto” è una richiesta che va oltre l’oggetto fisico: è una metafora per l’abbandono delle vane parole, delle discussioni sterili, e l’invito a lasciarsi trasportare dal suono, dalla musica, dalla poesia, che sono forme di espressione più profonde e veritiere rispetto alla lingua ordinaria. Il flauto diventa così simbolo della connessione diretta con la bellezza e con il divino, una voce che non passa per la mente ma per il cuore.

“Le parole non son che granelli nell’arcobaleno”: questa immagine, al tempo stesso delicata e potente, suggerisce l’inefficacia del linguaggio rispetto alla complessità e alla pienezza del reale. Come i granelli sono piccole unità all’interno di una vastità cromatica che li sovrasta, così le parole non riescono a esprimere la totalità dell’esperienza umana. L’arcobaleno, che qui può rappresentare la vita, la natura, la verità o l’arte, è un fenomeno che non può essere scomposto e posseduto attraverso la parola. Il dire, per Gibran, ha senso solo quando è superato dal sentire.

In questo contesto, l’invito a raccontare “le ore liete” è un ritorno al valore del vissuto, all’importanza delle emozioni positive, dei ricordi che scaldano l’anima. Non importa il contenuto delle discussioni, dei dissensi o delle teorie: ciò che conta è se si è stati felici, se si è vissuto intensamente. È un’esortazione a guardare alla vita non con l’occhio critico della ragione, ma con la gratitudine dell’essere.

La seconda parte del passo – “Hai mai preso la via della foresta, evitato d’abitare in un gran palazzo?” – allarga il discorso verso una prospettiva più filosofica ed esistenziale. La foresta rappresenta il mondo naturale, autentico, non addomesticato; il “gran palazzo” simboleggia invece la società, l’ostentazione, la prigione dorata delle convenzioni. Gibran non è solo un poeta della bellezza, ma anche della libertà interiore. Egli propone un’esistenza svincolata dalle strutture del potere, della ricchezza, della fama: una vita semplice, vissuta nella comunione con la natura, è per lui più nobile e più vera.

“E seguito i ruscelli nei loro corsi, / e scalato le rocce lungo le strade?”: queste immagini completano l’invito a vivere poeticamente. Non si tratta di una fuga dalla realtà, ma di un modo diverso di abitarla. Seguire i ruscelli significa abbandonarsi al fluire dell’esistenza, accogliere il cambiamento, accettare la direzione che la vita prende naturalmente. Scalare le rocce, invece, è la sfida, lo sforzo per elevarsi, per guadagnare una prospettiva diversa e più alta. Gibran sembra dirci che una vita piena è fatta di entrambe le esperienze: la resa fiduciosa e l’ascensione coraggiosa.

L’intero brano si pone dunque come una meditazione lirica sulla necessità di riconnettersi con ciò che è essenziale. Gibran rifiuta la civiltà dei discorsi e delle ambizioni per proporre una civiltà dell’anima, in cui il canto, la natura, l’amore e la semplicità siano le vere ricchezze. C’è in questi versi un’anima che cerca un senso oltre l’apparenza, che si affida alla musica e all’esperienza diretta per trovare la propria verità.

La modernità di Khalil Gibran

Questa visione poetica è anche una critica, sottile ma radicale, al mondo moderno, che spesso misura il valore delle cose in termini di utilità, di profitto, di successo. Gibran ci ricorda che le cose più importanti della vita non si comprano, non si discutono, non si definiscono: si vivono. L’invito a prendere la via della foresta è, in ultima analisi, un invito alla libertà dell’anima, a riscoprire la bellezza del silenzio, del cammino, della contemplazione.

Così, nel suo flauto immaginario, Gibran distilla l’essenza del vivere poetico: una vita che non ha bisogno di giustificazioni razionali, ma solo di un cuore aperto, capace di ascoltare, di ricordare le ore liete, di cantare.

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