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Francesco La Licata, ”Paolo Borsellino conosceva il destino a cui stava andando incontro”

Paolo Borsellino sapeva bene il destino a cui andava incontro, ma ha deciso di non fermarsi, per rispetto a Falcone”. E’ questa la testimonianza più toccante da parte di Francesco La Licata...

In occasione de 22° anniversario dalla scomparsa del giudice-eroe, ecco il personale ricordo del giornalista siciliano sulla figura del giudice Borsellino, un uomo che conosceva bene i ldestino a cui stava andando incontro

MILANO – “Paolo Borsellino sapeva bene il destino a cui andava incontro, ma ha deciso di non fermarsi, per rispetto a Falcone”. E’ questa la testimonianza più toccante da parte di Francesco La Licata, giornalista de La Stampa, siciliano e attento conoscitore delle vicende legate alla piaga che dilania la sua terra e l’Italia intera: la mafia. La Licata racconta l’eredità, tecnica e soprattutto morale, lasciata da Paolo Borsellino.

Cosa ha rappresentato Paolo Borsellino per il nostro Paese?
Quando parliamo di Borsellino, non si può non fare un collegamento con la figura di Falcone. Insieme hanno segnato un’epoca. Spesso ai due giudici veniva rinfacciato questo eccesso di rispetto, ma loro rispondevano pacificamente che questo era lo Stato con cui avevano a che fare e a questo dovevano rispetto. La loro attività è stata contrassegnata da una grande correttezza istituzionale e giuridica.

Secondo lei, perché non si ancora potuti arrivare ad un colpevole certo riguardo alla morte di Borsellino?
E’ una costante della storia italiana. In ogni indagine importante, c’è sempre qualcosa che manca. Ciò dimostra come la ragion di Stato abbia spesso prevalso sempre sulla verità e la giustizia. Quando l’inchiesta presenta dei buchi neri, oltre che della politica c’è anche una responsabilità da parte di chi ha portato avanti le indagini, come nel caso dell’indagine di via D’Amelio. Non credo al dolo, ma all’ansia da risultato, al voler dare il giusto risarcimento ai familiari delle vittime ed alla opinione pubblica. Nel caso di Borsellino, però, c’è qualcosa in più: l’inventarsi di sana pianta una indagine e avere due pentiti che si sono autoaccusati di un reato, turba parecchio l’opinione pubblica e dimostra come in questo caso ci fosse qualcosa di più torbido sotto.

Cosa ha lasciato in eredità la figura di Paolo Borsellino?

Dal punto di vista del patrimonio tecnico-investigativo, ciò che è rimasto ai magistrati è un metodo che ancora funziona, ovvero la capacità di sintesi di vedere i fatti nel loro insieme e non più staccati. L’altro insegnamento è la ricerca dei beni e dei mafiosi: come dicevano Falcone e Borsellino “Segui i soldi e troverai la mafia”. Dal punto di vista morale ed etico, alla gente comune, a tutti noi è stato lasciato questo senso di grande rispetto per le Istituzioni e lo Stato.

In questo particolare giorno, ha un ricordo o aneddoto emblematico della figura di Paolo Borsellino?
Lo incontrai qualche giorno prima la strage di Capaci. Era molto provato, come un animale che sapeva che stava per andare al macello. Gli chiesi perché non si prendesse un po’ di tempo per sé. Lui disse “Io devo andare avanti. Sono cosciente di avere poco tempo, ma è un impegno che ho preso ed è quanto devo a Giovanni Falcone.” E’ stato un grande personaggio, come il protagonista di una tragedia greca: la storia di un uomo che sa di andare incontro alla morte e ci va perché lo deve fare, per il suo alto senso del dovere e della morale. 

 

19 luglio 2014

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