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L’“Addio ai monti” di Lucia, il passo più poetico de “I promessi sposi’

In occasione dell’anniversario della scomparsa di Alessandro Manzoni, ecco uno dei momenti più memorabili, famosi e poetici del suo capolavoro “I promessi sposi”

MILANO – Il 22 maggio del 1873 morì Alessandro Manzoni. Inventore del romanzo moderno e tra i più importanti promotori di un’unica lingua nazionale, il suo nome è indissolubilmente legato alla suo opera più importante, centrale all’interno della letteratura italiana: “I promessi sposi”. In occasione di questa ricorrenza, vi proponiamo uno dei passi più celebri dell’intero romanzo, sicuramente il più poetico: l’addio ai monti di Lucia.

 

ADDIO AI MONTI – Momento di maggior respiro lirico dell’intero romanzo, viene considerato dai commentatori un esempio di poesia in prosa: all’interno del testo è infatti possibile rilevare diversi versi, decasillabi e endecasillabi. Questo passo è situato nell’ottavo capitolo: su consiglio di fra’ Cristoforo, Renzo e Lucia hanno deciso di abbandonare il paese natale per sfuggire alle insidie di Don Rodrigo, risoluto a voler impedire le nozze dei due. L’animo sensibile di Lucia, osservando per quella che teme essere l’ultima volta il dolce paesaggio natio, cade prede di una cupa malinconia. Ecco il celebre, poetico passo del Manzoni.

 

Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d’essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell’ampiezza uniforme; l’aria gli par gravosa e morta; s’inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a’ suoi monti. Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell’avvenire, e n’è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que’ monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l’immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.

 

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