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“Caffè a Rapallo” (1923) di Eugenio Montale, il Natale è la nostalgia di tornare bambini

Scopri come il Natale può diventare mancanza e nostalgia grazie a “Caffè a Rapallo”, poesia di Eugenio Montale sul vero senso della vita.

Caffè a Rapallo di Eugenio Montale è una poesia che mette in scena il la malinconica perdita della fanciullezza, quando il magico mondo del Natale era fatto di simboli semplici, ma ricchi di significato. Il mondo degli adulti porta alla decadenza, il tempo in cui l’esibizione diventa più importante delle cose che veramente contano, sono l’essenza della riflessione che il poeta ligure condivide attraverso i versi della poesia.

Caffè a Rapallo fu scritta nel 1923 e fa parte della sezione Poesie per Camillo Sbarbaro della raccolta di poesie Ossi di seppia di Eugenio Montale, pubblicata il 15 giugno 1925 a Torino da Piero Gobetti.

Leggiamo la poesia di Eugenio Montale per coglierne il significato.

Caffè a Rapallo di Eugenio Montale

Natale nel tepidario
lustrante, truccato dai fumi
che svolgono tazze, velato
tremore di lumi oltre i chiusi
cristalli, profili di femmine
nel grigio, tra lampi di gemme
e screzi di sete…

Son giunte
a queste native tue spiagge,
le nuove Sirene!, e qui manchi
Camillo, amico, tu storico
di cupidige e di brividi.

S’ode grande frastuono nella via.

È passata di fuori
l’indicibile musica
delle trombe di lama
e dei piattini arguti dei fanciulli:
è passata la musica innocente.

Un mondo gnomo ne andava
con strepere di muletti e di carriole,
tra un lagno di montoni
di cartapesta e un bagliare
di sciabole fasciate di stagnole.
Passarono i Generali
con le feluche di cartone
e impugnavano aste di torroni;
poi furono i gregari
con moccoli e lampioni,
e le tinnanti scatole
ch’ànno il suono più trito,
tenue rivo che incanta
l’animo dubitoso:
(meraviglioso udivo).
L’orda passò col rumore
d’una zampante greggia
che il tuono recente impaura.
L’accolse la pastura
che per noi più non verdeggia.

Il significato di Caffè a Rapallo

Caffè a Rapallo è una poesia di Eugenio Montale che attraverso l’atmosfera del Natale offre una nostalgica riflessione sulla fine dell’età giovanile, quale momento in cui si è costretti ad abbandonare le vere gioie del vivere, per entrare a far parte di un mondo in cui l’apparenza finisce per predominare sull’autenticità. Le conseguenze sono evidenti, finisce la possibilità di poter godere della felicità delle piccole cose e di essere costretti a subire l’inutile malessere dell’esistere.

La poesia è ambientata all’interno di un “Caffé a Rapallo”, siamo in pieno periodo natalizio, e Montale si ripara dal freddo tipico di dicembre. Il poeta ligure ci dona nei versi di apertura sensazioni sensoriali che diventano dettagli in grado di trasferire l’atmosfera “calda” all’interno del locale e allo stesso tempo la vita “grigia” oltre i vetri dello stesso.

La prima immagine che Montale raccoglie all’esterno è la contrapposizione del freddo grigiore del tempo, con l’esibizione di “nuove sirene” ovvero le donne contemporanee ingioiellate e vestite in modo lussuoso. E in quel momento il poeta vorrebbe essere insieme all’amico Camillo Sbarbaro, poeta e scrittore italiano, che tra l’altro era un profondo conoscitore dei grandi classici greci e latini e, quindi “storico di cupidige e di brividi.”

La condivisione di quella riflessione con l’amico Sbarbaro evidenzia il senso di assenza, l’inquietudine dell’uomo nel non trovare riferimenti e sostegno intellettuale in ciò che lo circonda.

Le “nuove Sirene” evocano un’immagine mitologica adattata al mondo moderno. Le figure femminili descritte sembrano portatrici di bellezza e seduzione, ma non vi è idealizzazione, c’è piuttosto una critica implicita alla superficialità o vacuità del loro splendore.

E tale solitudine si trasforma in nostalgia ancora più intensa nel momento in cui Montale è scosso dal “frastuono” di fanciulli e dal loro urlare e giocare. La mancanza dell’amico si somma ai ricordi di quand’era ragazzo, quando tutto era semplicità, autenticità.

La genialità del poeta sta proprio in questo contrasto descritto in modo ermetico, mea evidente nel significato. “L’indicibile musica” è un richiamo alla purezza e all’innocenza perduta.

Il mondo che descrive se ne sta andando e non può tornare, “Un mondo gnomo ne andava”, i ragazzi diventeranno uomini e la loro allegrezza si trasformerà in una sofferenza.

Eugenio Montale rende ancora più paradossale il cammino della vita che fluisce e il passaggio verso la finta vita degli adulti, tramite una sfilata, una processione di personaggi con vestiti e strumenti surreali, figure caricaturali che corrispondono all’effimera vanità umana.

In quel passaggio tra l’infanzia e l’età adulta l’autenticità lascia spazio alla finzione, all’ipocrisia, alla nullità di un mondo senza punti di riferimento sani, validi, solidi.

Chiude la poesia la “pastura che per noi più non verdeggia” evidenziando quel senso di perdita che Eugenio Montale associa alla perdita della gioventù. L’orda grottesca si disperde, ma ciò che rimane è un vuoto, un’assenza di vitalità. La “pastura” diventa il simbolo di un mondo più autentico e naturale che non appartiene più all’uomo moderno.

Montale con questa poesia in modo subliminale rivolge una forte critica alla società, il mondo degli adulti dovrebbe imparare a guardare indietro, a ritrovare i valori sani del buon vivere, in cui autenticità, cultura, sana amicizia, amore vero possano essere non più il ricordo di quando si era bambini e ragazzi.

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