Il personale e toccante ricordo del giornalista e scrittore palermitano
MILANO – Un piccolo trauma vissuto a livello professionale ed umano. La testimonianza di Giuseppe Di Piazza, siciliano e palermitano, autore de "I quattro canti di Palermo", raccolta in un’intervista in cui il giornalista e scrittore racconta come ha vissuto, a distanza, gli istanti immediatamente seguenti l’attentato in cui perse la vita Paolo Borsellino e il ricordo dell’ultimo incontro con il giudice.
“In quegli anni lavoravo a Il Messaggero ed ero vice-capocronista. Seguivo sempre i fatti siciliani e quando c’erano grossi avvenimenti mi chiedevano sempre di dare una mano. La domenica in cui uccisero Borsellino ero di turno e leggevo la cronaca di Roma. Nel pomeriggio arrivò la notizia di quella esplosione. Non si capì più nulla. Prima ancora che si muovesse il corrispondente da Palermo chiesi a mia sorella che era a casa sua, non lontano dal luogo in cui ci fu l’esplosione e da dove sentì distintamente il botto, di andare a vedere. Per lei fu un trauma, arrivò molto presto e giunse negli attimi dei primi soccorsi. Mi descrisse un po’ le scene e poi le chiesi di tornare a casa, provata dallo shock a cui l’avevo costretta. Per me poi iniziò una serata intensa di lavoro in cui il direttore, che era allora Mario Pendinelli, mi chiese di scrivere il pezzone del rapporto tra Borsellino e Falcone, che iniziava con l’aneddoto in cui all’Asinara andarono a scrivere le ordinanze del Maxiprocesso. Cominciai da questo come segno del destino che legava in tutto, fin da quando erano ragazzini a Palermo. Scrissi questo pezzo che per me fu molto sofferto.
Ero a Roma e lontano da tutte queste cose ma vissi questi fatti come un piccolo trauma personale, che mi spinse a concentrarmi su queste tragedie sacrificando anche gli affetti più cari. Ero scosso e turbato per queste due morti che non me la sentivo di dedicare energie alle cose private, almeno in quei primi momenti.
Ricordo che pochi giorni prima che lo uccidessero incontrai Borsellino a Roma ad una conferenza con altri giornalisti. Di lui si diceva che poteva diventare il punto di riferimento nazionale contro la mafia. Lo incontrai lì. Era shockato dall’impatto che Roma provocava in quei giorni. Era passata qualche settimana dalla morte di Falcone e lui sembrava un uomo quasi intimorito, come se non capisse cosa stesse succedendo in quella Roma febbricitante di luglio. Lui veniva da Palermo, aveva visto Falcone morire e forse in quel momento tutti noi gli sembrammo veramente tutti un po’ strani”.
18 luglio 2012