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Dopo la ”Merda d’artista” di Manzoni, nasce a Piacenza il Museo della Cacca

Una giornata di cacca (vento e pioggia) ha fatto da degna cornice all'inaugurazione del Museo della Merda. Che, al di la' delle facili ironie, rappresenta un'iniziativa davvero stimolante. Unica condizione per godersi lo show: non avere la puzza sotto il naso. Insomma, seguire l'esempio di Gianantonio Locatelli...

Una giornata di cacca (vento e pioggia) ha fatto da degna cornice all’inaugurazione del Museo della Merda. Che, al di la’ delle facili ironie, rappresenta un’iniziativa davvero stimolante. Unica condizione per godersi lo show: non avere la puzza sotto il naso. Insomma, seguire l’esempio di Gianantonio Locatelli, fondatore appunto del primo Museo della Merda (con la «M» maiuscola: sia quella di Museo, sia, soprattutto, quella di Merda). Un luogo fisico, certo, ma anche una grande metafora dell’umanità. Del resto, grazie a Manzoni – Piero, non Alessandro – noi italiani in materia possiamo orgogliosamente rivendicare una sorta di primogenitura. E così, nel solco della tradizione, il Museo della Merda ha aperto i battenti (meglio far sempre cambiare un po’ l’aria) a Castelbosco (Piacenza). Qui puppu’ di vacca e genialità di uomo si impastano da un ventennio. Tutto merito di Gianantonio Locatelli, imprenditore illuminato col pallino per lo sterco e l’arte. Proprietario dal 1995 di un’azienda agricola più unica che rara Locatelli ha voluto infatti che i suoi capannoni fossero invasi da colori visionari. Locatelli, personaggio pop che vale la pena di conoscere, è l’Andy Wharol di una factory bio-green che ospita 2500 mucche destinate alla produzione di latte (300 quintali al giorno) per il Grana Padano.

 

«Dalla gestione quotidiana dei capi, della loro produzione e dei loro rifiuti (100 quintali al giorno) – spiega Locatelli – è sorta la necessità di trasformare l’azienda stessa in un progetto ecologico e industriale avveniristico. Dallo sterco viene oggi ricavato metano, concime per i campi, materia grezza per intonaco e mattoni attraverso sistemi di nuova concezione che, oltre a ridurre l’inquinamento atmosferico e la distribuzione di nitrati nel terreno, seguono un principio che ridisegna il ciclo della natura in un circolo virtuoso, restituendo ad agricoltura e allevamento l’importanza di sempre». Ma questa filosofia va ormai avanti da diversi anni. Ora i tempi erano maturi per fare un passo ulteriore in direzione della deiezione – diciamo così – all inclusive.

 

E così accanto alla sede dell’azienda, in un castelletto ristrutturato, da oggi si possono ammirare anche capolavori di interesse estetico e scientifico: dallo scarabeo stercorario, simbolo del museo, considerato divino dagli egizi a esempi di utilizzo caccoso per la costruzione di architetture nelle più lontane culture del pianeta: dalle antiche civiltà italiche all’Africa; per non parlare delle opere storico-letterarie come la Naturalis Historia di Plinio, fino alle ricerche scientifiche più attuali e alla produzione escatologica – anzi, scatologica – che tocca l’uso e riuso di scarti e di rifiuti. Insomma, un gabinetto di curiosità contemporaneo che – precisano gli ideatori del museo – ‘trova il suo unitario principio guida nella scienza e nell’arte della trasformazione’. Dopo la visita all’azienda Castelbosco, sottoscriviamo la conclusione di Locatelli: ‘Quando feci (notare l’uso appropriato del verbo ndr) tutto questo avevo in mente un laboratorio ecologico di anticipazione, una macchina fertilizzante, una centrale energetica e di idee’. Progetto perfettamente riuscito e oggi di enorme attualità alla luce delle tematiche promosse da Expo 2015. Evento, quest ‘ultimo, che rischia di schiacciare una gran merda (questa volta con la ‘m’ minuscola). Speriamo almeno porti fortuna.

 

Nino Materi

 

28 aprile 2015

 

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