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Francesco Fioretti, ”Nel mio libro ho ricostruito le inquietudini artistiche ed umane di Caravaggio”

Riprodurre le inquietudini artistiche ed umane di uno dei piรน grandi artisti italiani: Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. Francesco Fioretti, dopo il successo del suo primo romanzo ''Il libro segreto di Dante'', con il quale ha venduto oltre 150mila copie, torna in libreria con ''Il quadro segreto di Caravaggio'', il nuovo romanzo giallo dedicato a uno dei principali pittori del Seicento italiano...

 L’autore presenta il suo secondo romanzo, dedicato ad uno degli artisti più importanti e misteriosi della storia italiana

 

MILANO – Riprodurre le inquietudini artistiche ed umane di uno dei più grandi artisti italiani: Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. Francesco Fioretti, dopo il successo del suo primo romanzo “Il libro segreto di Dante” (Newton & Compton), con il quale ha venduto oltre 200mila copie, torna in libreria con “Il quadro segreto di Caravaggio”, il nuovo romanzo giallo dedicato a uno dei principali pittori del Seicento italiano. Un’opera la cui trama si snoda attraverso i quadri più significativi del grande artista, ricreando con delicato tratteggio le inquietudini artistiche e umane di Caravaggio, tornato ultimamente d’attualità in seguito al recente ritrovamento a Milano di un centinaio di opere assolutamente inedite attribuite ai suoi ‘primi passi’ quando, appena adolescente, era allievo nella bottega del pittore manierista Simone Peterzano, tra il 1584 al 1588.

 

Com’è nata l’idea di questo nuovo romanzo?
Nel 2010, quarto centenario della scomparsa di Caravaggio, sono uscite decine di nuovi libri sul grande pittore lombardo. La sua vicenda esistenziale e artistica mi affascina da sempre, in più c’è, sullo sfondo, l’inizio di un’altra profonda e grave crisi economica che segnerà la storia del nostro paese. È la continuazione di un’indagine sul nostro passato già avviata dal primo romanzo, con due temi di fondo: la crisi, ovvero la storia economica, e i rapporti tra arte e potere. Sono due temi centrali per capire chi siamo, per riflettere sulla nostra identità, e magari per affrontare il futuro evitando di ripetere sempre gli stessi errori.

Dopo il successo del suo romanzo di esordio, è cambiato il suo rapporto con la scrittura?
Solo esteriormente Il primo romanzo l’ho scritto quasi di nascosto, mentre adesso posso andare in giro dicendo che faccio lo scrittore part-time. Ma nella sostanza non è cambiato nulla, si tratta sempre di litigare con le parole usuali, nello sforzo di trovare la forma più adeguata ad esprimere ciò che un certo tema mi suscita dentro. La scommessa è quella di non mettersi a competere, come fa tanta narrativa contemporanea, con l’arte del cinema. Ciò che un romanzo può raccontare meglio di un film è l’interiorità dei personaggi e, secondo me, non deve rinunciare mai a farlo.

Quali sono state le maggiori difficoltà che ha incontrato nella costruzione di questo romanzo?
Quando si affronta un personaggio come Caravaggio si ha l’impressione di avere a che fare con una personalità schizoide: da una parte c’è quello che comunicano i quadri, un artista sensibilissimo e colto, conoscitore d’arte come pochissimi al suo tempo, dall’altra i verbali giudiziari e i resoconti dei contemporanei che lo conobbero, da cui emerge la figura del bravo manzoniano trasandato e violento. Il problema è stato quello di ricomporre questi aspetti contrastanti in una psicologia coerente, e magari di riconoscere, proprio in questa discrepanza tra ciò che ha da dire e come lo vedono gli altri, il sintomo inequivocabile di un rapporto molto difficile coi propri tempi, che nella sostanza lo fraintendono sistematicamente.

 

Secondo lei, cosa rende Caravaggio una delle figure più affascinanti per il pubblico letterario e artistico di oggi?
È insieme l’ultimo autore del Rinascimento e il primo contemporaneo, come Cervantes e Shakespeare: un punto di equilibrio fragilissimo tra Michelangelo e Van Gogh. È in un certo senso allo stesso tempo l’ultimo grande “platonico” e il primo grande “fotografo” della storia dell’umanità. Ha un senso dell’inquadratura e della costruzione dell’immagine che anticipa addirittura il cinema. L’unico problema che si ha nell’identificazione e nell’attribuzione delle sue opere mature è quello di distinguerlo dalle centinaia di imitatori che ha avuto dopo, quasi mai si corre il rischio di confonderlo con i suoi predecessori, e questo di per sé la dice lunga sulla sua grandezza.
 

Su quali elementi ha puntato per mostrare al lettore di oggi la complessità umana e artistica di Caravaggio?
Ho cercato di ricostruire la sua “mistica” del gesto pittorico nel suo significato profondo, la sua originale assimilazione e trasposizione in pittura dell’idea michelangiolesca della scultura. Un gesto che l’ambiente in cui vive, che dalla maniera sta passando insensibilmente al barocco, fraintende alla grande. Ho rappresentato il suo rapporto difficilissimo con la cultura ufficiale, tra Controriforma e Accademia. Ma al tempo stesso la sua ostinazione a proseguire malgrado tutto sulla sua strada, consapevole quant’altri mai di aver inaugurato con la sua sperimentazione una nuova era della pittura.

 

Dante e Caravaggio: secondo lei c’è qualcosa che li accomuna?
Pochissimo sul piano della personalità, mentre su quello del linguaggio artistico ciò che mi affascina di entrambi è la straordinaria capacità di sintesi. Caravaggio, come Dante, costruisce le scene delle sue tele senza mai disperdere l’attenzione del pubblico sui dettagli insignificanti. Mette a fuoco tre o quattro particolari importanti su cui spara la sua luce violenta e, persino nei suoi quadri più affollati, riesce sempre a creare un’immagine unitaria, magari attraverso i movimenti delle teste, delle mani, o dei tessuti. È il ritmo della visione che s’imprime nella memoria, come i versi di Dante, per non uscirne più.

 

Progetti futuri?
Vorrei scrivere prima o poi un libro di divulgazione su Dante: Le 101 cose che bisogna sapere di Dante per rimuoverci dalla miseria della nostra condizione ed essere (finalmente) felici. Lo proporrò all’editore, che di 101 cose s’intende assai…

 

10 luglio 2012

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