I versi di Khalil Gibran, tratti dalla sua poesia sulla felicità, rivelano una verità profonda e universale. Con il suo linguaggio poetico e simbolico, Gibran esplora il tema della felicità, che è al centro dell’esistenza umana. Attraverso l’analogia del fiume, l’autore esprime l’irrequietezza intrinseca dell’essere umano, il desiderio di raggiungere una meta, e la delusione che spesso segue al suo conseguimento.
“Felicità è un mito che inseguiamo,
e, manifestata, poi ci annoia;
come un fiume che corre rapido al piano
e, lì arrivato, va lento e s’infossa.”
Il mito della felicità per il poeta Khalil Gibran
La felicità, secondo Gibran, è un mito, qualcosa che gli esseri umani inseguono senza sosta. Questo mito è alimentato dall’immaginazione, dalle aspettative e dai sogni che ciascuno costruisce intorno all’idea di una vita ideale. Tuttavia, una volta raggiunta quella felicità, essa si rivela effimera e incapace di mantenere le promesse che le avevamo attribuito.
Il termine mito suggerisce qualcosa di irraggiungibile, una costruzione mentale più che una realtà tangibile. Come gli eroi delle antiche leggende greche inseguivano obiettivi impossibili, così gli uomini moderni corrono verso un ideale di felicità che sembra sempre sfuggire. Ma, proprio come i miti, l’idea di gioia ha un potere simbolico: ci dà un motivo per andare avanti, per cercare, per vivere.
L’immagine del fiume è una metafora potente che Gibran utilizza per descrivere il ciclo della felicità e della vita umana. Nella sua corsa rapida verso il piano, il fiume rappresenta l’entusiasmo, l’energia e la tensione verso un obiettivo. Questo è il momento in cui inseguiamo in sentirci felici, immaginandolo come un traguardo che ci donerà pace e appagamento.
Ma una volta giunto al piano, il fiume rallenta, perde forza, si insinua nella terra e si infossa. Questo momento corrisponde alla fase in cui il raggiungimento della felicità perde il suo fascino. La monotonia prende il sopravvento, e ciò che una volta era desiderato intensamente diventa quasi un peso o, peggio, un’abitudine che non suscita più emozioni.
Gibran, con questa immagine, sottolinea l’impermanenza della felicità e la ciclicità della vita. Proprio come un fiume non può mantenere la stessa velocità per tutto il suo percorso, così l’uomo non può vivere in uno stato di gioia permanente.
Uno dei temi centrali nei versi di Gibran è l’irrequietezza dell’essere umano. L’uomo è per natura insoddisfatto: quando desidera qualcosa, si sente incompleto; quando la ottiene, la magia svanisce. Questo paradosso si riflette nelle parole dell’autore, che ci ricordano come la felicità, anziché essere un punto di arrivo, sia un’esperienza fugace che si consuma nel momento in cui viene vissuta.
Questa visione si avvicina molto alla filosofia esistenzialista, che vede l’essere umano come costantemente proiettato verso il futuro, incapace di trovare un equilibrio stabile nel presente. È anche affine al pensiero di Leopardi, che nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia descrive il perpetuo desiderio dell’uomo e la sua incapacità di essere felice.
La bellezza del mito: un motore per la vita
Nonostante il tono malinconico dei versi, Gibran non demonizza il desiderio di felicità. Anzi, lo presenta come un elemento indispensabile della condizione umana. È proprio il suo inseguimento a dare senso alla vita, anche se essa si rivela un’illusione.
La felicità, intesa come ideale, spinge l’uomo a migliorarsi, a cercare, a costruire. È un motore di progresso personale e collettivo, che trasforma la delusione in una nuova occasione per ricominciare. Come il fiume che, una volta infossato, alimenta la terra circostante, anche le esperienze della vita, sebbene talvolta deludenti, possono nutrire la crescita interiore e spirituale.
I versi di Gibran non sono solo un’analisi poetica della felicità, ma un insegnamento universale sulla natura dell’esistenza. Accettare che essa sia temporanea e che la sua ricerca sia parte integrante della vita ci aiuta a vivere con maggiore consapevolezza e serenità.
Gibran ci invita a non temere la delusione, ma a vederla come un passaggio naturale del percorso umano. In questo senso, la felicità non è tanto un fine quanto un mezzo per esplorare il nostro potenziale e affrontare le sfide della vita con dignità e apertura.
Alla fine, ciò che conta non è il raggiungimento dell’essere felici, ma il viaggio che facciamo per cercarla, il modo in cui affrontiamo le nostre speranze, le nostre delusioni e la nostra irrequietezza. Gibran, con la sua poetica, ci regala una visione profonda e consolante: la felicità, seppur fugace, ci insegna a vivere pienamente, anche nei momenti di apparente quiete o monotonia.