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Per ricordare Gabriela Mistral, ecco le sue poesie più famose

Gabriela Mistral, pseudonimo letterario della poetessa cilena Lucila Godoy Alcayaga, nasce a Vicuña il 7 aprile 1889. È stata una delle voci più alte della poesia Ispano-Americana moderna e della poesia femminile del Novecento in generale...

Ricordiamo oggi la grande poetessa e femminista cilena, Gabriela Mistral, voce di una poesia intimamente triste

 

MILANO – Gabriela Mistral, pseudonimo letterario della poetessa cilena Lucila Godoy Alcayaga, nasce a Vicuña il 7 aprile 1889. È stata una delle voci più alte della poesia Ispano-Americana moderna e della poesia femminile del Novecento in generale. Gabriela scelse il suo pseudonimo citando due poeti che ammirava profondamente: Federico Mistral e Gabriele d’Annunzio.

 

Intima

Non stringere le mie mani.

Verrà il tempo infinito

di riposare con molta polvere

ed ombra tra le dita intrecciate.

 

E tu dirai :

‘Non posso

più amarla; le sue dita

si sgranarono come le spighe’.

 

La mia bocca non baciare.

Verrà l’istante pieno

di spenta luce, senza labbra

starò sotto un umido suolo.

 

E tu dirai: ‘L’amai, ma non posso

amarla più, ora che non aspira

l’odore di ginestre del mio bacio’.

 

E mi rattristerò nell’udirti;

tu parlerai come un cieco ed un pazzo,

perché la mia mano sarà sulla tua fronte

quando le dita si spezzino,

e scenderà sopra il tuo volto

pieno d’ansia, il mio respiro.

 

Non mi toccare dunque. Mentirei

nel dirti che ti dono

il mio amore nelle braccia mie protese,

nella mia bocca, nel mio collo,

e tu, credendo d’averlo esaurito

ti sbaglieresti come un bambino ingenuo.

 

Perché il mio amore non è solo questo

stanco e restio covone del mio corpo,

che trema tutto offeso dal cilicio

e in ogni volo mi resta indietro.

 

È ciò che sta nel bacio e non nel labbro,

ciò che spezza la voce e non il petto:

ma è un vento di Dio, che passa lacerando

nel suo volo, la polpa delle carni.

 

Gocce di fiele

Non cantare: resta sempre attaccato

sulla tua lingua un canto;

quello che doveva essere trasmesso.

 

Non baciare: resta sempre per una strana maledizione

il bacio che non viene su dal cuore.

 

Prega: pregare è dolce: però sappi

che la tua lingua avara non giunge

a dire il solo Padre Nostro che ti salvi.

 

E non chiamare come clemente la morte,

perché nel corpo di bianchezza immensa

resterà un vivo brandello che sente

la pietra che ti soffoca

ed il vorace verme che ti fora.

 

La donna forte

Ricordo il tuo viso, fissato nei miei giorni,

donna con gonna azzurra e con fronte abbronzata;

quando nella mia infanzia, in terra mia d’ambrosia,

ti vidi aprire un solco nero in un ardente aprile.

 

Nella fonda taverna, l’impura coppa alzava,

chi un figlio appiccicò al tuo petto di giglio;

sotto questo ricordo, che t’era bruciatura,

cadeva dalla mano, serena, la semente.

 

Io ti vidi in gennaio segare il grano al figlio,

e in te, senza capire, trovai quegli occhi fissi,

ugualmente ingranditi da meraviglia e da pianto.

 

E ancora bacerei il fango dei tuoi piedi,

perché tra cento donne non ho visto il tuo volto,

e l’ombra tua nei solchi,

seguo ancora nel mio canto.

 

Dammi la mano

Dammi la mano e danzeremo

Dammi la mano e mi amerai

come un solo fior saremo

come un solo fiore e niente più.

Lo stesso verso canteremo

allo stesso passo danzerai

Come una spiga onduleremo

come una spiga e niente più.

Ti chiami rosa e io speranza

ma il tuo nome dimenticherai

perchè saremo una danza

sulla collina e niente più.

 

L’amore che tace  

Se ti odiassi, il mio odio ti darei

con le parole, rotondo e sicuro;

ma ti amo e il mio amore non si affida

a questa lingua umana, così oscura!

 

Tu lo vorresti mutato in un grido,

e vien così dal fondo che ha disfatto

la sua ardente fiumana, sfinito

prima ancora della gola e del petto.

 

Io sono come uno stagno ricolmo

ed a te sembro una sorgente inerte,

per questo mio silenzio tormentoso

più atroce che entrare nella morte!

 

7 aprile 2015

 

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