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Luciano Canfora, “Non possiamo essere felici se non sono felici anche gli altri”

"L'uguaglianza è una necessità che si ripresenta continuamente, come la fame". Intorno a questo concetto ruota "La schiavitù del capitale" di Luciano Canfora

MILANO – “L’uguaglianza è una necessità che si ripresenta continuamente, come la fame”. Intorno a questo concetto ruota “La schiavitù del capitale“, l’ultimo lavoro di Luciano Canfora, professore emerito dell’Università di Bari, direttore della rivista “Quaderni di storia” e collaboratore del “Corriere della Sera”. In occasione dell’uscita del libro lo abbiamo intervistato. Ecco cosa ci ha raccontato.

Spiegare come il capitalismo abbia vinto su ogni rivoluzione significa spiegare come si è arrivati a oggi. Com’è stata possibile questa vittoria?

Direi che la storia è piuttosto semplice ma lunghissima. Lo sa che è rovinato? (chiede ridendo)

Non si preoccupi. Mi racconti pure.

Dunque, la guerra comincia per gli interessi dei singoli paesi. Le grandi potenze – che hanno tutte le stesse colpe (i tedeschi come gli anglo-francesi) – si volevano spartire il mondo. La guerra è un massacro pazzesco: milioni di morti e anni e anni di trincea. La rivoluzione è la risposta dei popoli, non soltanto in Russia, ma anche in Germania. A modo suo anche in Italia. E questo spaventa perché, se da alcune parti riescono a reprimerla, in altre non ce la fanno. In Russia la rivoluzione diventa una grande realtà statale, una potenza in mano ai comunisti.

Cosa successe in seguito?

La Russia viene aggredita da parte di corpi di spedizione francesi, inglesi, cecoslovacchi, ma questi vengono respinti dai sovietici. Eppure la rivoluzione viene bloccata e repressa in Germania, in Ungheria e in tanti altri paesi. Allora la linea che scelgono a Mosca è assecondare la decolonizzazione, cosa che succede per decenni, sia pure con grande sofferenza. I popoli dell’India, della Cina, dell’America Latina si muovono sotto spinte di tipo nazionalistico e questo mette il movimento comunista alla testa di una grande ondata di liberazione dei popoli. La risposta arriva dopo non moltissimo tempo con la seconda guerra mondiale, alla fine della quale la rivoluzione ricomincia alla grande. Ci sono le Nazione Unite, un uomo illuminato come Roosvelt, ma la risposta del mondo occidentale è quella di svuotare la decolonizzazione e colonizzare attraverso l’economia dando vita al cosiddetto neocolonialismo.

Quali sono state le conseguenze del neocolonialismo?

Sappiamo bene cosa è accaduto nei paesi in cui le hit locali sono state comprate dal capitale e dalle grandi potenze occidentale. Quindi è una lotta che si è sviluppata per tutto il Novecento. Quando il socialismo arabo aveva un po’ alzato la testa è stato schiacciato e contestato. Ma l’Occidente ha dimostrato di essere miope. Così in Afghanistan ha aiutato i talebani (gli americani li hanno armati) così che la Russia si impatanasse in una specie di Vietnam. Poi si sono trovati le Torri gemelle, il terrorismo, e poi la rivoluzione iraniana. Dopodiché hanno fatto un altro errore: hanno pensato di liberarsi di Saddam, creando però così un baratro spaventoso in tutto l’arco della crisi. La buffonata delle primavere arabe si è risolta nel massacro di Iraq, Siria, Libia e adesso al posto del socialismo arabo c’è il fanatismo islamico. Uno si arrangia. Se avete scelto di non mollare mai il potere, anche a costo di massacrare il mondo, ora ve lo godete. Più o meno la morale della favola è questa.

Lei già nelle prime pagine parla di un modo più convincente di combattere l’inuguaglianza. Qual è?

Convincere chi crede di non essere sfruttato che invece lo è. I nuovi sfruttati sono tutti i ceti intellettuali che gravitano, data la modernità avanzatissima dell’Occidente, intorno al mondo produttivo. Non lo sono più gli operai di fabbrica, le mani callose e le tute blu. Quello che viene sfruttato ora è il cervello. Quando queste masse acculturate sfruttate capiranno di essere sfruttate gli equilibri forse cambieranno. Il problema è che l’avversario ne inventerà un’altra. Questo è sicuro. Il conflitto non finirà mai. Questo è il mio convincimento.

Il problema della disuguaglianza, scrive all’inizio del libro, non è un problema che colpisce solo una parte della popolazione ma tutti quanti. Ci può spiegare meglio?

In gradi diversi lo è, perché è evidente che tra le masse di migranti che arrivano ormai a milioni in tutta Europa e l’operaio più o meno garantito c’è una differenza enorme, tanto è vero che in certi casi chi detiene il potere economico attizza il conflitto tra poveri. Allora l’intera società è mangiata dal Dio Profitto, l’unico dio che riconoscono i capitalisti, che è un dio sui generis, un po’ pericoloso. Però in vari gradi: ci sono i disperati, ci sono i garantiti, ci sono quelli che scivolano nella fascia di povertà, quelli che lottano per uscirne. Questo è un quadro che può rassicurare soltanto gli stupidi.

Da un’ingiusta suddivisione dei beni, si passa alle tensioni, alla lotta alla sopravvivenza che dà vita a un conflitto che riguarda l’intera società.

Certo, ma siccome vivo in Puglia so bene che la lotta ora è tra quelli che raccolgono i pomodori da schiavi e quelli che prima facevano questo lavoro e si vedono sempre più concorrenti. È una concorrenza tra miserabili, tra persone che stentano a sopravvivere. La legislazione, dopo aver giaciuto per anni, è stata finalmente varata, ma che sia applicata è un altro discorso.

Nell’ultimo capitolo parla di utopia, ovvero della possibilità di credere che il mondo possa ancora cambiare. Dopo un bilancio dice che ci sono due utopie rimaste: l’utopia della fratellanza e l’utopia dell’egoismo. Siamo destinati a vedere l’utopia dell’egoismo trionfare?

Dipende da noi. Non dobbiamo aspettare di vedere quello che succede. Ognuno deve rimboccarsi le maniche e capire che la cosiddetta utopia dell’uguaglianza può essere incarnata da forze molteplici e diverse, che si trasformano nel tempo. La storia umana è una storia di conflitti che hanno un unico parametro che li può riassumere: la tensione verso l’uguaglianza di fatto, perché la giustizia è un bisogno fisico. Chi sta meglio e ha qualche potere in mano cerca di impedire questa uguaglianza. La cultura politica serve a capire i meccanismi della società e per questo dovrebbe essere la prima disciplina da insegnare nelle scuole. Il nemico va contrastato con armi altrettanto simili. Non è un ballo in maschera e neanche un minuetto.

E per quanto riguarda la possibilità di essere liberi? La soluzione potrebbe consistere nell’abbattimento delle diseguaglianze?

Libertà e uguaglianza sono due idee fortissime, ma se le consideriamo in modo assoluto, indipendentemente l’una dall’altra, entrano in conflitto. I liberali dell’Ottocento e i liberisti nel Novecento, i cantori dell’esistente nel XXI secolo invocano la libertà di disporre della propria ricchezza a piacimento e sono convinti di battersi per la libertà, ma in realtà si battono solo per la loro libertà. Ma sola la libertà di tutti porta all’uguaglianza. La libertà non può prescindere dalla libertà degli altri, altrimenti diventa sopraffazione.

 

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