Odio dover fare la vicina di casa insopportabile, ma oggi come non mai ho bisogno di un attimo di serenità. Dopo una pessima giornata a scuola, tra alunni che si lamentano dei voti che meritano e genitori rompiscatole che vengono a stressarmi pur di farmi cambiare il voto, appena tornata, ho notato con grande disperazione che uno dei tubi in bagno si è malauguratamente rotto. Spaccato. Per sempre. E, mentre tentavo di chiamare qualcuno per ricevere aiuto, sentivo l’insopportabile musica metal giungere dall’appartamento sopra il mio. Da due settimane a questa parte, si sono trasferiti nel mio palazzo due nuovi individui: il signor Bellocci e suo figlio. Non ho avuto il piacere (o la sfortuna) di incontrarli, ma la signora Fiore, del terzo piano, mi ha raccontato vita, morte e miracoli dei due in questione e di tutta la loro famiglia. Secondo le sue chiacchiere, la signora Carmina li ha ospitati un pomeriggio: il ragazzo è irrequieto, un quindicenne fuori dal comune e di certo viziato per via di un matrimonio finito male, mentre il signor Bellocci, quarantenne in carriera, è un brav’uomo, un po’ svampito ma pieno di grinta.
Le ventenni che abitano al piano di sotto, durante la riunione condominiale a cui lui non ha preso parte, hanno cominciato a spettegolare su quanto fosse bello, gli uomini su quanto fosse divertente e le vecchiette su quanto fosse un bravo ragazzo, uno di quegli uomini che definiresti perfetto per tutto il genere femminile. Dalle mie esperienze, non credo nell’uomo perfetto. Il mio ex marito era l’uomo speciale per tutte: tutti quanti a dirmi “come sei fortunata! Cosa darei perché mio marito sia come il tuo!” E infatti, dopo cinque anni di matrimonio abbiamo divorziato. Questi uomini prodigio nascondono sempre qualche difetto che man mano che vai avanti diventa sempre più evidente. Come i brufoli. Usi le creme per curarli e quelli crescono fino ad esplodere. E l’esplosione non sempre porta gioia e felicità. Nel mio caso, ha portato un celere divorzio e tanta voglia di dimenticare il genere maschile.
E così, mi ritrovo davanti alla celeberrima porta, sobria, elegante e con un pomello color rame che ricorda molto le foreste norvegesi.
Suono il campanello, mentre inizio a morire dalla vergogna. Non è da me lamentarmi, ma non credo sia l’orario opportuno per ascoltare certa musica.
All’improvviso, la porta si apre ed un uomo sulla quarantina, con un filo di barba ben colta e due occhi color verde smeraldo mi sorride con fare gentile e cordiale. Gli dico se per caso è possibile abbassare il volume e fa un’espressione abbastanza corrucciata. Sembra non capire. Ad un certo punto, si toglie dalle orecchie due tappa-orecchie color rosa imbarazzante.
«Come, scusi?»
«Il volume! Può abbassarlo? Sono le quattro del pomeriggio.» Spiego di nuovo, alzando il volume della voce.
«Oh, si, cavolo, scusi. Mio figlio Giacomo. Da qualche anno suona. Ora lo avverto. Gia’! Basta per ora! Lo scusi, è che è un adolescente.»
Sbuffo un attimo: «Ricordo bene me da adolescente e per fortuna non ho mai rotto i timpani ai miei. Semmai altro.»
Lui scoppia a ridere, senza dare peso al fatto che sto dando dello scapestrato a suo figlio.
«Ne so qualcosa, i miei ancora me lo rinfacciano.» Ridacchia, mentre fa spazio ad un sorriso bianco splendente, che fa pendant con gli occhi, luminosi e sereni. Annuisco debolmente e finalmente, sento il fastidiosissimo rumore cessare. Dall’appartamento accanto, il signor Cosimo urla: «Sia ringraziato il cielo!»
Entrambi ridiamo.
«Beh, abbiamo già fatto bella impressione!» Inarca le spalle, mentre si lascia andare ad un simpatico sorriso. Poi aggiunge: «Io, comunque, sono Claudio.»
Stringo la sua mano: «Victoria.»
«Allora, Victoria, ti va un caffè?»
«Guarda, magari un’altra volta. Ho la bambina di sotto e parecchie cose da fare. Buona continuazione a te e al musicista!»
Inizialmente sul suo volto trascina con sé uno sguardo un po’ più spento, poi sorride cordialmente ed in un battibaleno sono di nuovo al piano di sotto, pronta ad affrontare idraulici ed esperti di qualsiasi tipo. Carlottina, la mia piccola di appena cinque anni, sorride spensierata alla televisione, appena entro dentro l’appartamento. Mi rivolge un saluto veloce, perché Peppa Pig è in procinto di preparare una torta insieme alla sua mamma e questa proprio non se la vuole perdere.
Per fortuna, in pochi giorni, il guaio è più che riparato. Mio cognato Stefano ha inviato a casa un suo amico ed ex collega, che magicamente riesce a sistemare ogni cosa. È un sabato mattina come tanti, il sole splende con gioia ed un venticello primaverile accarezza le mie gambe, fasciate da un paio di calze nere sotto un vestito abbastanza informale che metto per uscite veloci, come il portare la bambina a scuola o il fare la spesa.
Lotti oggi trascorrerà la giornata con il papà, mentre io mi darò alla pazza gioia con qualche amica, all’insegna di un buon bicchiere di vino che non assaporo da quando mia figlia ha messo il primo dentino. E quella sera, mi sono dovuta ubriacare per lo stress del sentire in continuazione la piccola piangere a tutte le ore, senza neanche un preciso motivo.
Sono davanti all’ascensore, ma inizialmente non faccio caso alla scritta “Guasto”. Ti pareva. In questa vita, non c’è mai nessuno che ti aiuta. Neanche l’ascensore.
“Farò doppio viaggio” penso, prima di notare che una figura accanto a me già è pronta ad aiutarmi, con un acceso sorriso in volto.
«Hai bisogno di una mano?»
Domanda inutile, visto che ormai sta portando già tre buste su quattro. Non vedo Claudio dalla volta davanti casa sua, quando il figlio ha tentato di rendere tutto il palazzo sordo con la sua musica diversamente classica.
Con un sorriso riconoscente lo seguo fino al terzo piano, dove deposita il tutto, proprio vicino alla mia porta. Poi, rialzandosi, legge i cognomi: «Olsen, Rosso. Tuo marito è straniero?»
«Oh, no. Io ho origini norvegesi. Rosso è il cognome di mia figlia.»
«Ah.. quindi tu.. Ah» Scoppia a ridere portandosi una mano davanti al volto. Io lo guardo, un po’ disdetta da un simile atteggiamento e senza capire a pieno cosa intenda dire.
«Niente, scusa, è che ero convintissimo che vivessi con tuo marito. E invece…»
«E invece sono una vecchia zitella a trentacinque anni.»
«Non ci credo. Chi si lascerebbe scappare una come te?» Poi riflette su ciò che ha detto «No, scusami, sembro un ventenne disperato alla ricerca di una ragazza.»
«So che non è così.» Lo consolo, contenta del complimento appena ricevuto. Sembra un tipo così solare ed energico che dentro di me qualcosa sembra risvegliarsi.
Qualcosa mi dice che ci sta provando. Da qualche settimana, lo incontro sempre per le scale o mentre faccio la spesa ed ogni volta si propone di offrirmi qualcosa, oppure mi dice di fare un salto di sopra, oppure che il figlio ha bisogno di ripetizioni in inglese. Mi ferma per chiacchierare e perdiamo un sacco di tempo davanti al gabbiotto del portiere oppure proprio tra un piano e l’altro.
Non so neanche chi gli abbia detto che sono un’insegnante di inglese e letteratura anglosassone in un liceo linguistico qui vicino. Io no di certo. Sono una donna abbastanza discreta e mi mantengo ben guardinga dal raccontare certe cose a queste pettegole vicine di casa. Le stesse signore che mi hanno raccontato di tutto sulla vita di questo pover’uomo, che non ha ancora capito come vanno le cose in questo condominio.
Sono contenta di aver conosciuto un uomo così simpatico ed altruista, ma il fatto che io sia una divorziata infelice mi mette sempre in testa che qualsiasi spensierato avvenimento potrebbe terminare nel peggiore dei modi. E rifletto su questo mentre la mia piccola Carlottina se ne sta seduta a disegnare la famigliola felice, mentre di felice la nostra famiglia ha poco e nulla. Non ha mai sofferto il divorzio, era troppo piccola per rendersene conto e vede suo padre talmente tanto che forse non ne sente neanche la mancanza, quando non lo vede.
Ma comunque, io sento più angoscia di lei, in queste situazioni. Non fa domande sul perché non ci sia il papà, è talmente intelligente che non ne sente il bisogno. La maestra mi ha detto che l’altro giorno la piccola le ha spiegato che i suoi genitori non abitano più insieme e che entrambi le vogliono un bene dell’anima. Io non ricordo di averle detto queste cose, probabilmente è stato suo padre, che sente più il bisogno di spiegarle che in realtà lui ci sarà sempre per lei rispetto a quanto ne abbia io che invece vivo con lei tutti i giorni.
«Quando viene papà?» Mi domanda la piccola, mentre ci sediamo attorno al tavolino per mangiare.
«Domani mattina passa a portarti una cosa molto bella.»
«Un regalo?» Esclama contenta e pimpante come solo una bambina può essere.
«Già. Ma solo se finisci tutte le verdure.» Storce il musetto, ma alla fine finisce tutto, perché sa che verrà premiata e ricompensata. Mentre la guardo, mi rendo conto di quanto poco mi assomigli, se non caratterialmente. A parte gli occhi chiari, è tutta suo padre: capelli neri, boccoli armonici e pelle olivastra. Il nasino all’insù l’ha fortunatamente ripreso dal papà, visto che il mio sembra un carciofo marcio. Osservandola, io sembro la sua baby-sitter straniera.
Ad un certo punto, qualcuno suona al campanello e non posso dirmi sorpresa di trovarmi davanti proprio Claudio. Un sorriso speciale, genuino e un po’ imbarazzato.
«Buona sera. Disturbo?»
«No, dimmi pure.»
Ad un certo punto, la piccola Carlotta spunta dalla porta e lo scruta con i suoi grandi occhioni, vispi quanto quelli di un cagnolino alla ricerca della sua ciotola. Claudio la saluta e lei risponde con grande allegria, come suo solito.
«E tu devi essere la piccola di casa. Come ti chiami?»
«Lotta. E tu?»
«Lotta, come quella di sumo?» La piccola non ride ed io trattengo una risata davanti al silenzio imbarazzante che si è venuto a creare. Poi Carlottina interviene: «Un mio amico potrebbe fare la lotta di sumo. È davvero grande!»
«Ma non mi dire! Lo sai che io l’ho vista dal vivo? Veramente affascinante!»
«Io penso che sia più affascicante il pattinaggio!» Interviene Carlotta ancora una volta.
«Si dice affascinante, tesoro.» Le spiego piegandomi verso di lei. La mia bambina scrolla le spalle, con la sua aria di consapevolezza: «E io che ho detto? Affascicante!»
Poi corre dentro, decisa a far vedere a Claudio il suo libro con le immagini delle ragazze che fanno pattinaggio ed io e lui rimaniamo soli.
«Veramente intelligente, per la sua età.» Concordiamo entrambi. Quando gli chiedo come mai sia sceso da noi, mi spiega che aveva finito l’olio per la frittura e che quindi non sapeva a chi chiedere. Tutte le persone che incontra nella palazzina lo spingono a parlare con grande insistenza, lo invitano ad entrare, a rimanere e la cosa lo imbarazza un po’. Sa perfettamente che vogliono farsi gli affari suoi. E così, sa che da me non gli verrà chiesto come mai ha divorziato dalla moglie, quanti capelli ha in testa e cosa fa nel tempo libero.
Gli porto l’olio e lo ritrovo intento a chiacchierare con Carlotta, che lo ha placcato sulla porta per mostrargli il suo meraviglioso libro.
«Lotti, su, a mettere il pigiama adesso.» Le dico. Lei si fionda nella sua cameretta, dopo aver salutato con rapidità il nostro vicino. Gli consegno la bottiglia d’olio, avvertendolo di usarne quanto più ne preferisce.
«Beh.. e poi, volevo chiederti una cosa.»
Il mio cuore batte allo sfinimento, sento dentro di me una sorta di angoscia, paura, inconsapevolezza mischiata alla speranza di un qualcosa di nuovo e gioioso.
«Sai, da quando ti ho conosciuto, ho sempre la sensazione di voler approfondire la nostra conoscenza. Mi sembri interessante, simpatica, altruista. Non ti chiedo molto. Un caffè ogni tanto? Un pranzo fuori? Non ti voglio sembrare sfacciato o non so che, ma mi hai colpito subito. E, beh… dimmi tu.»
Le parole escono fuori ancora prima che io possa modellarle dentro il mio cervello. Cosa sembra più giusto se non le parole che il cuore ci detta?
«Sì, va bene. Quando vuoi.»
La mia risposta lo lascia quasi spiazzato. Magari si aspettava un “no, non sono pronta”, “no, non mi va”, “no, mi fai schifo”. Gli sorrido, ma sorrido più a me stessa.
Non bisogna credere che una corrente sbagliata ci porti nella direzione sbagliata. A volte, è proprio la direzione sbagliata ad essere quella più giusta. E chi lo sa, la vita potrebbe diventare ancora più bella. Perché, se apri una porta, potrebbe esserci il tuo vicino di casa ad aspettarti.
Bruno Traven