Sei qui: Home » Libri » Poesie di Neruda ed errori di attribuzione

Poesie di Neruda ed errori di attribuzione

Oggi ricorre l'anniversario della nascita di Pablo Neruda (Parral, 12 luglio 1904 – Santiago del Cile, 23 settembre 1973), poeta che amo molto nonchè attivista cileno, considerato una delle più importanti figure della letteratura latino americana contemporanea...

Oggi ricorre l’anniversario della nascita di Pablo Neruda (Parral, 12 luglio 1904 – Santiago del Cile, 23 settembre 1973), poeta che amo molto nonchè attivista cileno, considerato una delle più importanti figure della letteratura latino americana contemporanea. La biografia di Neruda è ricchissima e intensa..fino alla sua morte, tinta di giallo. Oggi però, voglio ricordarlo essenzialmente per le sue poesie, bellissime e struggenti, proponendovene due, una delle quali in italiano, auspicando di aver scelto la migliore traduzione e l’altra in video, interpretata dallo stesso Neruda. Ma non prima di avervi riportato alcune informazioni riguardo a due errori di attribuzione che ancora incombono sul web, chiedendovi la cortesia di diffondere il più possibile. Eccole:

Errore di attribuzione:

"Lentamente muore"

« Muore lentamente chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati. »

Questo è il primo verso di una poesia dal titolo Quién muere? diffusasi via posta elettronica ed erroneamente attribuita a Pablo Neruda, come confermano la Fundación Pablo Neruda e Stefano Passigli, presidente della Passigli Editori, editore delle opere di Neruda in Italia: «Chi conosce la sua poesia si accorge all’istante che quei versi banali e vagamente new-age non possono certo essere opera di uno dei più grandi poeti del Novecento». La poesia, il cui vero titolo è A Morte Devagar, appartiene in realtà alla scrittrice e poetessa brasiliana Martha Medeiros, ed è stata pubblicata il 1º novembre 2000 sul quotidiano Zero Hora di Porto Alegre in Brasile. (Fonte Wikipedia)

Errore di attribuzione:

"È proibito"

« È proibito piangere senza imparare, svegliarti la mattina senza sapere che fare avere paura dei tuoi ricordi. »

Molto simile al primo, e caratterizzato anch’esso dall’uso della stessa figura retorica, l’anafora, anche questo poemetto si è diffuso attraverso la posta elettronica e i social network ed è stato erroneamente attribuito a Pablo Neruda. In realtà la paternità dell’opera, il cui titolo originale è "Queda Prohibido", appartiene ad Alfredo Cuervo Barrero. Il poema è iscritto nel Registro delle Proprietà Intellettuali di Biscaglia, a nome dello stesso autore, con numero di iscrizione BI -13- 03. (Fonte Wikipedia)

Adesso godetevi la lettura di questa sua poesia, tra le mie preferite

Empiti di me, Pablo Neruda

Desiderami, stremami, versami, sacrificami.
Chiedimi. Raccoglimi, contienimi, nascondimi.
Voglio esser di qualcuno, voglio esser tuo,
è la tua ora. Sono colui che passò saltando sopra le cose
il fuggitivo, il dolente.

Ma sento la tua ora,
l’ora in cui la mia vita gocciolerà sulla tua anima,
l’ora delle tenerezze che mai non versai,
l’ora dei silenzi che non hanno parole,
la tua ora, alba di sangue che mi nutrì d’angosce,
la tua ora, mezzanotte che mi fu solitaria.
Liberami di me. Voglio uscire dalla mia anima.
Io sono ciò che geme, che arde, che soffre.
Io sono ciò che attacca, che ulula, che canta.
No, non voglio esser questo.
Aiutami a rompere queste porte immense.
Con le tue spalle di seta disseppellisci
queste àncore.

Così una sera crocifissero il mio dolore.
Liberami di me. Voglio uscire dalla mia anima.
Voglio non aver limiti ed elevarmi verso quell’astro.
Il mio cuore non deve tacere oggi o domani.
Deve partecipare di ciò che tocca,
dev’essere di metalli, di radici, d’ali.
Non posso esser la pietra che s’innalza e non torna,
non posso esser l’ombra che si disfa e passa.

No, non può essere, non può essere.
Allora griderei, piangerei, gemerei.
Non può essere, non può essere.
Chi avrebbe rotto questa vibrazione delle mie ali?
Chi m’avrebbe sterminato? Quale disegno, quale parola?
Non può essere, non può essere, non può essere.
Liberami di me, voglio uscire dalla mia anima.

Perché tu sei la mia rotta.
T’ho forgiata in lotta viva.
Dalla mia lotta oscura contro me stesso, fosti.
Hai da me quell’impronta di avidità non sazia.
Da quando io li guardo i tuoi occhi son più tristi.
Andiamo insieme. Spezziamo questa strada insieme.
Sarò la tua rotta. Passa. Lasciami andare.
Desiderami, stremami, versami, sacrificami.
Fai vacillare le cinte dei miei ultimi limiti.

E che io possa, alfine, correre in fuga pazza,
inondando le terre come un fiume terribile,

sciogliendo questi nodi, ah Dio mio, questi nodi,
spezzando,
bruciando,
distruggendo
come una lava pazza ciò che esiste,
correre fuor di me stesso, perdutamente,
libero di me, furiosamente libero.
Andarmene,
Dio mio,
Andarmene!

 

12 luglio 2013

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© Riproduzione Riservata