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Francesco Costa e ”Orrore Vesuviano”, una favola noir in cui si mescolano amore e morte

Francesco Costa e il suo ultimo romanzo, Orrore Vesuviano, una storia d’amore e morte narrata “attraverso la lente deformante di un feroce umorismo oscurato da un’amarezza di fondo”...

Francesco Costa, scrittore e sceneggiatore, autore di romanzi e di storie per ragazzi. Il suo ultimo romanzo, Orrore Vesuviano, è una storia d’amore e morte narrata “attraverso la lente deformante di un feroce umorismo oscurato da un’amarezza di fondo”.

 

Francesco, ci ritroviamo a chiacchierare di scrittura in occasione della recentissima pubblicazione del tuo ultimo romanzo, Orrore Vesuviano (Bompiani). Nella precedente intervista − era il mese di ottobre dello scorso anno − avevi preannunciato la pubblicazione di questo nuovo libro. Un noir, avevi detto, che inizia in modo esilarante e ha un finale terrificante. Ma comincerei proprio dal titolo: vuoi spiegare ai lettori del blog − senza fare troppe anticipazioni − quale orrore aleggia intorno al vulcano, in questo paese di cui nessuno più ricorda il vero nome?

A differenza di quanto accaduto con i miei romanzi precedenti, non ricordo niente del nucleo originario da cui nasce Orrore Vesuviano. Gli ultimi anni sono stati duri, confusi, oscurati da numerose delusioni sia sul piano professionale che su quello personale. Mi sembrava, passando da particolare al generale, di vivere in un brutto paese e di dover trattare con troppa brutta gente nelle cui mani si addensa troppo potere, utilizzato in gran parte per far del male agli altri, per umiliare persone indifese e spesso colpevoli soltanto di avere in pari misura talento e innocenza. D’improvviso, non so come, ho visto sorgere davanti ai miei occhi come un blocco di pietra grigia un posto semisepolto dalla cenere di un vulcano, Orrore Vesuviano, in cui la bellezza è un danno per chi la porta, l’innocenza una merce rara e il delitto una consuetudine. Una volta partito, non mi sono più fermato e con tratto sicuro ho fatto sbocciare sulla pagina la fioraia troppo bella, il tiranno dal respiro affaticato, il bambino troppo sveglio, le due zitelle dai caratteri contrapposti (una brontolona, l’altra vezzosa) e insomma è finita che la popolazione di Orrore Vesuviano era lì che mi fissava…

 

La storia che narri in Orrore Vesuviano è una storia d’amore e morte. Il tono, però, non è quello della tragedia greca, anche se mi è sembrato di ravvisare alcuni elementi del dramma antico: per esempio, gli abitanti del paese in cui si svolge la storia fungono da coro che a volte sussurra, altre volte urla, altre ancora sghignazza. Ma il tono generale del libro mi sembra quello, congeniale agli autori napoletani, che mescola il dramma a una sorta di cupa allegria, ironizzando su tutto. Quali sono le ragioni di questa scelta?

Personalmente sono sempre stato incline a narrare tragedie attraverso la lente deformante di un feroce umorismo oscurato da un’amarezza di fondo. Il dovere dell’ospitalità e Presto ti sveglierai, in particolare, battevano questa strada, ma questa mia ispirazione ha forse trovato con Orrore Vesuviano l’espressione più compiuta, almeno per ora, anche grazie a una narrazione oggettivamente avvincente. Umorismo e violenza sembrano in un racconto elementi inconciliabili, ma in realtà non è così: per rifarmi a scrittori di cinema, direi che Orrore Vesuviano potrebbe diventare un film da far dirigere, se fosse possibile, a Billy Wilder in combutta con Quentin Tarantino. Rispetto ai libri precedenti, qui c’è in aggiunta il gusto di dare a ogni elemento del romanzo un risalto quasi archetipico: il paese talmente contaminato da fatti di sangue da meritarsi l’appellativo di Orrore Vesuviano, una donna talmente bella da causare più guai di Elena di Troia, un tiranno dai modi affabili che sembra però andare quasi in putrefazione per il troppo male che cova in petto, una pletora di giovanotti innamorati che sembrano assai più sventati degli stupidissimi Proci da cui è insidiata Penelope nell’Odissea

 

Di riti magici e superstizione è intessuta questa favola gotico – vesuviana, in cui poteri oscuri di ogni genere dominano la scena; gli abitanti di Orrore Vesuviano sembrano totalmente assuefatti ai soprusi e alla violenza che permea ogni aspetto della loro esistenza. Certamente lo è la bellissima fioraia Aurelia Scala, come pure il suo bambino, Luca, un bambino per molte ragioni speciale, del tutto a suo agio con alcuni personaggi che, come in una favola, si comportano da orchi ma nei suoi confronti sono stranamente benevoli. Anche Luca, quando ha un problema ricorre all’occulto: e il suo problema fondamentale è costituito dagli innamorati della madre, uno stuolo di giovani misteriosamente e brutalmente strappati alla vita e al loro sogno d’amore. La confidenza che tutti, in questo bizzarro paese, mostrano di avere con la violenza e con la morte mi sembra una bella metafora, no?

La violenza e i suoi perché sono un dilemma che mi ossessiona fin da quando ero piccolo. Perché l’umanità è preda di pulsioni distruttive e, ovviamente, anche autodistruttive? Forse per la certezza di dover morire? Ricordo ancora la delusione, ma potrei dire lo stupore, nello scoprire che intorno a me tutti gli adulti, perfino quelli che amavo, mentivano continuamente e alla fine non sapevano neanche amare, che i piccoli amici che mi sorridevano a scuola erano invidiosi, pronti a tradire la parola data, a coalizzarsi contro i più deboli, che la bellezza (quella della natura come quella degli animali o delle persone) viene quotidianamente offesa. Non c’è incanto, non c’è ascolto. Io, però, sono nato per essere felice e mi ostino a vedere il bello in ogni cosa. E questo può sedare quel bisogno degli altri che a volte può renderti schiavo. I difficili anni della crisi economica e diverse forme di bassezza che la nostra classe politica esprime senza vergogna hanno però steso un velo di pessimismo sulla mia gioia di vivere, ed ecco perché Orrore Vesuviano è il primo dei miei romanzi che non è coronato da un happy end. Vedo in giro troppa sofferenza. Troppa gente umiliata. Raccontando in Orrore Vesuviano una vicenda così estrema, sia pure in una cifra talvolta scopertamente umoristica, mi pareva un’indecenza chiuderla con un lieto fine. Sarebbe stata una mancanza di rispetto per tutti coloro che in questo paese cadono vittime della violenza altrui…

 

Ma chi è Luca, alla resa dei conti? L’innocente che in qualche modo riesce a non farsi contaminare fino in fondo dall’orrore che lo circonda? Il simbolo di tutti i bambini vittime di guerre che non li riguardano?

Luca non è del tutto innocente. Vivere in un contesto di estrema barbarie non può non lasciare un segno indelebile in un’infanzia. Abbiamo visto tutti alla televisione i bambini che, cresciuti con i terroristi, sparano alla nuca degli ostaggi. L’assenza di valori è una pianta maligna che può avvelenare un processo di crescita e, come quelli che lo circondano, Luca pensa di poter basare la propria felicità sulla morte altrui. La sua natura, però, è comunque aperta all’amore. Non è corrotta al punto da non fargli sentire il richiamo della bellezza. In altri contesti, essendo per giunta spiritoso e intraprendente, Luca sarebbe diventato un uomo affascinante. E in ogni caso, al momento di scegliere il destino cui andare incontro e messo alle strette da adulti perversi, Luca si comporterà infine come ogni essere civile vorrebbe vederlo agire.

 

Grazie, Francesco, per il tuo tempo e le tue risposte. Mi auguro di vedere anche Orrore Vesuviano sul grande schermo, come L’imbroglio nel lenzuolo.

Grazie a te e tanti auguri per il tuo blog. Spero anch’io che Orrore Vesuviano diventi un film, ma mi chiedo quale regista saprebbe portarlo sullo schermo con sufficiente sensibilità…

 

Rosalia Messina

 
6 giugno 2015

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